letterina 20120706

Finestra di cielo

Mentre portiamo avanti il CRE sul tema della Parola, riflettiamo su quella Parola che, anche con i ragazzi, ogni giorno pronunciamo:Padre.
La Bibbia è piena di nomi di Dio: pastore, sorgente, fuoco, rugiada, vino, amante, braccio forte, carezza. All’Altissimo si addicono tutti i nomi. Un salmo lo chiama roccia e nido (Cfr. Sal 84,4), un’altro lo chiama sole e scudo (Cfr Sal 5,13). Mille sono i nomi di Dio, ma c’è un ultimo nome, il nome segreto, quello più importante, che è rivelato al singolo e che nessun altro conosce, quello che solo tu sai pronunciare, il nome che dà a Dio la tua fede, un nome non fatto di suoni, ma di emozioni, è il tuo segreto tra te e l’Amato, il tuo sapore di Dio, nato dal tuo dolore e dalla tua gioia, che ti viene dall’averlo qualche volta sentito, in qualche modo sfiorato con le dita dell’anima. È come quando due persone iniziano ad amarsi e si ripetono l’una il nome dell’altra, e tornano nell’intimo a dire e ridire quel nome, perchè in quel nome c’è la persona, tutta l’emozione di una presenza. Io devo santificare quel nome unico, vale a dire metterlo al centro della mia vita, non farne un simbolo sul muro, un ciondolo al collo, un dovere domenicale. Quanti cristiani sono credenti alla domenica e idolatri per il resto della settimana.
Il Padre nostro si apre con la parola più tenera, Abbà, e si chiude con la parola che evoca l’angoscia del dramma: il male. Tra questi due estremi dell’esistenza umana, Gesù elenca sette richieste, modello di ogni domanda, verifica di ogni desiderio. Le prime tre richieste si riferiscono alle “cose del Padre”, le altre quattro a quelle dell’uomo. L’uomo si interessa della causa di Dio, e Dio è chiamato a prendersi a cuore la sorte dell’uomo. Come due che si amano, uomo e Dio si interessano ciascuno della vita dell’altro. Ecco che cosa accade nel Padre nostro e in ogni vera preghiera: una comunione, un mescolarsi, un misterioso scambio tra le cose del cielo e quelle della terra. L’orante con il Padre nostro ormai cammina sulla terra <<come una finestra di cielo, colmata d’azzurro>>

(A. Pozzi).

 

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letterina 20120630

Parola e parole

Il CRE è iniziato e anche il Baby è pronto a partire: due parole sul tema...
Bisogna iniziare da Adamo ed Eva.
Anzi… prima, bisogna iniziare da: “Dio disse…”.
La nostra esistenza secondo la tradizione biblica ha origine dalla PAROLA di Dio. Una PAROLA che fa esistere, una PAROLA creatrice.
Un dono che in qualche modo Dio consegna anche all’uomo: ricordate quando l’uomo dà il nome ad ogni animale?
Non è stata forse una PAROLA che ci ha fatto essere? E’ bastata una PAROLA e noi siamo diventati qualcuno. Si, sto proprio pensando alla mamma che per prima ha pronunciato il nostro nome.
La PAROLA permette di esprimere i pensieri più reconditi e di esternare le emozioni più profonde.
La PAROLA genera accoglienza quando è bella; quando non lo è allontana.
La PAROLA appartiene solo all’uomo: gli animali comunicano, ma solo l’uomo parla.
La PAROLA, che grande dono!
Una PAROLA buona e ti si accende la pace nel cuore; un’altra, che buona non è, e ti senti a terra.
La PAROLA, che grande responsabilità!
E la PAROLA con cui chiamIAMO il CRE di quest’anno è: PASSPARTU’. Si tratta di un vocabolo inventato che rimanda inequivocabilmente al Passepartout, quella chiave che apre porte diverse. E come il Passepartout offre la possibilità di entrare in luoghi diversi, così al CRE 2012 sONO le PAROLE la chiave d’accesso per entrare nel cuore dell’altro e per aprirsi alle relazioni.
Allora è necessario farsi un vocabolario ricco di molte PAROLE , per trovarne sempre di nuove e di buone, di quelle che sanno raccontare il bene ricevuto, il sogno di una vita buona per tutti. Non si tratta, quindi, di insegnare a “non dire le parolacce”, ma di aiutarci a trovare quelle PAROLE buone che permettono di costruire il mondo e di bene- dire. Di dire bene di sé, del mondo e degli altri.

PassParTu’

 

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letterina 20120623

Giovanni, uomo paradossale

Giovanni è un uomo paradossale. In tutta la sua vita ha seguito vie che sono completamente opposte a ciò che normalmente cercano gli uomini. Ha preferito il deserto arido piuttosto che il luogo affollato: eppure molti andavano da lui. Ha scelto un linguaggio diretto e a volte duro e scottante: ma in questo modo ha messo coloro che venivano da lui di fronte alla responsabilità della conversione. Ha sempre allontanato la sua vita, così ricca di segni di potenza divina, da ogni sorta di potere e politico e religioso; e non ha temuto di denunciare le ipocrisie e le maschere dell’uomo che cerca il potere. Ha avuto molti discepoli; ma vedendo passare Gesù, non ha esitato minimamente a indicare ai suoi discepoli che era proprio LUI, il Cristo, colui che dovevano seguire. Ha servito e annunciato fino in fondo il regno di Dio rivelato in Gesù, dando per lui la vita; eppure, in carcere, ha dovuto lui stesso convertire il suo modo di pensare il volto di Dio e accoglierlo nella compassione di chi guarisce e non nella severità di chi giudica. Ha accettato il ruolo scomodo di chi comunica la spada tagliente della parola; tutta la sua vita è racchiusa dalla esperienza intima della gioia. A chi gli chiedeva :”Tu, chi sei?”, non ha risposto esibendo tutta la sua autorità o la sua missione ma ha preferito dire chi non era: “io non sono il Cristo [...]. Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete dritta la via del Signore”.


Questo è il Battista: un testimone limpido del paradosso evangelico, del Regno rivelato ai piccoli della potenza di Dio che si manifesta nella debolezza, delle vie di Dio che non sono quelle degli uomini. E in questo senso Giovanni è il maestro della nostra testimonianza. Da lui dobbiamo imparare a essere testimoni di Cristo: un’autentica testimonianza non si concentra sul testimone, ma su colui che è testimoniato, su Gesù. Così una comunità che lo venera come patrono, vive in rapporto costante con il Signore Gesù, rimanendo nella gioia della sua amicizia; lascia che la sua vita sia plasmata dalla parola del Signore, diventando semplice voce che comunica tutta la potenza; sa che la prima ad aver bisogno di conversione è lei stessa; accetta la logica evangelica del chicco che è caduto in terra deve morire per portare molto frutto.

 

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letterina 20120616

Patrono: Missione o Dimissione?

Arriviamo alla settimana delle feste patronali con un ricco programma che di anno in anno sta prendendo una sua identità, sollecitando sempre più un dinamismo  legato allo stare insieme nel nome del Signore, come comunità credente. Ma chi pensa, prepara e porta avanti tutto questo? (come del resto tutte le altre numerose proposte comunitarie)
Nella mente scorrono tanti volti di persone che con disponibilità e passione si mettono in gioco, alle quali va il mio grazie (che dico sempre anche al Signore) e quello di tutti. A volte, però, in questo scorrere di volti c’è come una nuvoletta che oscura la luce: quella persona non c’è perché ha avuto da dire con quel tale e allora ha detto basta, io non ci sto più, io mi tiro fuori.  
Rispetto ogni scelta, ma mi permetto di esternare almeno alcuni interrogativi che mi faccio: si è così sprovveduti da pensare che stare insieme e fare insieme -anche con un obiettivo comunitario- sia senza difficoltà? Basta un’incomprensione, una parola di troppo... per far spegnere l’entusiasmo? Non si crede proprio alla “rivoluzione” del perdono, al desiderio di andare avanti proprio perché non è tutto facile? E poi, mi dico, se anch’io usassi questo metro, che ci starei a fare qui?
Cioè: anche un prete in una comunità si trova di fronte a dei no, a delle lentezze, a delle fatiche, a delle incomprensioni, anche con la sensazione che si chieda tanto e ci sia poca disponibilità a fare un passettino. Per intenderci (ma prendo gli esempi più generali): quante volte si chiede di aiutare i celebranti occupando posti piu’ avanti in chiesa, perché non si guardi il vuoto per diversi metri, oppure di cantare, partecipare, essere propositivi e non farsi sempre “tirare”?
Se dovessi bloccarmi di fronte ai no, sarei sceso da un pezzo.
Alla fine, penso che le feste patronali -perché da queste sono partito- che una comunità celebra andando alle fondamenta del proprio essere, ci dicano che non è tempo di dire “basta”, che non bisogna gettare la spugna davanti alla prima difficoltà, che c’è posto per chi sente la comunità un po’ sua. E le vuole bene.
Insomma: tempo di MISSIONE e non di DIMISSIONE…     

don Giuseppe

 

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letterina 20120609

Famiglia, patrimonio dell'umanità

Bresso E il suo milione di persone. E le centinaia e centinaia di migliaia che, da Piazza Duomo a San Siro, hanno accompagnato la tre giorni milanese di Papa Benedetto, nella visita alla diocesi e nell’incontro col Family 2012. A voler riassumere il tutto sbrigativamente, e in una sola parola, potrebbe perfino essere facile: “Trionfo”.
Ma l’evento vissuto da Milano non può, non deve, ridursi a se stesso...perchè quella che è emersa con una forza tanto evidente quanto travolgente è l’immagine e il senso della “Chiesa del si”. Distante dalle rappresentazioni che se ne fanno comunemente, non arroccata su “precetti” che ne dettano il senso, bensì fondata sulla roccia e protesa verso il domani, propositiva, accogliente, attenta, concreta. Capace di dire e di fare. Felice, anche: dove la felicità non vuol dire ignorare i problemi, tenti, che esistono, e far finta che neppure ci sfiorino, ma affrontarli a viso aperto, forti di quella “speranza che non delude” che, ai cristiani, viene dalla fede. Consapevoli però, nello stesso tempo, che questa “speranza che non delude” ha qualcosa da dire, eccome, anche a un mondo laico che abbia voglia, finalmente, di misurarsi in un confronto vero sul filo non
dei preconcetti, ma della ragione.
Ri-proponendo le ragioni di una famiglia che va messa al centro della società, rivolgendosi ai politici chiamati a mettere un “più” amore nel loro impegno, ribadendo quei “valori non negoziabili” – vita, famiglia, educazione devono essere scambiati per “verità di fede”, come disse esplicitamente nel 2006, proclamandoli, ma che “sono iscritti nella natura umana stessa e quindi sono comuni a tutta l’umanità”. Provocazione forte, quella del Papa, all’intelligenza e alla cultura. Così come altrettanto forte è quella che Benedetto xvi, una volta di più, ha rivolto ai cristiani, “sfidandoli” a una testimonianza chiara, cristallina, che sempre più ha bisogno di essere radicata nella fede per essere credibile, agli occhi del mondo e a quelli della stessa comunità dei credenti rispetto ai propri problemi, che esistono – vedi la situazione dei divorziati risposati – e che devono sempre trovare la via della solidarietà, dell’accoglienza, dell’amore.

 

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letterina 20120602

Family 2012

Un “grande evento” che per la prima volta, in Italia, non si celebra nella capitale; un interlocutore, la famiglia, a cui dare quella centralità troppo spesso negata; un tema che porta in se un binomio, lavoro e festa, di estrema attualità. Il VII Incontro mondiale delle famiglie La famiglia: il lavoro e la festa, ha un preciso obiettivo: riscoprire la famiglia come “patrimonio di umanità” e rimetterla al centro dell’attenzione non solo ecclesiale, ma dell’intera società.
A tre anni dal precedente Incontro mondiale, (Città del Messico gennaio 2009), il Papa è tornato a chiamare a raccolta le famiglie, e lo ha fatto con una lettera inviata nell’agosto 2010 all’allora arcivescovo di Milano, cardinal Dionigi Tettamanzi, e al presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, cardinal Ennio Antonelli. <<Il lavoro e la festa – scrive Benedetto XVI – sono intimamente collegati con la vita delle famiglie: ne condizionano le scelte, influenzano le relazioni tra i coniugi e tra i genitori e i figli, incidono sul rapporto della famiglia con la società e con la Chiesa. La Sacra Scrittura (cfr Gen 1-2) ci dice che famiglia, lavoro e giorno festivo sono doni e benedizioni di Dio per aiutarci a vivere un’esistenza pienamente umana. L’esperienza quotidiana attesta che lo sviluppo autentico della persona comprende sia la dimensione individuale, familiare e comunitaria, sia le attività e le relazioni funzionali, come pure l’apertura alla speranza e al Bene senza limiti>>.
Papa Ratzinger ha ben presente la realtà contemporanea, il fatto che ai nostri giorni l’organizzazione del lavoro, pensata e attuata in funzione della concorrenza di mercato e del massimo profitto, e la concezione della festa come occasione di evasione e di consumo contribuiscano a disgregare la famiglia e la comunità e a diffondere uno stile di vita individualistico. <<Occorre perciò – precisa il Santo Padre – promuovere una riflessione e un impegno rivolti a conciliare le esigenze e i tempi del lavoro con quelli della famiglie e a recuperare il senso vero della festa, specialmente della domenica, pasqua settimanale, giorno del Signore e giorno dell’uomo, giorno della famiglia, della comunità e della solidarietà>>. Proprio a tal fine << Il prossimo Incontro mondiale delle famiglie costituisce un’occasione privilegiata per ripensare il lavoro e la festa nella prospettiva di una famiglia unita e aperta alla vita, ben inserita nella società e nella Chiesa, attenta alla qualità delle relazioni oltre che all’economia dello stesso nucleo familiare>>.

 

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