letterina 20101128

L'affondo 

Seconda tappa anno pastorale: un ciuffo d'erba

E poi  cos'altro mettere nella bisaccia? Un ciuffo d'erba del monte. Per gli apostoli il monte è quello delle beatitudini, laddove di fronte alle folle sterminate suonò per la prima volta il messaggio di liberazione proposto da Gesù. Sicché portarsi nella bisaccia un ciuffo d'erba colto da quelle pendici fiorite significa, per il credente di oggi, portarsi incorporata l'allegoria della novità cristiana, della  novitas cristiana. Significa che lui stesso deve diventare icona della novitas cristiana al punto tale di dare la vita, senza riduzione in scala, per quelle che Ignazio Silone chiamava "apparenti assurdità". La povertà, la nonviolenza, la solidarietà, le testimoniamo vivendole mediante il perdono,
l'amore per i nemici, la passione per la verità, lo schieramento di parte accanto agli umiliati e agli offesi, l'abbandonarsi fiduciosi alla provvidenza...
Il mondo  di oggi, pur così distratto, si lascia ancora colpire dalla coerenza di quanti "rendono ragione della propria fede", qualunque essa sia. Sono le parole, semmai, che oggi rendono l'uomo indifferente. A non fare né caldo né freddo, all'uomo contemporaneo, sono le affermazioni di principio, quando esse non trovano riscontro nella vita. A rendere indifferente è l'insignificanza dei programmi che si prolungano nell'accademia e si esauriscono nel vaniloquio. I fatti concreti però lo seducono, le scelte di vita lo interpellano con forza e gli schermi dei suoi radar  - dei radar dell'uomo contemporaneo  - anche se sono refrattari a registrare la presenza dei loro maestri, registrano sempre la presenza dei testimoni.
Un'altra cosa importante: la testimonianza offerta agli uomini d'oggi, se vuole trovare eco nel loro cuore, deve essere genuinamente cristiana, genuinamente, con il marchio di origine controllata; perchè la gente, insospettita da in mercato così pieno di contraffazioni, è diventata guardinga, oggi; forse non coglie al volo le sofisticazioni alimentari, ma per le adulterazioni spirituali ha il fiato prontissimo. Concretezza e autenticità: è su queste coordinate  - da rintracciare non nelle carte nautiche o nei libri edificanti o nei nostri messali o nelle nostre sontuose liturgie, ma nella vita pratica dei cristiani coerenti - che gli uomini d'oggi - per quanto scettici, increduli o indifferenti, o anche diversi potranno incrociare la loro rotta con quella di Gesù Cristo.   

don Tonino Bello


Concretezza e autenticità che si presenteranno a noi in questo avvento con il volto e i passi di Maria, umile ancella. E dunque: concretezza, autenticità e umiltà:per respirare l'alta quota del monte delle beatitudini, e non far disseccare il ciuffo d'erba delle sue pendici nella nostra bisaccia

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Numeri telefonici dei sacerdoti dell’Unità Pastorale:

Don Lorenzo (Gromlongo) 035 540059 ; 3394581382.

Don Umberto (Barzana) 035 540012; 3397955650.
Don Paolo (Burligo) 035 550081.
Don Giuseppe (Palazzago) 035 550336 ; 3471133405.


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letterina 20101121

L'affondo 

Morire per amore

Quando, nel 1996, i sette monaci di Notre-Dame de l’Atlas in Algeria- una piccola comunità di trappisti di cui quasi nessuno aveva mai sentito parlare  - vennero rapiti e poi uccisi, l’opinione pubblica si commosse a tal punto che ci fu chi scrisse che "quei monaci in quaranta giorni avevano rievangelizzato la Francia". In realtà non furono i giorni di prigionia e la successiva morte brutale, ma piuttosto i lunghi anni di vita fraterna in mezzo ai credenti dell’islam a essere testimonianza e annuncio del Vangelo. Ne è riprova il fatto che oggi, a quasi quindici anni dalla vicenda, l’uscita di un film come Uomini di Dio  ridesta in Francia (e non solo) l’interesse appassionato per quelle vite donate fino all’estremo: davvero - come ha saputo ben cogliere il regista Xavier Beauvois - l’elemento decisivo non sta nelle modalità dell’uccisione dei monaci, bensì nell’insieme della loro vita, culminata tragicamente al pari di quella di migliaia di algerini in quegli anni...
La portata spirituale dell’evento e della vita che l’ha preceduto, fa pensare all’intera esistenza dei sette monaci come "martirio dell’amore", come vita donata fino all’estremo. Non a caso, il processo di beatificazione avviato nella diocesi di Algeri accomuna i 19 religiosi, uomini  e donne, uccisi in circostanze diverse in quegli anni. "Vi troviamo persone miti e persone forti, mistici e poeti, attivi e contemplativi, uomini e donne dediti agli umili servizi quotidiani e pionieri della missione, persone dotate di parola potente e altre ricche di silenzio contemplativo. Tutti testimoni dell’amore, del servizio, del dialogo. Il loro sacrificio è una benedizione di pace per la piccola Chiesa d’Algeria e per tutto il popolo algerino, il loro prossimo d’elezione." Questa umanità testimonia che la barbarie non è un fatale destino e che le religioni non sono i tizzoni che alimentano i nuovi conflitti mondiali. Alla scuola del vissuto di queste persone semplici impariamo che il rispetto della vita umana è il fondamento di ogni convivenza civile, perché solo l’amore, il perdono, la comunione assicurano un futuro a ciascuno e all’umanità nel suo insieme. I monaci di Tibhirine hanno scritto giorno dopo giorno la testimonianza credibile del martirio d’amore, la verità ultima di tutte le religioni:"Non c’è amore più grande che dare la vita per quanti si amano."                 

Guido Dotti, monaco di Bose

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Don Paolo (Burligo) 035 550081.
Don Francesco 3333673045.
Don Giuseppe (Palazzago) 035 550336 ; 3471133405.


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letterina 20101114

L'affondo 

Carlo Maria Martini: così la fede rinasce nella notte

Queste parole mi fanno sempre molta impressione, perché non mi è mai capitato di dire: «La mia anima è triste fino alla morte»; ci sono stati momenti di tristezza, ma proprio di essere schiacciato, di essere stritolato non mi è mai successo.
Penso quindi che a Gesù sia accaduto qualcosa di terribile. Che cosa sarà stato?
Probabilmente la previsione imminente della passione; forse Gesù non sapeva tutti i particolari, ma sapeva che gli uomini ce l’avevano con lui, volevano eliminarlo nella maniera più crudele possibile. Sapeva di essere in mano a uomini cattivi: questo è già un motivo di paura e di angoscia. Ma poi probabilmente sentiva su di sé tutta l’ingiustizia del mondo e questo è qualcosa che non si può sopportare; l’ingiustizia del mondo che si esprime nelle guerre, nelle carestie, nelle oppressioni, nelle forme di schiavitù, che è immensa e percorre tutta la storia.
E quando noi ci fermiamo a considerare questa ingiustizia, siamo come senza fiato, siamo schiacciati. Però Gesù ha voluto essere quasi schiacciato da queste cose per poterle prendere su di sé. Quindi dobbiamo dire che da una parte le ingiustizie del mondo, della storia, della storia della Chiesa ci fanno soffrire, ma che insieme siamo certi che Gesù le ha accolte in sé, e quindi le ha riscattate.
Non sappiamo come, ma questa è una certezza che ci deve accompagnare, e ci deve accompagnare in tutte le notti della sofferenza, del dolore, quando uno si trova di fronte a una notizia che lo riguarda e che è infausta. Per esempio un tumore, pochi mesi di vita. Allora succede come una sorta di ribellione, di non accettazione. C’è una lotta interiore. Notte della sofferenza, notte della fede in cui non si sente più la presenza di Dio. Questo è molto duro, soprattutto quando si è impegnati. Notte della fede per cui sono passati san Giovanni della Croce e, recentemente, Madre Teresa di Calcutta, la quale diceva che fino a verso i cinquant’anni le pareva che Dio le fosse vicino, poi più niente. Avendola conosciuta, vedevo questo suo rigore, questa sua fedeltà, questa sua tensione, ma non immaginavo che dietro ci fosse il buio completo sull’esistenza di Dio, del Dio rimuneratore. Anche santa Teresa di Gesù Bambino è passata per questa notte. Possiamo dire che tutte queste notti sono riassunte nella notte del Getsèmani e in essa Gesù riceve tutte le nostre ingiustizie e le fa sue, le accoglie per poterle offrire e purificarle. 


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letterina 20101107

L'affondo 

Nell'estasi di Dio

 

C'era una volta un monaco che conduceva una vita serena e tranquilla. Una sola inquietudine lo tormentava. Aveva paura dell'eternità. Gli eletti in Paradiso cantano le lodi di Dio come fanno i monaci.
Un conto è farlo per un po' di tempo. Ma per l'eternità! Per felici che si possa essere alla presenza di Dio, dopo qualche milione d'anni chissà che noia... Un giorno di primavera, se ne andò secondo la sua abitudine a passeggiare nel bosco che circondava il monastero.
L'aria era viva e leggera, profumata di erba e di fiori. Il monaco sospirò pensando al suo problema. Sopra la sua testa un usignolo cominciò a cantare. Un canto così puro, modulato, melodioso che il monaco dimenticò i suoi pensieri per ascoltarlo. Non aveva mai sentito niente di più bello. Per un istante ascoltò estasiato. Poi pensò che era ora di raggiungere il coro per la preghiera e si affrettò.
Stranamente avevano sostituito il frate portinaio con uno che non conosceva. Passò un altro monaco e poi un altro che non aveva mai visto. «Che cosa desidera?» gli chiese il portinaio. Vagamente irritato, il nostro monaco rispose che voleva soltanto entrare per non essere in ritardo. L'altro non capiva. Il monaco protestò e chiese con veemenza di vedere l'abate. Ma anche l'abate era uno sconosciuto e il povero monaco fu preso dalla paura. Balbettando un po', spiegò che era uscito dal monastero per una breve passeggiata e che si era attardato un attimo ad ascoltare il canto di un usignolo, ma che si era affrettato a rientrare per l'ufficio pomeridiano. L'abate lo ascoltava in silenzio. «Cento anni fa», disse alla fine, «un monaco di questa abbazia, proprio in questa stagione e in quest'ora, è uscito dal monastero. Non è più ritornato e nessuno l'ha più rivisto». Allora il monaco capì che Dio l'aveva esaudito. Se cento anni gli erano parsi un istante nello stato d'estasi in cui l'aveva rapito il canto dell'usignolo, l'eternità non era che un istante nell'estasi in Dio 

(da: Bruno Ferrero, Il segreto dei pesci rossi, Elledici).

 

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letterina 20101031

L'affondo 

Desiderio di santità

 

In fatto di vita spirituale, di vita religiosa c’è molta esteriorità.
C’è molta voglia di sacro nella nostra città ma poco desiderio di santità.
Il sacro è una tintura che noi mettiamo all’esterno secondo i nostri gusti. Santità invece è vita interiore, è ascolto, è voglia di attingere alle falde freatiche profonde dove scorre l’acqua del silenzio, dei grandi valori della vita, della
contemplazione, dello stupore, dell’amore per le cose, del rispetto degli altri, dell’amore per Dio e della polarizzazione della propria vita attorno a Lui.
Questa è la santità.
Ora io vorrei invitarvi ad essere i promotori di questa santità più di quanto non lo sia il vescovo perché il vescovo, purtroppo anche il vescovo, è un uomo del sacro. (...)
Siate voi i promotori della santità... La santità laica, i valori del Vangelo che poi sono i valori che si sprigionano dalle viscere della terra.
La solidarietà! La solidarietà non intesa come vago sentimento adolescenziale, ma come farsi carico delle sofferenze degli altri, le sofferenze della città.
La trasparenza! La trasparenza nella vita perché non ci siano fratture tra l’audio e il video. C’è molto audio nelle nostre chiese.
Ma di video ce ne è poco; si sente bene, ma il video è a strisce; ci sono delle interferenze. L’accettazione dell’altro! La ricerca dell’altro! (...)
Che i vostri figli apprendano da voi quelle fierezze che fanno l’uomo grande, quelle fierezze umane; quelle indipendenze interiori, quei riconoscimenti di subalternità solo dinanzi a Dio. Servi di tutti ma schiavi di nessuno. Protesi in questo servizio straordinario dell’uomo.

TONINO BELLO in Senza misura, pp. 75-76 

 

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letterina 20101021

L'affondo 

Comunione e Missione

"Vogliamo vedere Gesù" (Gv 12,21), è la richiesta che, nel Vangelo di Giovanni, alcuni Greci, giunti a Gerusalemme per il pellegrinaggio pasquale, presentano all’apostolo Filippo. Essa risuona anche nel nostro cuore in questo mese di ottobre, che ci ricorda come l’impegno e il compito dell’annuncio evangelico spetti all’intera Chiesa, "missionaria per sua natura" (Ad gentes, 2), e ci invita a farci promotori della novità di vita, fatta di relazioni autentiche, in comunità fondate sul Vangelo. In una società multietnica che sempre più sperimenta forme di solitudine e di indifferenza preoccupanti, i cristiani devono imparare ad offrire segni di speranza e a divenire fratelli universali, coltivando i grandi ideali che trasformano la storia e, senza false illusioni o inutili paure, impegnarsi a rendere il pianeta la casa di tutti i popoli.
Come i pellegrini greci di duemila anni fa, anche gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti non solo di "parlare" di Gesù, ma di "far vedere" Gesù, far risplendere il Volto del Redentore in ogni angolo della terra davanti alle generazioni del nuovo millennio e specialmente davanti ai giovani di ogni continente, destinatari privilegiati e soggetti dell’annuncio evangelico. Essi devono percepire che i cristiani portano la parola di Cristo perché Lui è la Verità, perché hanno trovato in Lui il senso, la verità per la loro vita.
Queste considerazioni rimandano al mandato missionario che hanno ricevuto tutti i battezzati e l’intera Chiesa, ma che non può realizzarsi in maniera credibile senza una profonda conversione personale, comunitaria e pastorale. Infatti, la consapevolezza della chiamata ad annunciare il Vangelo stimola non solo ogni singolo fedele, ma tutte le Comunità diocesane e parrocchiali ad un rinnovamento integrale e ad aprirsi sempre più alla cooperazione missionaria tra le Chiese, per promuovere l’annuncio del Vangelo nel cuore di ogni persona, di ogni popolo, cultura, razza, nazionalità, ad ogni latitudine...
La Chiesa diventa "comunione" a partire dall’Eucaristia, in cui Cristo, presente nel pane e nel vino, con il suo sacrificio di amore edifica la Chiesa come suo corpo, unendoci al Dio uno e trino e fra di noi (cfr 1Cor 10,16ss)...


Dal Messaggio del Papa per la 84 Giornata Missionaria Mondiale


PRIMA TAPPA ANNO PASTORALE 2010-2011:
Un placido lago. Con impercettibile dolcezza, ma instancabile tenacia, l’acqua accarezza le pietre che la abitano. E loro si lasciano plasmare.
E’ solo nel tempo che la loro asprezza viene addolcita. Ogni spigolo è smussato, ogni protuberanza levigata. Disponibilità e duttilità  sono anche per noi all’inizio di questo cammino. Aperti ad una Grazia che non aspetta altro che di essere accolta.

 

Numeri telefonici dei sacerdoti dell’Unità Pastorale:

Don Lorenzo (Gromlongo) 035 540059 ; 3394581382.

Don Umberto (Barzana) 035 540012; 3397955650.
Don Paolo (Burligo) 035 550081.
Don Francesco 3333673045.
Don Giuseppe (Palazzago) 035 550336 ; 3471133405.


 

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