letterina 20130309

Accettare

Tornare da Laggiù è una cosa.  
Accettare di esserci stato e di esserne tornato è un’altra.
Dopo aver esaurito la mia sofferenza e aver tirato via un bel po’ di croste dalle cicatrici della mia anima, dopo aver rabbiosamente acconsentito ad amare – malgrado tutto – la mia memoria, dopo aver accettato il mio posto nella Tenuta – un posto che sia mio, non quello dell’ultimo degli operai -, tutto si è messo a parlare  di  mio  Padre:  la  prima  fioritura  dei  mandorli  in  primavera,  il  bicchiere d’acqua fresca, il gusto della verdura nel piatto fumante, e persino quella strada troppo nuova che mio fratello aveva tracciato attraverso i boschetti, per facilita-re la sua gestione della Tenuta. Anche quello che mio fratello faceva contro l’i-potetica volontà di mio Padre mi parlava ancora – chiaro e forte – di quest’ulti-mo.  Mio    Padre  aveva  allentato  la  presa,  il  che  mi  appariva  ancor  più chiara-mente come uno dei segni più certi del suo amore per noi. Anche se non lascia-va praticamente più  la sua stanza, parlava  in trasparenza  mediante il colore del cielo, il gusto delle susine, il rumore del vento sul tetto della mia capanna, l’oro della polvere che danzava nella stanza quando un raggio di luce vi s’invitava…
Il giorno in cui mi sono reso conto di questo, ho capito meglio la radicale soffe-renza dei giorni  vissuti Laggiù. In pratica, ero assente a  me stesso. Anche  se  il vino  aveva  un  gusto  e  la  pelle  degli  altri  un  calore,  non  mi  pareva <<parlavano>>, non mi <<dicevano>> niente, là, nel profondo, in quel postici-no segreto dove si cerca di essere se stessi…
E dire che ero partito per essere  me stesso. Lontano da quel Padre che credevo troppo  presente.  Lontano  da  quel  Padre  la  cui  presenza  mi  impediva  di  essere.
Che  ingenuo  che  ero! Non  siamo  noi  stessi,  se  non  quando  lasciamo maturare in noi tutto ciò che parla di Colui che ci ha fatti.
Tutto il resto non è che insostenibile solitudine. 

Guy Luisier: Diario del Figlio prodigo. Vent’anni dopo

 

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Festa del Papà

Incontri Quaresima

Confessioni Adolescenti

Triduo Addolorata

letterina 20130302

Canto di speranza

Il Vangelo risuona di un canto continuo, canto del seme, del lievito, di alberi che mettono gemme. Tipica di Gesù è questa teologia degli inizi, la più vera teologia della speranza. Dio immette perennemente in noi e nel cosmo le sue energie in forme seminali, germinali. Il compito nostro, sacro e umano, è far fiorire i semi di Dio. Il granello di senapa non salverà il mondo, noi non salveremo il mondo. Ma il piccolo seme diventerà un albero grande, e verranno gli uccelli e faranno il nido tra i suoi rami (cfr. Mt 13,32). Con questa metafora Gesù ci dice: tu vivrai e farai vivere. Vivrai e darai vita.

La teologia evangelica del seme è la teologia dei mezzi poveri, degli stracci con cui possiamo e dobbiamo confezionare l’abito da festa. Ogni vita nasce povera, piccola, indifesa eppure fortissima. E si trasmette per piccolissimi semi. Ma i mezzi poveri sono l’atto di fede nella forza segreta delle cose buone, nella forza inflessibile del buon seme di Dio.

Noi siamo chiamati a compiere il gesto di Dio, il gesto del seminatore.
Invece di denunciare sempre la tristezza dei tempi o la caduta dei valori, dovremmo coltivare una fiducia nuova nella forza contenuta nei poveri e piccoli semi del Regno, nelle gemme di bontà e di giustizia che spuntano e sono vincenti. Anche se talvolta appare gravida di morte, la storia in realtà è incinta di Dio, di risurrezione. Dio è ancora all’opera in seno alla terra, in alto silenzio e con piccole cose.

Se accostiamo l’orecchio al cuore della vita, al pulsare del cosmo, sentiamo, come nella notte della risurrezione, un rotolio profondo di pietre smosse, come il rotolare della pietra dal sepolcro di Cristo. Sentiamo milioni di semi che premono alle frontiere della vita, smuovono, attraversano, aprono zolle che parevano impenetrabili.

  Cfr Ermes Ronchi, Al mercato della speranza

 

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Festa del Papà

Incontri Quaresima

letterina 20130223

... ascoltatelo ...

La  storia  della  salvezza  incomincia  così:  Abramo  ascolta.  Ascolta ”vattene,  vattene”(Gn12,1)  la  fede  incomincia  con  qualcuno  che  parte.
Lascia la fede dei genitori, quella della messa alla domenica con il vestito della  festa, gli spiccioli  in tasca per  fare  l’elemosina, gli amici  che piacciono  a  mamma  e  papà,  le  parolacce  che  non  si  dicono  e  il  buon  nome della famiglia sopra ogni cosa. ”Vattene dalla tua patria, dalla casa di tuo padre “, da tutti quei diritti che sono tuoi perché ti spettano perché è casa tua  quindi  sei  re.  Ascolta  :  vattene  dalle  tue  pretese.  In  fondo,  se  anche poi avrai ragione, che ci avrai guadagnato? Ascolta per non perdere l’altro.  E  per  non  perdere  Dio.  Chi  ascolta  attraversa  il  dolore.  Piange,  ma non ne resta schiacciato, perché chi per una volta almeno ha ascoltato la Voce sa trasformare le situazioni difficili della vita in occasioni per amare.  Per  amare  di  più  e  fino  alla  fine,  anche  quando  il  cuore  è  tradito,  le aspettative deluse,  il corpo provato, il  buon nome  infangato. La parola è come un’ancora. È come una zattera. Quando l’hai  cercata e meditata di notte,  quando  ti  è  stata  annunciata  nelle  difficoltà,  quando  hai  accettato che  solo  la  Parola,  e  la  Parola  della  Pasqua,  potesse  entrare  in  casa  tua nei giorni del lutto e del pianto fugando le parole leggere della gente venuta per consolarti, allora hai ascoltato...
La  via  della  fecondità  passa  attraverso  l’ascolto.  Non  chiederti  perché nella tua vita non ci sono frutti. Piuttosto: perché non ascolti?  
E  attento,  non  ti  confondere.  I  frutti  non  sono  ”risultati”.  I  risultati  sono traguardi che raggiungi con le tue forze, molti complimenti … e poi finisce lì. E ti abbagliano. Il frutto è qualcosa che in sé porta la vita, produce altra vita. Possiamo essere uomini e donne dai grandi risultati rischiando però di non contagiare di vita nessuno.
Giochiamo tutta la nostra libertà scegliendo a quale parola obbedire, quale  voce  ascoltare.  Non  hai  il  potere  di  far  tacere  ”le  voci”  ma  puoi  scegliere a chi dare retta. E tu? A quale parola obbedisci?

Suor Katia

 

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Festa del Papà

Incontri Quaresima

Quaresima 2013



 


 

 

     

                                    Le opere che accompagnano il nostro itinerario sono del sacerdote e artista Tarantini don Carlo e sono collocate nella chiesa parrocchiale. Sono disponibili anche alcuni libri con i testi della Lectio Divina , della Via Crucis e di una mostra di don Carlo.

                                      letterina 20130216

                                       s.s. Benedict XVI

                                      Un re si innamorò di una bellissima giovane del suo popolo. “Non può, Sire -gli dicevano i saggi di corte- deve scegliere una principessa”. Ma egli era attratto da quella popolana che puliva le sue stalle; quella stracciona, povera, ma bellissima ragazza, aveva conquistato il cuore del Re.
                                      Si potrebbe a questo punto concludere la favola con la conclusione tipica e cioè che il Re, benignamente, dicesse alla popolana: “Lascia il tuo casolare, vieni ad abitare nella mia reggia, ti incorono con il diadema e ti faccio mia principessa.” Il solito lieto finale emozionante che cambia una vita. La ragazza che commossa dicesse: “Ero povera, il Re mi ha cercato e per amore mi ha portato nella sua reggia”.
                                      Ma questa storia ha un finale alternativo, perchè c’è la possibilità folle che il Re lasci la reggia e vada come  mendicante alla porta di quella povera ragazza, vestito anche lui di stracci, disposto a pulire le stalle e a dirle: io ora sono povero come te, vuoi sposarmi?
                                       
                                      Ho associato questa storia del filosofo danese Kierkegaard, (1813 – 1855) alla notizia shock delle dimissioni di Benedetto XVI.  Del resto non è questo lo stile di Dio? E anche il cammino di Quaresima appena iniziato è nella logica di una spoliazione totale. Un Papa che lascia il “palazzo” per continuare così a servire la Chiesa e il suo Signore, consapevole di ciò che è. Anche questa è umiltà. Anche questo dà forza ad uno dei titoli propri del Papa: Servus Servorum Dei, "Servo dei Servi di Dio” .

                                       

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                                      letterina 20130209

                                      ABC della fede - 10

                                      Il salvatore del mondo

                                      Gesù Cristo è l’unico Salvatore “del mondo”. Del mondo: cioè dell’intero  universo.  C’è  dunque  una  dimensione  cosmica  della  salvezza  fondata  sulla verità che tutte le cose sono state create in Cristo, per mezzo di Cristo, e in vista di Cristo (cf. Col 1,16). Appartiene quindi  alla  visione cristiana  la positività di un giudizio circa le realtà terrene, anche materiali, e l’atteggiamento di fiducia e di stima con cui vanno guardate: sono state sì sconvolte e deturpate dal peccato, ma dall’azione redentrice di Cristo sono state anche riconciliate.
                                      Anche la natura perciò ci è cara. Non la idolatriamo e non la poniamo sopra l’uomo, perché proprio dal fatto di essere al servizio dell’uomo essa desume ogni  dignità  e  valore.  Però  l’amiamo  e  la  rispettiamo  soprattutto  perché  anche nella  natura  ravvisiamo  un  riverbero  della  bellezza  del  Signore  e  anche  su  di essa si esercita la volontà del Figlio di Dio, che si è fatto uno di noi, di purificare e trasfigurare tutto secondo l’unico disegno del Padre.
                                      Cristo, dice san Paolo, è il salvatore del suo corpo che è la Chiesa (Ef 5,23), in tutte le sue membra che siamo noi.
                                      Ci salva uno ad uno, e non da lontano: ci salva restando vicino a noi, immanente e attivo entro la comunità dei suoi fratelli.
                                      Il  mezzo con cui  il Signore Gesù raggiunge  la  massima  intensità della sua presenza è il sacramento del “Corpo dato” e del “Sangue versato”, posto tra le nostre mani  sotto i segni del pane e del  vino. Davvero nell’Eucarestia si realizza, con una pienezza che noi  non avremmo nemmeno saputo immaginare, l’ultima promessa  del  Crocifisso  vivo  e  glorificato: Ecco, io  sono  con  voi  tutti  i  giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28,20).
                                      Dall’Eucarestia, riscoperta e assimilata come il sacramento di ogni salvezza, tutto potrà rifiorire; e noi, Chiesa del Signore e Redentore che rimane con noi, potremo vivere nella gioia, nella gratitudine, nella fierezza di essere per una insperata misericordia il popolo dei salvati.

                                      +Giacomo Biffi

                                       

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