letterina 20111030

Muro e speranza

Un muro resta sempre in piedi, muro contro il quale ciascuno si scontra e che minaccia di frantumare il nostro sogno di felicità: la morte. Non c’è nulla di più certo del fatto che un giorno moriremo. E’ d’altronde l’unica cosa di cui siamo assolutamente sicuri per quanto riguarda il nostro avvenire. “La morte è l’ultimo nemico”, dice san Paolo (cf.  ICor 15,26).
Ma la fede ci assicura che la vita che conduciamo quaggiù è solo il primo atto di una vita che durerà eternamente oltre la morte. Questo lo sappiamo unicamente dalla fede. Su questo punto, nessuna saggezza dei popoli, nessuna filosofia di grandi pensatori può dare qualche aiuto. Si tratta di pura fede: “Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti” (ICor 15,19). E Paolo lo grida talmente forte da rintronare gli orecchi: “La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo”.
Ci è possibile qualcosa d’altro, se non sperare? E di una speranza “divina”, fondata su Dio e sulle sue promesse? La speranza è il muscolo cardiaco del cristiano, ma non è uguale a utopia. Di utopie ne abbiamo avute molte, ma sono tutte crollate una dopo l’altra. Perché continuare a cercare nei sogni che ci siamo suggeriti noi stessi, il trampolino per il salto nell’ignoto? In ogni utopia siamo noi i garanti della speranza, essa non può venirci da altrove. Non può che appoggiarsi su degli esseri umani, e gli esseri umani hanno solo promesse umane, non promesse divine. La speranza “divina” poggia su un fatto: la risurrezione di Cristo dai morti. Questo non è un sogno, una fiaba, un racconto mitico,  ma un fatto storico attestato da testimoni degni di fede. “Abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti”, dicevano gli apostoli (cf. At 10,41). La nostra speranza poggia su dei fatti ed è interamente basata sulla potenza di Dio.

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letterina 20111023

Come il Padre ha mandato me...

Andate e annunciate
Questo obiettivo viene continuamente ravvivato dalla celebrazione della liturgia, specialmente dell’Eucaristia, che si conclude sempre riecheggiando il mandato di Gesù risorto agli Apostoli: “Andate…” (Mt 28,19).
La liturgia è sempre una chiamata ‘dal mondo’ e un nuovo invio ‘nel mondo’ per testimoniare ciò che si è sperimentato: la potenza salvifica della Parola di Dio, la potenza salvifica del Mistero Pasquale di Cristo.
Tutti coloro che hanno incontrato il Signore risorto hanno sentito il bisogno di darne l’annuncio ad altri, come fecero i due discepoli di Emmaus.
Essi, dopo aver riconosciuto il Signore nello spezzare il pane, «partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme dove trovarono riuniti gli Undici» e riferirono ciò che era accaduto loro lungo la strada (Lc 24,33-34). Il Papa Giovanni Paolo II esortava ad essere “vigili e pronti a riconoscere il suo volto e correre dai nostri fratelli a portare il grande annunzio: “Abbiamo visto il Signore!”» (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 59).


A tutti
Destinatari dell’annuncio del Vangelo sono tutti i popoli. La Chiesa, «per sua natura è missionaria, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il disegno di Dio Padre» (Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Ad gentes, 2). Questa è «la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare» (Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 14). Di conseguenza, non può mai chiudersi in se stessa. Si radica in determinati luoghi per andare oltre. La sua azione, in adesione alla parola di Cristo e sotto l’influsso della sua grazia e della sua carità, si fa pienamente e attualmente presente a tutti gli uomini e a tutti i popoli per condurli alla fede in Cristo (cfr Ad gentes, 5).

Dal Messaggio del Santo Padre per la 85 Giornata Missionaria Mondiale

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letterina 20111015

AAA...ADOLESCENTI cercasi

Torno dall’Oratorio, lunedì sera, il secondo degli incontri degli adolescenti.
Provo una strana sensazione, un misto di amarezza e delusione.
Era simile a quella di lunedì scorso, ma, essendo la prima volta, con i catechisti ado ci eravamo detti : “non l’avranno saputo tutti, Facebook utilizzato per l’invito non sarà stato azzeccato, avranno già tanti compiti, non avranno voglia, non si sentono sicuri a uscire di sera… Ora, il numero non è aumentato, anzi, alcuni che c’erano l’altra volta, a questa mancavano; li abbiamo visti solo al termine: tre nel bar del paese, due sullo scooter a pomiciare, uno puntuale là dove il papà in macchina viene a prenderlo dopo l’incontro (al quale lui non c’era), altri due ai primi approcci col fumo…
Mancavano pressoché tutti quelli del primo anno dopo le medie; pochi del secondo (quello al quale guardiamo anche con una certa attenzione essendo i primi con i quali abbiamo spostato la terza media al sabato e proposto la promessa d’impegno); qualcuno dei più grandi.
Ne abbiamo visti tanti alle iniziative estive, alla festa di Comunità (nella quale si sono anche dati da fare) e al Cre; e proprio nella formazione di questo appuntamento, ricordiamo sempre che il Cre non è un fungo estivo: c’è un prima, nel quale si fa un percorso, si approfondiscono alcuni temi, ci si confronta; e c’è un dopo, nel quale continuare con uno stile. In alcune parrocchie e oratori è stata fatta una scelta decisa: chi non partecipa durante l’anno ai gruppi di formazione e/o animazione, non viene accolto per fare l’animatore del Cre, vedendo nelle diverse iniziative il necessario apprendistato, non solo per fare l’animatore, ma per esserlo. Qui siamo proprio in questo dopo che è anche un prima.
Del resto, come si può animare se non si ha nulla da dare?
Potremmo valutare anche noi questa possibilità, non certo come ricatto, ma come un aprire gli occhi su qualcosa di prezioso. Ma, senza arrivare lì, sarebbe interessante arrivare a capire che un’ora la settimana per un cammino condiviso, ci può stare tutta, senza sconvolgere orari, compiti, risultati scolastici…anzi!
Forse, anche una parola da parte dei genitori (ai quali sono rivolti tre martedì di ottobre sul tema dell’adolescenza) non guasterebbe, perché non si educhi solo a ricevere, ma anche a dare: tempo, energie, passione per la vita e, perché no, anche per la fatica necessaria per crescere.

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letterina 20111008

Q come Quotidiano

In una sorta di vocabolario del cristianesimo, sotto la  Q  potremmo mettere la parola quotidiano, con la quale possiamo leggere la prima tappa del nostro cammino pastorale: Entra nel profumo delle quotidianità. E non c’è bisogno né di forzarla né di stirarla: per quanto umile e dimessa – o proprio per questo? – essa incrocia i misteri centrali nella nostra fede. Provare per credere. La Trinità: “Io oggi ti ho generato”, dice il Padre al Figlio. L’incarnazione: “Oggi è nato il Salvatore”, cantano gli angeli a Natale. La morte del Crocifisso: “Oggi  sarai con me in paradiso”, promette Gesù al ladrone pentito. La resurrezione, che non relega Cristo nel passato, ma lo rende presente sotto qualsiasi cielo, in qualunque giorno della storia: “Io sono con voi tutti i giorni…”.Ma questa parola fa parte anche del nostro vocabolario. Troppe volte rischiamo di avere  –  e di dare!  – un’immagine distorta del cristianesimo: come se fosse un’accozzaglia di tante cose da fare, una somma interminabile di impegni da assumere, una minutaglia sparpagliata di regole e di precetti da osservare. Non è questa la logica dell’incarnazione.  “Il mistero dell’incarnazione di Dio nella storia conferisce alla vita una “grandezza religiosa”: un orizzonte incommensurabile si apre sul quotidiano, che diventa luogo dell’incontro con Dio, sacramento continuo della sua presenza. Sono contenute qui anche le dimensioni del nostro impegno: vivere fedeli al Signore Gesù significa ripetere nella nostra vita la sua vita, con la stessa radicalità e semplicità”. Da ripetere: radicalità e semplicità. Il vangelo del quotidiano si colloca proprio a questo incrocio. Il cristianesimo non è una proposta eccezionale per persone straordinarie, e la carità – che è il carisma più grande, ma non perché è il più singolare – non è un’enorme quantità di rinunce e di sacrifici, ma l’amore negli atteggiamenti più feriali e normali: umile, mite, tollerante, fiducioso…Ma la vita è fatta soprattutto di quotidiano, e comunque anche le scelte più alte e difficili maturano proprio nel quotidiano, nel lento, monotono, oscuro giorno per giorno. Il vero cristiano è colui che vive ogni giorno come fosse l’ultimo, come fosse il primo, come fosse l’unico, secondo l’ammonizione di Dante: “Pensa che questo dì mai non raggiorna”.     
+Francesco Lambiasi

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letterina 20111001

Sui passi di Francesco

 Francesco, il piccolo grande uomo, non catalogabile, inafferrabile come il suo Signore, è il solo che ha creduto e voluto vivere il Vangelo senza commenti.
La sua è una conversione in cui, il prodigio-dramma della parabola del figlio prodigo, si realizza in pochi istanti. Francesco è a cavallo… vede un lebbroso… si mescolano paura e voltastomaco… scappa… ma dopo pochi metri frena il suo cavallo… sente un brivido che non è più paura, ma calore e lucidità che lo porta a guardarsi indietro.
Rientra in se stesso e torna indietro.
Scende da cavallo e bacia il lebbroso. Sì, il lebbroso, con le sue piaghe, la sua forza di contagio, il suo odore insopportabile come lo sono tutte le povertà.
da quel giorno dirà: “Il Signore mi condusse da loro…”, dai lebbrosi, chiedendogli di andare oltre il recinto, dove scoprirà che proprio fuori dall’accampamento, dalla città, dal suo palazzo è il luogo dell’uomo.
Francesco fa la scelta dell’essenziale: rientra in sé e intraprende l’unica via che fa ritrovare il senso originario delle cose e che riconcilia con tutte le creature. La rinuncia.
Da allora pregherà così: “Donaci fede diritta, speranza certa, carità perfetta e umiltà profonda”. Ed è questa umiltà profonda che gli fa vivere ciò in cui crede, lo porta a credere in ciò che spera e a sperare la realizzazione di ciò che ama. Vive fra sogno e realtà, desiderando. Un desiderio così forte che i suoi sogni divengono realtà.
Un giorno Francesco dirà una grave verità: “L’importante non è che noi siamo buoni o santi, ma l’importante è che Dio sia Dio”.
Francesco si è sempre sentito creatura e ha chiamato tutto creature, senza mai provare a sostituirsi a Dio. Ha quasi un bisogno fisico di toccare il divino e di sacralizzare l’umano. Per questo a Greccio, durante un Natale, sente la necessità di realizzare il presepe con personaggi vivi; allo stesso modo a La Verna, sente che non può fare a meno di provare fisicamente la stessa intensità del dolore di Gesù sulla Croce accogliendo le stigmate. Il suo percorso di vita assomiglia a quello del baco da seta. Il baco comincia a filare la seta e costruire la casa nella quale dovrà morire. Mangia le foglie di gelso, elabora il filo di seta, costruisce il bozzolo, tanta fatica e tanta cura per costruirsi quella casa dove dovrà  morire per diventare qualcos’altro: umiltà profonda.

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letterina 20110924

Presenze

L’occasione del battesimo di dieci bambini nella celebrazione eucaristica domenicale, ci fa aprire una semplice riflessione su questo sacramento.
 
La Comunità cristiana è la grande famiglia che si stringe intorno alla piccola famiglia dei battezzati, per fare festa con i  nuovi bimbi, dono del Padre per tutta l’umanità. Riconoscendo la mano di Dio in questa nascita, la comunità offre a sua volta un dono ai piccoli nati: il sacramento del battesimo.
Certo, sono la mamma e il papà a chiederlo. Esso è dono ma anche scelta che impegna per tutta la vita. Come ogni faccenda umana che comporta un “per sempre”, i genitori per primi percepiscono l’importanza del momento. Chiedendo il battesimo essi dicono in un certo modo di non farcela da soli nel crescere il bambino. Hanno bisogno di chiedere che il Signore stia dalla loro parte.
Accanto ai genitori ci sono i padrini e le madrine: la loro presenza li impegna, assumendo verso i bambini un doppio compito: quello di aiuto nell’educazione dei piccoli e quello di fare memoria di quanto è stato promesso nel giorno del battesimo.
Poi , il sacerdote: compiendo gesti antichi e pronunciando parole che svelano il mistero della vita,  si fa segno dell’accoglienza di tutta una comunità,  quella che, accogliendoli,  li ammette come nuovi fratellini e sorelline .
Tra qualche anno questi bambini sederanno alla mensa del Signore con i grandi e impareranno con loro a spezzare il pane in memoria di Gesù.
I fedeli presenti al Battesimo simboleggiano tutti gli uomini e le donne che professano la fede in Cristo. Celebrando il sacramento i cristiani consolidano l’esperienza della comunione dei fratelli nella fede: un solo corpo e un solo spirito in Cristo Gesù.
 
Proprio quel Gesù che “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”. Un orizzonte promettente.

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