letterina 20110625

L'affondo 

Giovanni e il Corpus

Corpus Domini e festa del Patrono: un binomio che spalanca orizzonti.
Un patrono che indica la via, la via di una comunità intorno al suo Signore.
Di lui si racconta un nascere che apre la bocca dei muti e un morire nell’oscurità delle parole, nel silenzio di un carcere. Tre mesi prima di venire alla luce sobbalza di gioia nel grembo di sua madre. Sobbalza per un Altro. Anticipo  di futuro…  
Essere indice. Indice di un Altro. Proclama, alza la voce, ma non per sé, come spesso succede a chi alza la voce. Alza la voce per un Altro. Indica Colui che deve venire. Indica un percorso di vita: dall’essere centrati su se stessi all’essere decentrati. Un patrono che indica, una comunità che vive. E vive creando vicinanza, profumo di pane nei nostri inquieti giorni, che attendono segni di attenzione e condivisione.
E il Corpus Domini, la festa del Corpo di Cristo, offerto come pane, dice proprio che «né a noi né a Dio è bastata la Parola. Troppa fame ha l’uomo e Dio ha dovuto dare la sua carne e il suo sangue» (Divo Barsotti).  
«Ecco il mio corpo», ha detto Gesù, e non: «ecco la mia anima, il mio pensiero, la mia divinità, ecco il meglio di me», semplicemente, poveramente: «ecco il corpo».
La cosa più vicina a noi, casa della fatica, volto modellato dalle lacrime e levigato dai sorrisi, sacramento di incontri, luogo dove è detto il cuore. Cristo dà il suo corpo, perché vuole che la nostra fede si appoggi non su delle idee, ma su di una Persona, assorbendone storia, sentimenti, piaghe, gioie, luce; dà, perché dare è la legge della vita, unica strada per una felicità che sia di tutti.
Non si può giungere alla divinità di Cristo se non passando per la sua umanità, carne e sangue, corpo in cui è detto il cuore, mani che im­pastano polvere e saliva sugli oc­chi del cieco, lacrime per l'amico, passioni e abbracci, i piedi intrisi di nardo, la casa che si riempie di pro­fumo e di amicizia, e la croce di sangue.  
Si tratta dunque di acconsentire al segno che arde come brace nel desiderio di Gesù di volerci a cena, di darci il suo pane e il calice del vino.  
Riconoscere il segno e farne un sogno: diventare pane.  
E in questo, inventarsi e lasciarsi diventare.
Comunione e comunità.
R.M.

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letterina 20110618

L'affondo 

Insieme per essere

Se è vero che la Chiesa è “popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, come dice il Concilio; se è vero che invochiamo lo Spirito perché tutti “diventiamo un solo corpo e un solo Spirito”, come si esprime la liturgia della messa; se è vero che la Chiesa è”propaggine della comunione divina”, come scriveve Romano Guardini; se è vero che essa è “icona della Santissima Trinità”, come si esprimono i teologi di oggi, nel senso che viene dalla Trinità, è strutturata a immagine della Trinità, e ve verso il compimento trinitario della storia; se, dunque, la Trinità, è la sorgente, l’immagine esemplare e la meta ultima della Chiesa; se è vero tutto questo...bisogna concludere che, come nella SS. Trinità, anche nella Chiesa la comunione delle persone entra nel suo costitutivo essenziale.
Comunione che non  nasce dalla necessità di stringere le fila o dall’urgenza di serrare i ranghi per meglio far fronte al mondo che c’incalza. La comunione nasce da una ineluttabilità ontologica, dall’essenza stessa, non da un calcolo aziendale.
Insieme, quindi, per essere. 
Non certo per contare di più, incidere di più, per produrre di più, per apparire di più!
Non si nasconde il  ragionamento del proverbio che dice:”lunione fa la forza”, ma c’è, invece, l’esigenza di far capire che se l’albero è la Trinità, mistero di comunione, la Chiesa, che su quell’albero matura, non può vivere la disgregazione delle persone, il molecolarismo dei progetti, la frantumazione degli sforzi.
Se no, non è Chiesa. Sarà organizzazione  del sacro, consorteria di beneficenza, fabbrica del rito, multinazionale della morale. Ma non chiesa.
 
Sarà solo  un caso che la nostra Comunità ha, nel logo dipinto  nell’antisagrestia con le sette chiese, un cartiglio, con la frase della preghiera di Gesù nell’ultima cena:”Ut unum sint” (che tutti siano una cosa sola)?  Mah...  

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letterina 20110611

L'affondo 

L'acqua, merce o diritto?

Nel mondo globalizzato si moltiplicano gli interessi nei confronti dell’acqua, l’oro blu. Mettere le mani sull’acqua sembra essere diventato il più grande investimento per il futuro: in nome di sontuosi interessi economici, vengono calpestate le persone, desertificati territori abitati, spalancate le porte alla diffusione di malattie infettive… I dati parlano da soli: 1,2 miliardi di persone non possono fruire di acqua potabile; 2,5 miliardi di persone non dispongono di strutture igienico-sanitarie adeguate e reti fognarie; 5 milioni di persone muoiono ogni anno per carenza d’acqua e tra questi 1,8 milioni sono bambini. Si prevede che entro il 2050 altri 2 miliardi e 800 milioni di persone soffriranno per scarsità d’acqua. La mancanza o l’ingiusta distribuzione del bene acqua rappresenta un freno per l’autentico sviluppo dell’umanità. Noi probabilmente, dal nostro tranquillo osservatorio, riusciamo solo a percepire la gravità della situazione perché l’acqua è per ognuno di noi un bene scontato: la nostra acqua non è inquinata, ne abbiamo fin che vogliamo e l’abbiamo comodamente a casa nostra (tanto che ci permettiamo pure di sprecarla senza troppi rimorsi di coscienza)!
Il diritto all’acqua e il diritto primario alla vita sono indissolubilmente connessi: è quindi necessario far “maturare una coscienza solidale che consideri l’alimentazione e l’accesso all’acqua come diritto universale di tutti gli esseri umani, senza distinzioni, ne’ discriminazioni” (Benedetto XVI).
Il vescovo cileno Luis Infanti della Mora afferma con tanta preoccupazione: “La crescente politica di privatizzazione è moralmente inaccettabile quando cerca di impadronirsi di elementi così vitali come l’acqua, creando una nuova categoria sociale: gli esclusi. Alcune imprese multinazionali che cercano di impadronirsi di alcuni beni della natura e soprattutto dell’acqua, possono essere padrone di questi beni e dei relativi diritti, ma non sono eticamente  proprietarie di un bene da cui dipende la vita dell’umanità. E’ un’ingiustizia istituzionalizzata che crea ulteriore fame e povertà facendo sì che la natura sia la più sacrificata e la specie più minacciata sia quella umana, i più poveri, in particolare.” Poche e semplici riflessioni condivise ad alta voce, per far affiorare una questione di capitale importanza per l’umanità, tenuta volutamente sommersa da enormi interessi economici che sovrastano le nostre vite e le vite dei più poveri.           
“Il mondo è con l’acqua alla gola”! Pensiamoci, non è solo uno slogan!
 A cura di: Centro Missionario Diocesano e Comunità  Ruah

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letterina 20110604

L'affondo 

Ascendere

Egli è con noi, fino alla pienezza dei tempi. Non se n'è andato, non ci ha lasciato soli, non è fuggito. È tornato al Padre per restare, per insegnarci a diventare adulti, nell'umanità e nella fede. Oggi inizia il faticoso ed esaltante tempo della Chiesa!  
Oggi è la festa della presenza eterna di Cristo in mezzo a noi per sempre! Per essere definitivamente presente Gesù aveva bisogno di non avere più limiti di tempo, di spazio. Eterno, egli dimora in seno al Padre e in questa eternità ha un corpo di uomo. Oggi è la festa della moltiplicazione e della estensione dell'amore di Cristo per cui ognuno può dire, nella fede, a ragione: io ho incontrato Cristo. Lo stesso Cristo che ha camminato con i piedi impolverati duemila anni fa, lo stesso Cristo riconosciuto presente nelle comunità primitiva. Di più. Ora, in Dio, c'è un uomo. In questa pienezza di assoluto che non riusciamo a raffigurare c'è il volto ben definito di un uomo: Gesù di Nazareth. Non vi sentite più a vostro agio? Lo sguardo di Dio è lo sguardo penetrante e tenero di un uomo straordinario come era Gesù di Nazareth. Ora Dio sa, per sempre, cosa significa essere uomo. Conosci la fatica del lavoro? Anche Dio.
Conosci la gioia della festa? Anche Dio. Conosci il conforto dell'amicizia? Anche Dio. Conosci il giudizio tagliente e inumano? Anche Dio. E, infine, l'inimmaginabile: conosci la morte? Anche Dio. Nulla, solo il peccato, che è l'anti-umanità, è ormai estraneo a Dio. È straordinario pensare a questa indicibile intimità tra Dio e ciascuno d noi. Indicibile ma reale!  

Paolo

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letterina 20110528

L'affondo 

Solo

Sono rimasto solo.
La chiesa, così grande, lo sembra ancora di più.  
L’apparato del Triduo, così solenne, sembra quasi incutere paura.  
Le candele, così numerose, anche se accese in parte, sembrano ciò che resta di una festa finita troppo in fretta, o mai iniziata veramente.  
E loro? Dove sono?
Non è l’orario giusto? Sta venendo il temporale? Stanno finendo una settimana di lavoro e quindi sono stanchi?
Nessuno…
Mi viene in mente la domanda di Gesù ai suoi amici, quando lui stava male e loro a dormire:”Così non avete saputo vegliare un’ora sola con me?”
Siamo stanchi, Signore, gli occhi si chiudono, non ti capiamo, ci chiedi troppo, stiamo pensando ad altro, ti sentiamo lontano…
Potevano essere le scuse degli apostoli e quante ne potremmo aggiungere noi. “Non avete saputo vegliare un’ora soltanto?”
E io che sono qui, non sono certamente migliore di chi non c’è.
Ho questa opportunità che, certo, va anche scelta perché non è immediatamente facile, ma capisco che tutte quelle scuse sono anche le mie, rincarate magari dal pensare che, se si tratta di far bisboccia ci si sta, ma “perdere tempo” per adorare no.
Sto qui; Signore, per me: ho così bisogno.
Sto qui Signore, per la mia comunità, per i miei fratelli e sorelle nella fede; per chi fa fatica o non ha voglia di fermarsi; per chi ha chiuso con te; per chi vorrebbe essere qui e non può – perché ammalato, lontano, solo, schiacciato da preoccupazioni-; per chi non se la sente di riannodare un filo che si è spezzato...
Stare qui anche per loro. E con loro, perché sto qui con te.
Ah, qualcuno è arrivato.
Grazie Gesù…                        

(preghiera di un prete-parroco nelle giornate eucaristiche)

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letterina 20110521

L'affondo 

Adorare: pupille dilatate

E’ stato montato l’apparato del Triduo, con un’infinità di candele e luci che vogliono far corona al sole dell’Eucarestia. Vivremo le giornate eucaristiche (ex Quarantore) accendendo questi segni ma, soprattutto, accendendo i cuori, perché sarebbe un controsenso far brillare centinaia di candele e lasciar spenta la nostra presenza. Le riflessioni che seguono ci aprono al senso dell’adorazione eucaristica alla quale siamo tutti invitati, ben sapendo che  non è una preghiera immediatamente facile, ma alla quale continuiamo ad invitare nei primi venerdì del mese e in occasioni particolari come questa.
Adorare  è voler ascoltare “Gesù dentro di noi”, significa prendere tempo  per essere silenziosi  e scoprire quanto siamo amati da Dio, nonostante tutto il peso della nostra vita passata, i nostri rifiuti, le nostre angosce, le nostre resistenze. Dio ci ama nonostante le ferite e le fragilità che ci portiamo dentro. La sua presenza è un punto di riferimento per tutte le nostre piaghe, per tutti i nostri disorientamenti. Dio è una certezza che mi fa sentire di essere amato con tutte le mie nullità, con tutto ciò che in me è bello e che io non so più vedere.
Adorare è accettare Dio, che scelga con tutto se stesso di essere presente nella povertà e nelle grandezze del mio essere.
Adorare è intuire il desiderio di Dio verso di me.
Adorare  è scoprire che Dio mi ama così come sono e che non devo essere perfetto per ricevere il suo amore.
Ecco l’antica novità: Dio mi ama così come sono e anch’io ho il diritto e il dovere di amarmi così come sono.
Adorare è fare la scelta di ciò che non appare agli occhi degli uomini, di ciò che non luccica, di ciò che non si può pensare di sostituire con il “vitello d’oro” fatto dalle nostre mani. 
Adorare è  accettare Dio nella sua presenza povera, è scoprire il mistero dell’Incarnazione, perché Lui si è fatto come me, ed è proprio a partire dalla mia povertà che posso toccare Dio, posso sentirlo: sono immenso nella sua presenza. Egli è dentro il mio povero cuore e mi fa sentire che io sono la cosa più importante del suo amore. Solo quando avremo le pupille strette nello sforzo e per l’attesa di saper scorgere il volto di Dio, poi ci rimarranno dilatate, perché al suo apparire avremo fatto il pieno della luce e solo allora potremo parlare di Lui.           

Adorare è...ciò che farai tu...

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