letterina 20110806

L'affondo 

Il branco

“Se vuoi entrare nella nostra banda, lo devi fare!” disse Pietro a muso duro. Ale fissava la punta delle scarpe. “Non ho mai rubato” mormorò. “C’è sempre la prima volta. E una prova di coraggio è una prova di coraggio!” “Non avere fifa” lo incoraggiò Berni. “Noi distraiamo il vecchio e tu fai sparire il cioccolato in tasca. Dai!” Ale scrollò le spalle:”Non è una gran prova di coraggio fregare il cioccolato a un vecchio”. “Vuoi essere dei nostri, sì o no?”  “Sei un vigliacco?” “Io non sono un vigliacco” rispose Ale. E si diressero tutti e tre verso la piccola bottega che vendeva un po’ di tutto. Il campanello della porta trillò. Il vecchio li guardò da sopra gli occhiali e li salutò con un cenno del capo. Pietro e Berni finsero di esaminare la merce con aria indolente. Poi richiamarono l’attenzione del  bottegaio nell’angolo dei quaderni. “Quanto costa questo?” “Cinquanta centesimi”. Nella parte opposta del negozio Ale con mossa rapida fece scivolare alcune confezioni di cioccolato nelle tasche. I ragazzi pagarono il quaderno. Il vecchio regalò a ciascuno una gomma da masticare. Lo faceva con tutti i bambini. I ragazzini corsero via eccitati. Ai giardini, Ale consegnò il bottino. “Cioccolato con le nocciole! Grande!” Lo divorarono. Ale lo trovò spiacevolmente amaro. “Ora sei dei nostri!” disse Pietro e gli diede un rumoroso”cinque”. “Io vado a casa” mormorò Ale. 
Passò la serata a studiare e andò a letto senza discutere.
Il mattino dopo, ebbe un tuffo al cuore passando davanti alla bottega del vecchietto. Alla fine della mattinata di scuola cincischiò  con libri e zainetto finchè  rimase solo, poi entrò nella bottega. Il campanello trillò e il vecchietto lo accolse cordialmente. Il ragazzino mise una banconota accanto alla cassa. “Tre tavolette di di cioccolato” disse. “Prendile pure, Ale” rispose il vecchio. “Le ho già
prese ieri, signore” mormorò il bambino arrossendo. E aggiunse:”Ho dovuto farlo. Era una prova di coraggio…”
Il vecchio prese la banconota e gli diede il resto, come sempre regalò ad Ale una gomma da masticare. Poi fece un cenno di approvazione con il capo:”La prova di coraggio l’hai superata oggi”.     
da Bruno Ferrero:”L’allodola e le tartarughe”    

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letterina 20110730

L'affondo 

Rimbambito

Costeggio il lago di Endine completamente coperto di ghiaccio...Immerso in questo angolo di paradiso, sento che dietro la mia macchina qualcuno suona ripetutamente il clacson. La strada è un lungo susseguirsi di curve e paesi ed è impossibile viaggiare a velocità sostenuta. Arrivato ad un semaforo, scendo dalla vettura e chiedo al giovane nell’auto che mi segue cosa c‘è che non va: “Ma stai andando come una lumaca!”. Gli faccio notare che c’è il divieto di superare i cinquanta chilometri all’ora. E lui: “Per i vecchi rimbambiti come te”.  Lo fisso...e mi limito a sussurrargli: “Il Signore ti benedica”. “Per i vecchi rimbambiti come te”. “Rimbambito”. Etimologicamente non è un insulto, anzi, per me, cristiano, è un elogio, dato che “rimbambire” significa ritornare come bambini. E non ha forse Gesù detto che questa è la condizione indispensabile per entrare nel regno dei cieli? “Rimbambire” nell’accezione data da quel giovane significa “perdere il senno” ed è spesso legato all’età. Allora devo prendere in considerazione la parola “vecchio”. “Vecchio”. Quante volte ho detto e scritto che una persona non deve sentire come una segreta vergogna il fatto d’invecchiare. Anzi, è un privilegio vivere carico di anni. Si diventa come gli alberi d’autunno: col cadere delle foglie lasciano intravvedere la loro nuda bellezza ed essenzialità. E pure i loro rami spogli, visti in prospettiva del cielo, scrivono parole di speranza. “Vecchio”. Il mio dizionario, proprio nell’ultima spiegazione mi consola, affermando che ci può essere il rimando a “veglio”. 
Forse fa allusione al fatto che noi, “vecchietti” dormiamo poco. Oppure che viviamo con un cuore che ascolta. Le due accezioni mi piacciono. Noi siamo chiamati a vivere captando ogni cosa con un senso di meraviglia, vedendo ovunque tracce del divino. Ma per arrivare a questa capacità di vedere il mondo con gli occhi stessi di Dio, occorre vivere tante, tante primavere. Per cui occorre molto tempo per diventare giovani, come lo è Dio. E torno col pensiero al giovane Salomone che, in risposta a Dio che gli chiedeva cosa volesse, disse: “Dammi un cuore che sa ascoltare”… Sentendosi giovane il re d’Israele domanda la sapienza nella preghiera. Ciò mi rimanda ancora a Cristo che ci addita l’atteggiamento del bambino che conviene al cristiano… L’invecchiare fa capire che bisogna avere sì fiducia in noi stessi, ma nella più grande umiltà. Umiltà che è una forza di agire per ciò che è essenziale nella vita: amare ed essere amati. Umiltà che è verità su noi stessi, del nostro invecchiare, accettato con un sorriso anche quando ciò ti è sbattuto in faccia, assieme all’appellativo di “rimbambito”...Umiltà come inizio della vera sapienza: “Solo Dio basta”.     
don Valentino Savoldi   

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letterina 20110723

L'affondo 

La blogger Amina

Sono perlopiù giovani i manifestanti che hanno messo in discussione regimi e potentati a sud del Mediterraneo, innescando rivolte e cambiamenti impensabili fino a pochi mesi fa. Internet è lo strumento più usato dai giovani, capaci di muoversi con disinvoltura tra blog, twitter, messenger, youtube e quant’altro la rete mette a disposizione per comunicare e trasmettere informazioni. Senza dimenticare naturalmente Facebook e gli altri social network. Giovani e internet, dunque. Forze dirompenti e difficilmente controllabili.  E, infatti, non si sa ancora quale volto dare ai sommovimenti innescati nel mondo arabo-  tra religione e politica, desiderio di democrazia e occidentalizzazione dei costumi—così come, nello stesso tempo, diventa difficile comprenderne i confini.
In questo scenario, fa riflettere il caso blogger Amina — così l’hanno conosciuta un po’ tutti gli osservatori — omosessuale siriana che ha raccontato a più riprese sul blog, appunto, la rivolta nel proprio Paese. Ha appassionato tantissime persone, ha coinvolto tutti nel proprio destino e nei propri sentimenti, è stata anche arrestata...fino a scoprire che Amina non è mai esistita. Una bufala. Amina era una 40enne statunitense che si era semplicemente inventato tutto, o quasi. Una personalità virtuale, vicende e sentimenti non suoi, immaginati. Uno scherzo? Forse si può chiamare così. Ma la questione, in realtà, è maledettamente seria e riguarda la credibilità degli strumenti di comunicazione e in particolare di Internet, così diffuso, così facile da usare e nello stesso tempo estremamente complicato da gestire.
Già, perché la questione della verità e della credibilità è seria e proprio la rete, in proposito, presenta  molti “buchi”. Nella sua “democraticità” è un insieme di indicazioni/fonti tutte uguali, difficili da verificare. Si fatica a dare una gerarchia alle notizie; si fa fatica a verificare, come è accaduto per Amina: la bufala è stata scoperta per caso, quando l’unica foto della presunta blogger messa in rete è stata riconosciuta come quella di un’altra donna. La rete va presa con le pinze.  Il rischio non è solo quello di una “distrazione virtuale” (un mondo distante dalla realtà), ma anche quello più subdolo, di travisare il mondo vero, i fatti “duri e cocciuti” e di perdere la bussola  che ci orienta sulle strade della quotidianità.   

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letterina 20110716

L'affondo 

La mano di Dio

C'è un campo nel cuore in cui intrecciano le loro radici, spesso inestricabili, il bene e il male: nessuno è solo zizzania, nessuno puro grano. La parabola racconta due modi di leggere e lavorare il cuore. Il primo è quello dei servi che fissano l'attenzione sulla zizzania: «Da dove viene? Vuoi che andiamo a raccoglierla?» Il secondo è quello del padrone del campo che ha invece gli occhi fissi al buon grano: «Non raccogliete la zizzania, per non sradicare anche il grano: una sola spiga conta più di tutta la zizzania». 
Quale dei due sguardi è il nostro? Quello opaco e triste dei servi che vede il mondo e le persone invasi dal male, che giudica con durezza manichea? Quello positivo e solare del signore che intuisce, dovunque, spighe, pane e mietiture fiduciose, e che ha messo la sua forza nella mitezza? 
«Non strappate la zizzania». Noi abbiamo sempre una violenta fretta di moralizzare e mettere a posto. L'uomo infantile che è in noi grida: strappa via da te, e soprattutto intorno a te, ciò che è puerile, fragile, difettoso. Il signore del campo suggerisce: preoccupati del buon seme, ama i tuoi germi di vita, custodisci ogni germoglio. Tu non sei le tue debolezze, ma le tue maturazioni; l'uomo non coincide con i suoi peccati, ma con le potenzialità di bene. 
Vero esame di coscienza è leggere la vita con quello sguardo divino che cerca non l'assenza di difetti, illusione inutile e spesso mortifera, ma la fecondità come etica della vita. Impariamo a vedere ciò che di vitale, di bello, di promettente Dio ha seminato in noi (non è orgoglio, ma responsabilità), facciamo sì che porti frutto, che ogni granellino di senapa cresca con il dono di attrarre e accogliere vite, che ogni pizzico di lievito abbia il tempo per sollevare e rialzare i giorni inerti. 
Facciamo nostra l'attività positiva, solare, vitale del Creatore che per vincere le tenebre accende ogni giorno il suo mattino, per muovere la massa immobile vi nasconde il lievito. Preoccupiamoci non della zizzania, dei difetti, delle debolezze, ma di avere un amore grande, ideali forti, desideri positivi, una venerazione profonda per le forze di bontà, generosità e coraggio che la mano viva di Dio semina in noi. Facciamo che esse erompano in tutta la loro bellezza, in tutta la loro potenza, e vedremo le tenebre ritirarsi e la zizzania senza più terreno. E tutto il nostro essere maturare nel sole. 
P. Ermes Ronchi  

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letterina 20110709

L'affondo 

Nazareno

Pochi sanno il significato dell’iscrizione che Pilato fece porre sulla croce di Gesù: INRI.
Penso a questo mentre osservo  i poster alle pareti della classe. Vedo dalla loro parte Bob Marley, il Che, la foto patinata di qualche attrice e attore bellissimi.
Miti. Vite il più delle volte immaginarie e immaginate, in alcuni casi simboli di esistenze marginali e dissipate, in altri   immagini troppo perfette, troppo belle e fortunate per essere vere, cioè umane. Miti appunto. So anche che alle mie spalle in classe c’è il crocefisso con quel cartiglio incomprensibile e, anche se essi non lo notano, vorrei dire loro che nella vita gli serviranno a poco quegli idoli a cui guardano adesso. Nella vita, quando saranno più grandi, avranno bisogno di pensare a qualcuno che li soccorra, che venga loro in aiuto, modelli che dentro il limite umano possano suggerire parole di speranza, che proprio nei momenti difficili  possano dire:”Coraggio. Vai avanti! Vedi, io sono come te, soffro come te, non ce la faccio  proprio come te, sono in tutto simile a te e perciò ti posso aiutare. Non sprecare la tua vita”. Questo è umano. Questo serve a crescere. 
Non il successo che brucia le tappe, che non ti fa capire la strada che stai facendo.
Non questi miti di carta appesi alle pareti, non queste fantasticherie di fuga, ma qualcuno, un nazareno crocefisso, che da dietro alle mie spalle un giorno verrà a sussurrare anche a loro:”Vedi, tu sei importante non per quello che stai idealizzando ma per quello che semplicemente sei, per la tua storia personale, per le tue piccole cose che ti porti dietro ogni giorno nello zaino, per quegli oggetti poveri e senza valore a cui tu stesso dai molto significato e che non ti sogneresti di mostrare mai alla classe. Però io ti conosco, apprezzo la tua fibra preziosa e fragile di uomo. Se ti pieghi io ti soccorro. Quando vai ti sono ancora accanto. Se ti fermi ti aspetto. Quando ti interroghi ti capisco”.
Questo è il modello silenzioso che fa da contrappunto ai messaggi confusi che provengono dalle pareti. E a questo modello piuttosto che ai miti vorrei che si tornasse a pensare e allora il nome di Salvatore sarebbe il più propizio per noi.
Lucio Coco

P.S. INRI sta per IESUS NAZARENUS REX  IUDEORUM, che significa: GESU’ NAZARENO RE DEI GIUDEI. 

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letterina 20110702

L'affondo 

La gioia di donare in un battibaleno

Una  volta Gesù ha incontrato un uomo che il Vangelo chiama giovane. Di solito mi piace pensare a Gesù che dialoga mentre cammina. Questa volta, però, lo guarda in faccia. Ed è l’unica cosa che nel Vangelo appare di Gesù, gli occhi: il suo sguardo è indimenticabile. Soprattutto riesce a comunicare amore: una cosa stupenda e delicatissima. Una cosa che può liberare, ma anche schiacciare.
Forse anche quel giovane ha sentito che non poteva fare nulla di fronte a questo amore. In quel momento gli è stato ricordato che  tutti abbiamo una cosa da dare: il tempo, più prezioso del denaro. Quello che avverrà nei nostri oratori è proprio questo: la possibilità di donare il proprio tempo. Attraverso dei minuti, si può donare la vita. Il tempo passa per tutti, ma posso avere in mano il tempo proprio nel momento in cui ne faccio un dono. Allora non mi scappa via; non mi guardo indietro con nostalgia, provando la sensazione di aver perso tutto, né guardo avanti con preoccupazione perché non so cosa ci sarà. E’ il momento in cui si spalanca una porta, un sogno: il respiro del tempo all’infinito, ma il momento che dà significato ad ogni tempo. Ogni secondo della vita, ogni millesimo di secondo non è mai inutile, non è mai insignificante se doniamo il tempo, se diamo la nostra vita. Questo ci ha insegnato il Signore con la sua vita e questo è quello che noi ricordiamo delle persone che ci sono passate accanto: che qualcuno ha fatto qualcosa perché gli piaceva, perché era bello donare; nessuno ci porta via questa sensazione, nessuno ci porta via il bene ricevuto.  Vorrei augurare a tutti, ai bambini e ai ragazzi, agli adolescenti animatori e agli adulti che li accompagneranno, ai preti e alle suore e ai genitori che questa estate sia un tempo di crescita. Dove non ci si ricordi solo del divertimento, ma che per imparare ad essere persone umane ricche occorre il tempo del dono, il tempo in cui si diventa uomini e donne. E che di questa aria nuova le nostre comunità imparino a respirare. Battibaleno vuol dire un attimo, ma che sia un attimo di vita per la gioia di tutti!
+ Francesco.  

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