letterina 20140726

Voce rassicurante

Mentre nei Vangeli di queste Domeniche continuiamo ad ascoltare un Gesù che racconta la vita e il Regno attraverso le parabole, vi propongo queste righe di Massimo Gramellini in : La magia di un buongiorno. Parla di favole, ma la cosa bella è che una favola -come una parabola, una storia…-va raccontata. Da una voce rassicurante, appunto.
Le favole sono come i panda. Stanno scomparendo.
Ormai soltanto il 16 per cento dei bambini fra i due e gli otto anni - recita una ricerca inglese - si addormenta al suono di una storia raccontata dai genitori. Dieci anni fa erano ancora il 30 per cento, trent'anni fa il 75 per cento. La deduzione inesorabile è che la prossima generazione avrà un'infanzia senza favole, se non nella versione transgenica offerta da computer e tv.
Secondo gli psicologi, quei dieci minuti prima della buonanotte in cui papà o mamma si sedevano accanto alletto del pupo per raccontargli di Biancaneve o di un altro personaggio inventato lì per lì non erano solo il più straordinario sonnifero mai creato dall'uomo. Rappresentavano il momento decisivo nella formazione morale del bambino: era in quel mondo popolato da mostri e fate che il piccolo apprendeva dalla voce rassicurante dei genitori la differenza fra bene e male.
Meno favole, più baby gang: un' equazione facile da dimostrare.
Perché milioni di genitori abbiano rinunciato a educare con la fantasia è un discorso che conosciamo bene: stanchezza da lavoro, pigrizia, famiglie dimezzate (e compiti raddoppiati) dai divorzi.
Smettiamola almeno di incolpare la scuola e la tv per la maleducazione dei nostri figli. Rimane la speranza di un'illuminazione collettiva sull'orlo dell'abisso: le favole sono come i panda, ma nessun WWF potrà salvare i sette nani.

 

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Estate 2014

 

Mare stile familiare

Festa di Comunità 1

 

Festa di Comunità 2

     
 

letterina 20140719

Terra e... Pianoterra

Il nostro cuore è un pugno di terra, seminato di buon seme e assediato da erbacce. “Vuoi che andiamo a raccogliere la zizzania?” domandano i servi.
La risposta è perentoria: «No, perché rischiate di strappare il buon grano!».
L'uomo violento che è in me dice: strappa subito tutto ciò che è immaturo, sbagliato, puerile, cattivo. Il Signore dice: abbi pazienza, non agire con violenza, perché il tuo spirito è capace di grandi cose solo se ha grandi motivazioni positive, non se ha grandi reazioni immediate. Mettiamoci sulla strada su cui Dio agisce, adottiamo il suo stile: per vincere la notte accende il mattino, per far fiorire la steppa getta infiniti semi di vita, per far lievitare la massa immobile immette un pizzico di lievito. Questa è la attività solare, positiva, vitale che dobbiamo avere verso noi stessi. Dobbiamo liberarci dai falsi esami di coscienza negativi, centrati sul male. La nostra coscienza chiara, illuminata e sincera deve scoprire prima di tutto ciò che di vitale, bello, buono, promettente, Dio ha seminato in noi. E far sì che porti frutto.
Arriviamo al termine del Cre e vorrei avere questo sguardo: lo so, io per primo vedo alcune criticità, ma voglio, proprio guardando questa parabola, vedere il buon grano: la vivacità dei ragazzi, il darsi da fare degli animatori, la passione delle mamme dei laboratori e della cucina, la partecipazione dei genitori alle serate, la possibilità di pregare insieme ogni giorno, l’amicizia nata tra tanti, l’esultanza per la squadra che vince, la genuinità di una frase scritta sul quaderno in fondo alla chiesa, la verifica serale, il desiderio di ritrovarsi anche oltre il tempo del Cre, le foto ricordo... Tutto questo è buon grano che biondeggia al vento e che ci stimola a continuare.
Non preoccupiamoci prima di tutto della zizzania, dei difetti, delle debolezze, ma di coltivare una venerazione profonda per le forze di bontà, di generosità, di attenzione, di accoglienza, di libertà che Dio ci consegna. Facciamo che queste erompano in tutta la loro forza, in tutta la loro bellezza, in tutta la loro potenza e vedremo le tenebre scomparire. Questo è il messaggio della parabola: venera la vita che Dio ha posto in te, proteggila, porta avanti ciò che hai di positivo e la zizzania avrà sempre meno terreno. Tu pensa al buon grano, ama i tuoi germi di vita, custodisci ogni germoglio buono, sii indulgente con tutte le creature.
E anche con te stesso. E tutto il tuo essere fiorirà nella luce.

 

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Attività dopo CRE

Estate 2014

Mare stile familiare

     
     
 

letterina 20140712

Entusiasmo

L’entusiasmo è contagioso. Ma voi sapete da dove viene questa parola: entusiasmo? Viene dal greco e vuol dire “avere qualcosa di Dio dentro” o “essere dentro Dio”. L’entusiasmo, quando è sano, dimostra questo: che uno ha dentro qualcosa di Dio e lo esprime gioiosamente. Siete aperti – con questo entusiasmo - alla speranza e desiderosi di pienezza, desiderosi di dare significato al vostro futuro, alla vostra intera vita, di intravedere il cammino adatto per ciascuno di voi e scegliere la via che vi porti serenità e realizzazione umana. Cammino adatto, scegliere la via… cosa significa questo? Non stare fermi – un giovane non può stare fermo! – e camminare. Ciò indica andare verso qualcosa; perché uno può muoversi e non essere uno che cammina, ma un “errante”, che gira, gira, gira per la vita… Ma la vita non è fatta per “girarla”, è fatta per “camminarla”, e questa è la vostra sfida! 

Da un lato, siete alla ricerca di ciò che veramente conta, che rimane stabile nel tempo ed è definitivo, siete alla ricerca di risposte che illuminino la vostra mente e scaldino il vostro cuore non soltanto per lo spazio di un mattino o per un breve tratto di strada, ma per sempre. La luce nel cuore per sempre, la luce nella mente per sempre, il cuore riscaldato per sempre, definitivo.
Dall’altro lato, provate il forte timore di sbagliare - è vero, chi cammina può sbagliare –, provate la paura di coinvolgervi troppo nelle cose - l’avete sentita, tante volte -, la tentazione di lasciare sempre aperta una piccola via di fuga, che all’occorrenza possa aprire sempre nuovi scenari e possibilità. Io vado in questa direzione, scelgo questa direzione, ma lascio aperta questa porta: se non mi piace, torno e me ne vado. Questa provvisorietà non fa bene; non fa bene perché ti fa venire la mente buia e il cuore freddo.
...Tuttavia, cari giovani, il cuore dell’essere umano aspira a cose grandi, a valori importanti, ad amicizie profonde, a legami che si irrobustiscono nelle prove della vita anziché spezzarsi. L’essere umano aspira ad amare e ad essere amato.
Questa è la nostra aspirazione più profonda: amare e essere amato; e questo, definitivamente.

Papa Francesco ai giovani di Abruzzo-Molise, 5 luglio 2014

 

 

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Estate 2014

 

Mare stile familiare

     
     
 

letterina 20140705

Catastrofe? No, parto

 

Da alcune settimane la Diocesi di Bergamo ha sette preti in più, i novelli.
Ci sono state feste e accoglienze nei paesi nativi o del ministero. Dopo la festa, il conto. Occorre, cioè, guardare dentro i numeri. Per evitare illusioni e, se abbiamo coraggio, per cominciare a sperimentare quello che, inevitabilmente, saremo costretti a fare tra qualche anno. Che piaccia o meno. I numeri restituiscono, brutalmente, anche nella nostra diocesi, un dato incontrovertibile: la continua, progressiva – e, a prima vista, inarrestabile – diminuzione dei preti. Anno dopo anno, nonostante alcune eccezioni, il numero degli ordinati diminuisce. Un saldo negativo sempre più pesante. Tra i sacerdoti che muoiono e quelli che abbandonano (e non sono pochi nell’ultimo decennio) sono sempre meno e si alza la loro età media. Un numero ogni anno più grande di parrocchie non vede più la presenza del curato. Certo, il trend è in linea con quello europeo (non mondiale, dove grazie all’incremento di preti in Africa e in Asia il segno è positivo): dal 1978 ad oggi i sacerdoti diocesani in Italia sono calati del 30% ...Una situazione di questo genere è vista da molti come una catastrofe, una rovina. A me piace immaginarla, invece, con un’altra immagine: quella del parto. Si sono rotte le acque, la disgregazione del precedente equilibrio è in funzione di uno nuovo. Ciò che sta accadendo nelle Chiese d’occidente non è la fine del mondo ma la fine di un certo mondo e l’inizio di un mondo nuovo. Non è la fine del Cristianesimo ma di un certo Cristianesimo. E se uno ha gli occhi della fede può cominciare a intravedere i germi di un ricominciamento. Mi chiedo infatti se la cosiddetta crisi vocazionale sia piuttosto un segno dei tempi con cui Dio vuole parlare ad una Chiesa distratta per costringerla a prendere decisioni inedite ma epocali, adeguate alle esigenze del presente per rispondere in tempo all’anelito di Dio che sale dalle viscere del mondo...È necessario che il prete non assommi in sé tutti i ruoli funzionali: leader, liturgo, economo, organizzatore, animatore ecc., ma riservi a sé il servizio dell’unità, della preghiera e della Parola, lasciando tutto il resto a chi può e sa farlo meglio di lui. Non è forse giunto il momento di cominciare a mettere in pratica tutto questo?

Da: Diario di un laico di Daniele Rocchetti

 

 

 

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Estate 2014

 

Mare stile familiare

     
     
 

letterina 20140628

Estate 2014: abitare

 

“E il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14)
“Venite, costruiamoci una città…” (Gen 11,4)
“Quando presterai qualsiasi cosa al tuo prossimo, non entrerai in casa sua per prendere il suo pegno” (Dt 24,10)
“La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre” (2Sam 7,16).
“Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia” (Mt 7,25)
Il tema dell’abitare si pone in continuità con quanto proposto gl’anni scorsi: la parola e il corpo, per raggiungere il loro compimento hanno bisogno di “prendere dimora” nella vita degli uomini, di “venire ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). È un tema che si pone in continuità anche perché, come sempre, ha la pretesa di incrociare un’altra dimensione fondamentale dell’esistenza – e quindi della Fede – quale è quella dell’abitare. Come la vita degli uomini non può prescindere dal parlare e dal porre gesti, così non può fare a meno di ‘trovare casa’, di ‘fare casa’ su questa terra in cui Dio ci ha collocato; e fin dall’inizio, a prescindere dal risultato, pare sia stato proprio così: “venite, costruiamoci una città…” (Gen 11,4).
In altre parole, per entrare in relazione con sé, con gli altri e con Dio occorrono certamente parole e gesti efficaci, ma se questi non prendono dimora, non si radicano nelle pieghe dell’esistenza umana, rischiano di essere lasciati alla mercé del tempo che passa e scivolano via come l’acqua sulla roccia. Se si vuole continuità, occorre prendere dimora, occorre abitare e far abitare.
E già qui si può cogliere una prima sostanziale questione intorno all’“abitare”: nasciamo senza aver avuto la possibilità di scegliere dove abitare e moriamo venendo ‘giudicati’ per dove e come abbiamo abitato ovvero per quello che
abbiamo costruito. C’è una passività dell’abitare che non può che essere accolta e c’è un’attività dell’abitare che non può che essere agita in ogni esistenza se si vuole dire degna di essere vissuta.
E’ la sfida delle esperienze estive che stiamo vivendo in comunità.

 

 

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Estate 2014

 

Mare stile familiare

     
     
 

letterina 20140621

Gesù e Giovanni si assomigliano

In tutti i vangeli, la vita e il ministero di Giovanni Battista vengono premessi al racconto della nascita e della predicazione di Gesù; gli evangelisti lo identificano con il «messaggero» annunciato da Malachia (Ml 3,23-24; Le 1,17), come il redivivo Elia che doveva preparare l'avvento del Cristo (Mt 17,10-13; Le 1,17). Questo personaggio della storia di Israele, eminente fra tutti gli uomini (Mt 11,11), che nel Prologo del Vangelo di Giovanni viene definito il «testimone» per eccellenza dell'avvento del Verbo fra i suoi, ha tale importanza che taluni pensavano addirittura che fosse lui il Messia (Le 3,15; Gv 1,20). E questa possibile confusione tra il testimone della luce e la Luce vera (Gv 1,7.9; 5,35) scaturisce dal fatto che il Battista è 'figura' di colui che verrà dopo di lui (ma era «prima di lui»: Gv 1,30).
Giovanni e Gesù si assomigliano, non tanto perché provenienti da un identico ceppo famigliare, ma perché sono mossi dal medesimo Spirito e sono chiamati a significare il medesimo dono di salvezza. Infatti il miracolo del parto di Giovanni da genitori anziani e da una madre sterile, e il nome del bambino imposto dall'angelo hanno il corrispettivo e il compimento nella nascita dal grembo verginale di Maria e nel Nome di Gesù «<Salvatore» suggerito da Gabriele.
E la stessa cosa vale per il periodo di vita 'nascosta', nel deserto per il Battista e a Nazaret per Gesù, e poi per la vita 'pubblica' dei due, con la coincidenza nel rito del battesimo, con la convergenza nel messaggio predicato (Mt 3,2 e 4,17) e nella straordinaria efficacia della loro parola profetica che attirava le folle (Mt 3,5; 4,23-25). E infine il comune martirio, subìto per la fedeltà alla loro vocazione profetica.

Accogliendo Giovanni Battista noi accogliamo dunque colui che ci porta da Gesù, che ce lo 'fa vedere', non solo indicandolo con lo sguardo (Gv 1,35-36), ma incarnandolo, in qualche modo, nella sua vita: se diventiamo discepoli del testimone, egli ci farà accedere all'incontro con il Signore (Gv 1,29-37).  

 

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Estate 2014

 

Mare stile familiare