letterina 20140503

La locanda di Emmaus

Io sono una locanda. Una sera di tanto tempo fa - era appena tramontato il sole - entrarono due che sembravano viaggiatori come ne vedevo continuamente.
Dietro di loro ce n’era un altro, diverso: era dietro a loro ma sembrava che li avesse guidati lì; era vestito come un viaggiatore ma il suo aspetto era sereno, era capace di attrarre. Scelsero il tavolo nel mio angolo più nascosto. Mentre gli altri avventori chiamavano l’oste e si lamentavano della sua lentezza essi parlavano fitto fitto tra loro. Anche se il tono della loro voce era basso, io potevo sentire tutto. Stavano ricordando la giornata trascorsa e si dicevano che peggio di come era cominciata non potevano immaginarselo. Si erano alzati - svegliati non si può dire, visto che avevano passato una notte insonne – presto, ancora prima che sorgesse il sole, perché avevano deciso di lasciare per sempre Gerusalemme e, con essa, anche la loro amicizia con Gesù. Sì, Gesù che per loro era stato un profeta potente in parole e opere, che aveva fatto nascere in loro la speranza di una vita nuova, diversa, una vita fatta di comunione, di generosità, di apertura verso tutti. Proprio Gesù che era appena stato crocifisso. Morto e sepolto da alcuni coraggiosi che ne avevano chiesto il corpo a Pilato. E con lui morte anche le loro speranze. Parlavano, meglio: borbottavano mentre si dirigevano fuori dalla capitale verso una piccola cittadina di nome Emmaus. Era da lì che venivano ed avevano deciso di tornare lì a riprendere la vita di prima. Erano delusi, arrabbiati, tristi e pensavano alla vergogna che i compaesani gli avrebbero fatto provare quando sarebbero arrivati a casa dopo aver “buttato via” mesi interi dietro al rabbì di Nazaret. Il loro cuore stava diventando di ghiaccio. Il gelo della morte di Gesù aveva preso anche le loro menti. Non sapevano più ragionare se non in modo negativo, pieno di pessimismo e rabbia. Borbottavano: “Ne è valsa la pena?” e “Che stupidi siamo stati a credere nel perdono, nell’amore, nella generosità! Guardalo, dov’è finito il maestro di queste cose: sulla croce!” ...Lo straniero ora prende il pane e lo spezza. Proprio come Gesù la notte del suo arresto. E la luce dalle sue mani! E il suo volto! E le parole che li hanno accompagnati per tutto il giorno… “Ma è lui! E’ Gesù! Ma allora è risorto! Ma allora il perdono è possibile, la comunione è possibile, allora non si è illusi se si crede all’amore, se si mantiene viva la speranza del bene!”. Eccoli adesso correre verso Gerusalemme, la città che volevano abbandonare, per dire a tutti che Gesù, come il sole, ha sciolto il loro gelo e così farà con tutti i cuori che gli daranno accoglienza. Oggi e per sempre!!! Mi piacerebbe essere ricordata per sempre come la locanda di Emmaus, quella dalla porta aperta.

 

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letterina 20140510

"SELFIE"

Ai giorni nostri ci si interroga, e non senza motivo, sulla “convenienza” delle nostre azioni. E così la “convenienza” tende ad essere il termometro della società e delle nostre scelte. Conviene studiare? Conviene laurearsi? E dove conviene di più? Tutte domande legittime che, tuttavia, vanno trattate con cautela. All’estremo potremmo infatti chiederci se conviene nascere per poi dover morire? Se ci limitassimo a questo approccio dimenticheremmo la cultura del dono e la specialità della persona umana, che sta nella sua “consapevolezza”. Consapevolezza che la vita, per credenti e non, è un dono e che se vissuta consapevolmente fa scorgere la fine come la restituzione attesa del donato. E così si studia e si va all’Università, per essere più consapevoli, per avere più coscienza di sé e della relazione con gli altri. Anche questo conviene anche se non si misura.
I giorni nostri sono poi anche la manifestazione un po’ stentata del “consumo tecnologico” ed è bello interrogarsi sul ruolo delle nuove tecnologie, anche sulla loro “convenienza” per la nostra qualità della vita. L’auspicio qui è che le nuove tecnologie non portino filtri alla realtà ma ci aiutino a vederla e a capirla meglio.
Mi hanno impressionato, a riguardo, le persone intorno al Pontefice in occasione della santificazione di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II. Quando Papa Francesco varcava la folla questa era tutta intenta a fotografarlo. Certo, ognuno si portava un ricordo, ma l’incontro visivo veniva filtrato da iPad, iPhone e altri dispositivi fotografici. E, tuttavia, la profondità di uno sguardo diretto, non filtrato anche se breve, vale forse più del miglior “selfie”. Ti ricorderai allora di aver visto il Papa non di averlo fotografato per poterti rivedere con lui. Dietro vi è sempre la consapevolezza che trasforma positivamente ogni scoperta scientifica e tecnologica.
I giorni nostri sono anche quelli della perdita della “calligrafia”. Ecco, vorrei dire ai giovani, non perdete la vostra “calligrafia” è una parte della vostra identità, quella che vi siete costruiti. Facciamo attenzione al processo di omogenizzazione indotto dalle nuove forme di comunicazione. Certo indietro non si torna, ma l’auspicio è che almeno si riesca recuperare in altro modo la propria identità e il proprio modo d’essere, affinchè l’innovazione sia ricerca del meglio piuttosto che “nervosi culturale e sociale”. 

Stefano Paleari

 

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letterina 20140419

E sarà giorno...

Vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa (1Pt 2,9)
Abbiamo vegliato insieme. Non so che cosa abbiamo provato in cuore questa sera, vegliando, ascoltando, rivivendo insieme eventi ed eventi della storia, dell’umanità.
La prima sensazione è proprio questa: che la nostra veglia nella notte non è una veglia a sé. Altri uomini, altre donne hanno vegliato prima di noi.
Ricordate Abramo, chiamato nella notte: "Prendi il tuo figlio, il tuo unico figlio che ami". Quella notte fu il passaggio di Dio.
Ricordate la veglia degli ebrei nella notte, con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano. Mangiano in fretta. Quella notte era il passaggio di Dio.
Ricordate la veglia nella notte intorno al sepolcro sigillato, il sepolcro di Cristo: vegliavano i soldati, vegliava il vecchio sinedrio, vegliava la paura, la paura che il sepolcro si aprisse. Ma vegliava anche il Padre che è nei cieli.
" Venisti come un ladro, o Dio, per rubare alla morte
il nostro fratello Gesù, che ci aveva amati
fino a farci dono della sua vita".
Quella notte fu notte di Pasqua, notte del passaggio di Dio.
Queste notti del mondo, queste veglie dell’umanità, veglie che si prolungano nei tempi, veglie di donne e di uomini che cercano, che soffrono, che lottano, che amano. E questo passaggio, quasi insperato, di Dio nelle notti dell’umanità. Anche noi dunque questa notte a vegliare. Ma non per nostro conto, partecipi nel cuore di tutte le veglie dell’umanità.
"Nella notte, o Dio, noi veglieremo con le lampade, vestiti a festa. Presto arriverai e sarà giorno".

Buona Pasqua di luce

 

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letterina 20140412

I giorni della tenerezza

Non so se dico una cosa vera, non so, ma io penso che quella piccola festa che gli organizzarono alcuni, pochi giorni prima di pasqua, fu come un balsamo buono per Gesù, che si portava dentro la ferita d’andare a morire, balsamo sulla sua ferita. Come era stato balsamo buono per Gesù l’unguento profumato, con cui Maria poco tempo prima l’aveva unto nella casa di Betania. Gesù veniva da quel profumo e furono profumo anche quegli ulivi che la gente, piccoli e grandi, agitavano per lui.
Possano, in questi giorni, i rami di ulivo nelle nostre case, evocare ai nostri occhi da un canto, tutto l’amore di cui Gesù è segno per noi e dall’altro, dire tutto l’amore che abbiamo per Gesù, tutto il bene che gli vogliamo. Ne seguiamo in questa settimana stupiti le orme.
E vorrei farvi notare innanzitutto una cosa, forse qualcuno l’avrà pure notata: nel suo vangelo, raccontando di quell’ingresso, Giovanni sembra cambiare la direzione della festa. Infatti noi quasi sempre chiamiamo l’evento 'ingresso di Gesù in Gerusalemme'. Ed è anche vero. Ma per Giovanni è ingresso o è uscita? Rileggendo il brano, ci accorgiamo che è scritto: "presero rami di palme e uscirono incontro a Gesù". Erano entrati in Gerusalemme per la festa, cambiano direzione. Come se avessero intuito che la città santa era un’altra, il tempio verso cui andare era un altro, era Gesù. Era come un cambiare direzione e andare verso lui. Anche noi con rami d’olivo entriamo nelle chiese, ma non è la chiesa che ci salva, è Gesù. La chiesa semplicemente a dire: "Segui lui e va’ a vedere".
Quanti fossero a sventolare ulivi quel giorno, non lo sappiamo.
Una cosa sappiamo: che di li a pochi giorni, quando sarà là in alto, appeso al legno, il legno della croce, di quelli che avevano sventolato rami di palme e di ulivo non ci sarà quasi nessuno, se stiamo ai vangeli. C’erano solo delle donne a guardare da lontano. Solo loro, le donne. Solo loro balsamo. Gli altri si erano fermati prima. E tu, fin dove arriverai?

 

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letterina 20140405

La beatitudine della speranza

No al pessimismo sterile 

84. La gioia del Vangelo è quella che niente e nessuno ci potrà mai togliere (Gv 16.22). I mali del nostro mondo – e quelli della Chiesa – non dovrebbero essere scuse per ridurre il nostro impegno ed il nostro fervore. Consideriamoli come sfide per crescere. Inoltre lo sguardo di fede è capace di riconoscere la luce che sempre lo Spirito Santo diffonde in mezzo all'oscurità, senza dimenticare che "dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia" (Rm 5,20). La nostra fede è sfidata a intravedere il vino in cui l’acqua può essere trasformata, e a scoprire il grano che cresce in mezzo alla zizzania. ...  In questo senso, possiamo tornare ad ascoltare parole del beato Giovanni XXIII in quella memorabile giornata dell’11 ottobre 1962: "Non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengono riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai {…}. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo. Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative..."

85. Una delle tentazioni più serie che soffocano il fervore e l’audacia è il senso di sconfitta, che ci trasforma in pessimisti scontenti e disincantati dalla faccia scura. nessuno può intraprendere una battaglia se in anticipo non confida pienamente nel trionfo. Chi comincia senza fiducia ha perso in anticipo metà della battaglia e sotterra i propri talenti. Anche se con la dolorosa consapevolezza delle proprie fragilità, bisogna andare avanti senza darsi per vinti, e ricordare quello che disse il Signore a San Paolo: "Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza" (2 Cor 12,9). Il trionfo cristiano è sempre una croce, ma una croce che al tempo stesso è vessillo di vittoria che si porta con una tenerezza combattiva contro assalti del male...

Dall’esortazione apostolica Evangelii Gaudium di Papa Francesco

 

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letterina 20140329

Lungo la strada

La strada è fatta per camminarci sopra e per incontrare la gente. Per vedere passare il mondo e per andargli incontro. Sentiero, tratturo o viale alberato, la strada è sì luogo di passaggio, ma può divenire anche spazio concreto per soste piacevoli in cui riassaporare il gusto antico dell'amicizia, in cui sorprendersi a raccontare, dove prendersi cura. Peccato che noi non siamo più tanto abituati alle strade a "misura di persona" e abbiamo creato le autostrade in cui non l'uomo è al centro, ma le automobili e la loro velocità. Abbiamo fatto del mezzo (automezzo) il fine.
Ricordo ancora con una certa emozione quella volta in cui mi recai a Fiumicino a ricevere tre preziosi ospiti, che per la prima volta uscivano dal loro lontano villaggio africano in Congo. Non avevano mai visto una casa di mattoni e ora erano scaraventati ai piedi di palazzoni alti alti, non avevano conosciuto l'asfalto e ora ne potevano vedere a perdita d'occhio. Mentre si procedeva in autostrada Arsen venne fuori con una domanda: "Ma su questa strada non c'è nessuno che cammini a piedi?". La mia risposta fu altrettanto pronta: "Non solo non c'è nessuno che cammini a piedi, ma è addirittura vietato!". Chiunque abbia conosciuto un poco d'Africa comprende bene il senso della domanda di Arsen. Chiunque sia stato nell'Africa scartata dagli itinerari turistici e ritagliata fuori dalle riserve esclusive dei club superorganizzati, conosce le file di persone che procedono lentamente a piedi per ore e ore per arrivare al mercato, al fiume, al pozzo, al villaggio vicino, al dispensario. Teoria composta di una umanità dolente eppure tanto più umana di quella inscatolata nelle automobili lanciate a freccia sull'asfalto.
Ma sulle nostre strade qualcuno si prende cura?

 

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