letterina 20140614

Per fare la pace ci vuole coraggio

 ...Questo nostro incontro risponde all’ardente desiderio di quanti anelano alla pace e sognano un mondo dove gli uomini e le donne possano vivere da fratelli e non da avversari o da nemici.

Signori Presidenti, il mondo è un’eredità che abbiamo ricevuto dai nostri antenati, ma è anche un prestito dei nostri figli: figli che sono stanchi e sfiniti dai conflitti e desiderosi di raggiungere l’alba della pace; figli che ci chiedono di abbattere i muri dell’inimicizia e di percorrere la strada del dialogo e della pace perché l’amore e l’amicizia trionfino. Molti, troppi di questi figli sono caduti vittime innocenti della guerra e della violenza, piante strappate nel pieno rigoglio. E’ nostro dovere far sì che il loro sacrificio non sia vano. La loro memoria infonda in noi il coraggio della pace, la forza di perseverare nel dialogo ad ogni costo, la pazienza di tessere giorno per giorno la trama sempre più robusta di una convivenza rispettosa e pacifica, per la gloria di Dio e il bene di tutti.
Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza.
Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo. La storia ci insegna che le nostre forze non bastano. Più di una volta siamo stati vicini alla pace, ma il maligno, con diversi mezzi, è riuscito a impedirla.
Per questo siamo qui, perché sappiamo e crediamo che abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio. Non rinunciamo alle nostre responsabilità, ma invochiamo Dio come atto di suprema responsabilità, di fronte alle nostre coscienze e di fronte ai nostri popoli.
Abbiamo sentito una chiamata, e dobbiamo rispondere: la chiamata a spezzare la spirale dell’odio e della violenza, a spezzarla con una sola parola: “fratello”. Ma per dire questa parola dobbiamo alzare tutti lo sguardo al Cielo, e riconoscerci figli di un solo Padre. A Lui, nello Spirito di Gesù Cristo, io mi rivolgo, chiedendo l’intercessione della Vergine Maria, figlia della Terra Santa e Madre nostra.

Parole di Papa Francesco all’incontro di preghiera per la pace
con i Presidenti di Israele e Palestina.

 

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Settimana Patronale

Estate 2014

Mare stile familiare

     
     
 

letterina 20140607

Gesto profetico

 

Il Papa ha invitato israeliani e palestinesi a Roma per fare finalmente pace.
Cosa ne pensa?
Questo mostra bene quali siano il pensiero e il cuore di papa Francesco. Vuole la pace, ma non si pone come un leader politico. Chiama invece Israele e i palestinesi a pregare con lui in Vaticano, riconoscendo che si è tutti figli di Abramo, ma che in una vicenda come quella in atto in Terra Santa - in cui si può solo procedere a una riconciliazione e ad un perdono reciproco - l'unica strada cominciare a invocare il Signore e a pregare insieme. La pace non passa solo dai negoziati. Mi è sembrato il gesto più creativo mostrato nell’ultimo viaggio dal Papa, un gesto profetico altissimo.

Parlando ai musulmani alla Spianata delle Moschee, il Papa ha detto che non dobbiamo più usare il nome di Dio per combattere…
Ha ricordato che tutte le immagini date a Dio attraverso la violenza sono perverse e idolatriche. Lo ha detto alla Spianata del Tempio proprio mosso dalla convinzione - senza entrare in questioni politiche - che la violenza da ogni parte deve cessare. Perché nel nome di Dio si combatte da tutte le parti, non possiamo incolpare solo il terrorismo islamico, ad esempio quando c'è violenza anche da parte di alcuni ebrei ortodossi. Dicendo basta alla violenza e alla strumentalizzazione del nome di Dio per giustificarla, Francesco ha ribadito che la sola via da percorrere è quella del perdono. 

Da un’intervista a Enzo Bianchi

 

 

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Settimana Patronale

Estate 2014

Mare stile familiare

     
     
 

letterina 20140517

Il coraggio nasce dalla fame

Mi sono messo a leggere ultimamente “Carne e sangue”, di Michael Cunningham: parla di una famiglia di greci poveri, che va in America. Il babbo fa un orto e il bambino di otto anni gli chiede “Babbo, fammi fare un pezzo d’orto anche a me”. E il babbo gli dà un pezzo di due metri per due di sabbia, e questo bambino di notte va nel pezzo di campo buono del babbo, prende una zolla di terra e se la mette in bocca, e la sputa sul suo pezzo. Vedete dov’è il coraggio di questo bambino? Non nell’aver chiesto un pezzo di orto, non nell’aver preso in bocca quelle zolle. Il coraggio vero di questo bambino è il coraggio della fantasia, quello di pensare che in due metri per due di sabbia ci può venire un orto, se ti dai da fare. Se noi abbiamo un problema o si usa la creatività o il coraggio. Non c’è un altro modo.
Ognuno di noi ha bisogno di tre sole cose: di un pezzo di pane, di un po’ d’affetto e di sentirsi a casa da qualche parte; se uno non trova queste tre cose impazzisce. E allora il coraggio non è quello degli eroi, è quello della fame.
Coraggiosi sono un babbo e una mamma che gli è morto un figlio, e la mattina provano a rialzarsi; è come Gesù con Lazzaro, quando con gli amici va e grida “esci fuori, non sopporto che tu stia lì in quella tomba, voglio continuare a portare la vita avanti anche per te”. Coraggioso è chi non ha lavoro e se lo inventa. Noi ci siamo accomodati troppo, pensiamo che tutto ci sia dovuto; il coraggio è quello di muoversi, non quello di lamentarsi sempre. Il coraggio vero è quello di togliere questo maledetto egocentrismo che ci ha avvelenato. Si può campare come si vuole, o con l’egoismo pieno o con il cuore che si apre in un altro modo. Il coraggio è anche quello di scegliere da che parte vuoi stare. Per finire, io amo molto il coraggio del pettirosso. A Romena abbiamo un caco, nel giardino. Noi abbiamo colto i cachi bassi, e lasciamo sempre quelli in cima, perché se no d’inverno gli uccellini non sanno dove beccare da mangiare, e vedi questi pettirossi sempre lì in cima. Ma quando c’è la neve e copre tutto, tante volte ho visto questi pettirossi venire alla finestrina dove sto io e picchiettare.
Bello il pettirosso perché è coraggioso, per fame non ha paura di niente, apparentemente. Ma vedete, soprattutto il pettirosso è gioioso, danza, gioca.
Coraggio, è anche questo. Trovare la gioia dentro la fatica. 

don Luigi Verdi

 

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Lettera alla Chiesa di Laodicea

 

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Pellegrinaggio a Lourdes

     
     
 

letterina 20140524

Regalare fiducia

Leggo da bastian contrario la parabola dei tre che un giorno si trovarono nelle mani una somma di denaro da capogiro, una cifra smisurata, solo che si pensi che un talento in quei tempi corrispondeva verosimilmente alla paga di sudore di anni e anni di fatica. E uno di loro di talenti se ne trovò tra le mani cinque, uno tre, il terzo uno, e non era poco! Il loro signore era in partenza per un viaggio, consegnava alla fantasia delle loro mani una parte ingente dei suoi beni. Era uno che credeva nelle loro capacità. Così è Dio. E’ un generoso, ha fiducia. Non è di quelli che ti stanno con il fiato sul collo, con mille controlli, non è della razza sospettosa dei sorveglianti, lui se ne va, si fida. Vuoi che, se tu ti dai da fare, non sia per occhi di padrone, ma per risposta a una fiducia. Il loro signore al ritorno li vide arrivare con un lago di gioia negl’occhi, tenevano in mano l’attesta di un aumento, di un raddoppio dei talenti. E, come fossero riusciti a tanto, forse non sarebbe stato felice nemmeno per loro spiegare. Che poi il loro signore fosse un generoso ne ebbero la riprova appena lo sentirono reagire: non solo non esigeva il ritorno dei talenti, che anzi li faceva partecipi della gestione del suo patrimonio. E non solo del patrimonio, anche della sua gioia. Ognuno dei due se lo sentì dire, le parole erano queste: "prendi parte alla gioia del tuo padrone". Quelle parole cantavano nell’anima. C’era da stropicciarsi gli occhi. Così fa Dio. Ma il terzo? Lo videro quello stesso giorno arrivare senza festa, aveva un lago buio negli occhi, un buio che teneva il viso, da parte a parte. Quando prese a parlare si accorse che le parole gli uscivano come legate e precipitose insieme, aspre, come il cuore che gli martellava dentro, disse: "Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra. Ecco ciò che è tuo!". La paura che ci fa nascondere, la paura che fa nascondere i talenti! La paura fa nascondere, sotterra la nostra intelligenza. Quasi fosse attentato all’umiltà o arroganza dello spirito il pensare con la propria testa. Mettere dunque in azione la nostra creatività, e nello stesso tempo sostenere la creatività degli altri. Come? Regalando fiducia.  Perché anche quest’ anno facciamo la prima Comunione? Per regalare fiducia...

 

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Visita alle 7 chiese

 

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Pellegrinaggio a Lourdes

Estate 2014

     
     
 

letterina 20140531

Disceso - Asceso

Nel giorno dell’Ascensione, colleghiamo la discesa e la salita al cielo, con un brano dell’omelia di Papa Francesco a Betlemme (25 maggio) dove cita tra l’altro l’Istituto che abbiamo visitato e che aiutiamo da alcuni anni come Comunità.
Che grazia grande celebrare l’Eucarestia nel luogo dove è nato Gesù.
Il Bambino Gesù, nato a Betlemme, è il segno dato da Dio a chi attendeva la salvezza, e rimane per sempre il segno della tenerezza di Dio e della sua presenza nel mondo. L’angelo dice ai pastori: «Questo per voi il segno: troverete un bambino…». Anche oggi i bambini sono un segno. Segno di speranza, segno di vita, ma anche segno “diagnostico” per capire lo stato di salute di una famiglia, di una società, del mondo intero. Quando i bambini sono accolti, amati, custoditi, tutelati, la famiglia è sana, la società migliora, il mondo è più umano. Pensiamo all’opera che svolge l’Istituto Effetà Paolo VI in favore dei bambini palestinesi sordo-muti: è un segno concreto della bontà di Dio. E’ un segno concreto che la società migliora. Dio oggi ripete anche a noi, uomini e donne del XXI secolo: «Questo per voi il segno», cercate il bambino…
Il Bambino di Betlemme è fragile, come tutti i neonati. Non sa parlare, eppure è la Parola che si è fatta carne, venuta a cambiare il cuore e la vita degli uomini. Quel Bambino, come ogni bambino, è debole e ha bisogno di essere aiutato e protetto. Anche oggi i bambini hanno bisogno di essere accolti e difesi, fin dal grembo materno. Purtroppo, in questo mondo che ha sviluppato le tecnologie più sofisticate, ci sono ancora tanti bambini in condizioni disumane, che vivono ai margini della società, nelle periferie delle grandi città o nelle zone rurali. Tanti bambini sono ancora oggi sfruttati, maltrattati, schiavizzati, oggetto di violenza e di traffici illeciti. Troppi bambini oggi sono profughi, rifugiati, a volte affondati nei mari, specialmente nelle acque del Mediterraneo. Di tutto questo noi ci vergogniamo oggi davanti a Dio, a Dio che si è fatto Bambino. E ci domandiamo: chi siamo noi davanti a Gesù Bambino? Chi siamo noi davanti ai bambini di oggi?
Siamo come Maria e Giuseppe, che accolgono Gesù e se ne prendono cura con amore materno e paterno? O siamo come Erode, che vuole eliminarlo? Siamo come i pastori, che vanno in fretta, si inginocchiano per adorarlo e offrono i loro umili doni? Oppure siamo indifferenti? Siamo forse retorici e pietisti, persone che sfruttano le immagini dei bambini poveri a scopo di lucro? Siamo capaci di stare accanto a loro, di “perdere tempo” con loro? Sappiamo ascoltarli, custodirli, pregare per loro e con loro?
O li trascuriamo, per occuparci dei nostri interessi?

 

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Pellegrinaggio a Lourdes

Estate 2014

     
     
 

letterina 20140426

Due papi per una chiesa in cammino

Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sono canonizzati assieme questo 27 aprile.

C’è un unico incontro tra il giovane vescovo polacco e il vecchio papa Roncalli: a Roma l’8 ottobre 1962, quando Giovanni XXIII ricevette il primate Wyszyński e i vescovi polacchi "che circondai di ogni più cortese cordialità" scrive il papa nell’agenda. Wojtyla, vescovo da quattro anni e amministratore di Cracovia, era in quel gruppo.
Papa Giovanni è stato molto amato dai cattolici polacchi, per la compressione dimostrata verso la linea del primate nei confronti del comunismo: fermezza e dialogo, ma anche cautela nell’evitare il rischio dell’invasione sovietica. Giovanni XXIII aveva voluto incontrare i vescovi polacchi, appena arrivati a Roma per il Concilio, ricordando la sua visita in Polonia nel 1929. Allora era stato nel santuario della Madonna nera di Częstochowa. Aveva visitato pure Cracovia, dove aveva celebrato la Messa nella cattedrale di Wawel. Fece anche molto piacere ai vescovi una battuta di Roncalli che, con simulata casualità, ricordò l’erezione di un monumento a un bergamasco, Francesco Nullo, "nelle terre occidentali recuperate dopo secoli".

Karol Wojtyla ha amato e stimato Giovanni XXIII da vescovo e da papa, lo ha beatificato. Nel 1981 si è anche recato in visita al paese natale, Sotto il Monte. Del resto papa Roncalli ha rappresentato la rottura con quel pessimismo che aleggiava nella chiesa della guerra fredda. La sua apertura agli altri non è stata ingenua bonomia, ma un modo profondo di concepire la missione della Chiesa nel XX secolo. Per lui, la Chiesa doveva andare incontro agli altri con franchezza e amabilità. Gli altri erano i non cattolici: quelli ”uomini di buona volontà”, ricordati nella sua enciclica del 1963 sulla pace, Pacem in terris, quasi il suo testamento.

Roncalli amava viaggiare aveva percorso tutta la Francia durante la sua nunziatura; conosceva molti Paesi della riva sud del Mediterraneo; aveva visitato i Balcani e la Turchia. Divenuto papa, compì un viaggio fuori Roma con il pellegrinaggio a Loreto e Assisi, che suscitò tanto entusiasmo perché per la prima volta dal 1870 il papa usciva dall’Urbe. Con quello spostamento di un giorno, si apriva la via dei grandi viaggi papali. Giovanni Paolo II ha amato anche lui gli incontri e i viaggi. Giovanni XXIII aveva voluto rimettere in movimento la Chiesa, aprire le porte e le finestre all’aria del mondo con il Concilio per meglio comunicare la fede e la speranza.
Paolo VI è stato la guida del Concilio e l’architetto della riforma postconciliare. E Wojtyla ha camminato nello spirito dei  due predecessori, portando il  nome di  entrambi... consapevole che non si può comunicare senza incontrare.

 

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Pellegrinaggio UP 1°Maggio

 

Pellegrinaggio a Lourdes

Lettera alla Chiesa di Sardi

 

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