letterina 20151212

Misericordia e volto

SanMacario

Riporto una pagina che mi ha fatto pensare e che allargo a voi: 


Il padre Macario raccontò: «Camminando nel deserto, trovai il cranio di un morto gettato per terra. Appena lo toccai con il mio bastone di palma, il cranio cominciò a parlare. Gli dico: "Chi sei?". Il cranio mi rispose: "Ero un sacerdote degli idoli e dei greci che dimoravano in questo luogo. E tu sei Macario il pneumatoforo. Quando tu ti impietosisci e preghi per quelli che giacciono nel luogo del castigo, essi ne hanno un po' di consolazione". "Che consolazione e che castigo?", chiede l'anziano. Gli dice: "Quanto dista il cielo dalla terra, altrettanto è il fuoco sotto di noi. Siamo immersi nel fuoco dalla testa ai piedi e non è possibile guardarsi in volto, perché ciascuno ha le spalle attaccate alle spalle dell'altro. Ma quando tu preghi per noi, l'uno vede un po' il volto dell'altro: questa è la consolazione".

(Detti dei padri del deserto: Macario l'Egiziano 38).

 

Macario è un uomo che non mette confini alla sua misericordia.
È abitato dallo Spirito e questa presenza è come un fuoco in lui: gli dà il coraggio di forzare, con la sua intercessione, i limiti della giustizia di Dio e far emergere da essa la compassione.
Macario non pretende di cambiare il giudizio di Dio; semplicemente, «si impietosisce e prega per quelli che giacciono nel luogo del castigo», desiderando che negli inferi sia conservato un segno della compassione di Dio. In questo detto è nascosta una profonda verità: quando si ha il coraggio di assumere nella preghiera gli inferi dell'uomo, qualunque essi siano, e si ha il coraggio di guardarli con compassione, allora misteriosamente si porta in essi un po' di speranza.
Qualcuno, grazie alla nostra preghiera, avrà ancora la forza di risollevare lo sguardo e vedere un volto che può ridonargli speranza e fiducia. Il castigo è non vedere il volto dell'altro; la consolazione è vedere il volto del fratello.

 

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letterina 20151205

Perchè il Giubileo della Misericordia?

Vasari

Ci sono momenti nei quali in modo più forte siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre. È per questo che ho indetto un Giubileo straordinario della Misericordia come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti.
(Papa Francesco, Misericordiae Vultus, 3).

 

Per tenere fisso lo sguardo su Gesù, Volto della Misericordia
Il Giubileo è anzitutto tempo favorevole per la conversione (2 Cor 6,2) ed è segno della materna cura della Chiesa che, in nome di Cristo, ci invita con forza a lasciarci riconciliare con Dio (2 Cor 2,20). Ogni autentico cammino di conversione nasce da un incontro, quello con Gesù di Nazareth, Volto della Misericordia. Chi vede lui vede il Padre (Gv 14,9), chi incrocia il suo sguardo diventa un uomo nuovo ed è reso capace della carità più autentica. Il Giubileo ci è dato come occasione particolarmente preziosa affinché i nostri occhi siano fissi su di Lui (Lc 4,20). Ogni iniziativa, ogni celebrazione, ogni gesto di carità dovranno trovare in Cristo il riferimento primo ed ultimo affinché il Giubileo sia davvero un’esperienza di Grazia.

Per divenire segno efficace dell’agire del Padre
La contemplazione del Volto di Cristo ha la forza di trasformare i nostri stessi volti. È un rivivere l’esperienza trasfigurante di Mosè il cui volto, dopo aver incontrato Dio, sa irradiare luce nuova sui fratelli (Es 34,35).
La Misericordia, guarendo le nostre miserie, rende misericordiosi e plasma parole e gesti conformi al cuore del Padre. Il Giubileo, come ogni altra azione pastorale della Chiesa, desidera favorire la diffusione del Regno di Dio in mezzo a noi attraverso la Carità accolta, vissuta e testimoniata dai credenti.

 

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letterina 20151128

Voi non avrete il mio odio

Vasari

Antoine Leiris è un papà di un bambino di 17 mesi. Fino alle tragedie di Parigi accanto a sé aveva una donna che amava e, quel piccino, una mamma amorosa. Erano una famiglia. Ma non si piega al rancore questo papà francese e ai terroristi che hanno ucciso la moglie, una delle 129 vittime dell'altra sera, lui ha scritto una lettera, affidandola a facebook. Eccola:

Venerdì sera avete rubato la vita di una persona eccezionale, l'amore della mia vita, la madre di mio figlio, eppure non avrete il mio odio. Non so chi siete e non voglio neanche saperlo. Voi siete anime morte. Se questo Dio per il quale ciecamente uccidete ci ha fatti a sua immagine, ogni pallottola nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel suo cuore. Perciò non vi farò il regalo di odiarvi. Sarebbe cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi quello che siete.
Voi vorreste che io avessi paura, che guardassi i miei concittadini con diffidenza, che sacrificassi la mia libertà per la sicurezza. Ma la vostra è una battaglia persa. L'ho vista stamattina. Finalmente, dopo notti e giorni d'attesa.
Era bella come quando è uscita venerdì sera, bella come quando mi innamorai perdutamente di lei più di 12 anni fa. Ovviamente sono devastato dal dolore, vi concedo questa piccola vittoria, ma sarà di corta durata. So che lei accompagnerà i nostri giorni e che ci ritroveremo in quel paradiso di anime libere nel quale voi non entrerete mai.
Siamo rimasti in due, mio figlio e io, ma siamo più forti di tutti gli eserciti del mondo. Non ho altro tempo da dedicarvi, devo andare da Melvil che si risveglia dal suo pisolino. Ha appena 17 mesi e farà merenda come ogni giorno e poi giocheremo insieme, come ogni giorno, e per tutta la sua vita questo "petit garçon" vi farà l'affronto di essere libero e felice. Perché no, voi non avrete mai nemmeno il suo odio.

 

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letterina 20151121

Dio glielo dirà...

Vasari

Ci sono la tv e i social media, ci sono le chiacchiere da bar, i racconti, ma soprattutto i discorsi di quei grandi di cui hanno fiducia. Quelli che hanno visto piangere in televisione, quelli che li hanno così colpiti. «Si piange quando si è tristi» spiega una maestra, spiega la mamma dalla cucina. Si piange perché il dolore è troppo forte. «Si piange anche dalla paura» risponde un bambino.
Hanno otto anni questi ragazzi composti sui loro banchi, con l’insegnante che ha preparato la lezione. «Perché bisogna dire la verità, spiegare i fatti, raccontarsi senza troppe edulcorazioni quanto capita in un mondo che non ha più confini definiti» spiega.
Avere quindi il coraggio, in una società come la nostra dove si tende a proteggere sempre e comunque i bambini dalla sofferenza. Raccontare però è anche una grande responsabilità ed è vero quanto dicono alcuni sociologi in questi giorni: le nostre nuove generazioni sono poco abituate al concetto di tragedia. Bambini al riparo dal dolore? «Io li proteggo dal male» dice una mamma fuori da scuola. Ma siamo sicuri di poterci riuscire? Loro, i più piccoli, arrivano a scuola pieni di storie da raccontare. Dei soldati «con i mitra per le strade, come quelli dei videogiochi delle guerre», con frasi che non sanno bene spiegare ma che hanno sentito dal papà: «Il terrorismo lo abbiamo da anni sotto il naso», «ormai è scoppiata la terza guerra mondiale». Bambini che prima di questi giorni non conoscevano la parola Islam, che faticano – giustamente – a capire come si possa uccidere in nome di Dio. Bambini che sanno rielaborare con la semplicità che svela grandi cuori. Come le frasi scritte a scuola, ieri, in una classe che si ferma a pensare, a cercare le parole: “Sono delusa da chi mi sta dimostrando che non apprezza la vita: ogni essere umano è un gioiello da custodire”. E poi: «Sono fortunato ad essere un bambino, i grandi non possono più fare nulla, mentre noi piccoli possiamo ancora fare qualcosa»; «Dico agli adulti, ai genitori: abbiate coraggio».
Infine una domanda: «Ma il loro Dio è il nostro?» si chiede una ragazzina. «Dio è quello buono che noi preghiamo, quello che ci ascolta dal cielo» dice allora un altro bambino. E i compagni citano Papa Francesco, perché lo conoscono, lo vedono in tv, riconoscono la sua voce e quel modo di parlare semplice che lo rende ancora più vicino al mondo dei piccoli: «Il Papa ha detto che non si può parlare di Dio per uccidere delle persone» spiega una bambina di 6 anni, prima elementare. Poi c’è il fratello, che risponde così senza fare una piega: «Vedrete che dal cielo, il loro Dio che è buono come il nostro, glielo dirà che stanno facendo del male ai bambini».

 

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letterina 20151114

Il nuovo umanesimo: ecce homo

Vasari

Cari fratelli e sorelle, nella cupola di questa bellissima Cattedrale è rappresentato il Giudizio universale. Al centro c’è Gesù, nostra luce. L’iscrizione che si legge all’apice dell’affresco è “Ecce Homo”.
Guardando questa cupola siamo attratti verso l’alto, mentre contempliamo la trasformazione del Cristo giudicato da Pilato nel Cristo assiso sul trono del giudice. Un angelo gli porta la spada, ma Gesù non assume i simboli del giudizio, anzi solleva la mano destra mostrando i segni della passione, perché Lui «ha dato sé stesso in riscatto per tutti» (1 Tm 2,6). «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,17).
Nella luce di questo Giudice di misericordia, le nostre ginocchia si piegano in adorazione, e le nostre mani e i nostri piedi si rinvigoriscono. Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell’uomo.
È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche di quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Cristo. Il volto è l’immagine della sua trascendenza. È il misericordiae vultus.
Lasciamoci guardare da Lui. Gesù è il nostro umanesimo. Facciamoci inquietare sempre dalla sua domanda: «Voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15). Guardando il suo volto che cosa vediamo? Innanzitutto il volto di un Dio «svuotato», di un Dio che ha assunto la condizione di servo, umiliato e obbediente fino alla morte (cfr Fil 2,7). Il volto di Gesù è simile a quello di tanti nostri fratelli umiliati, resi schiavi, svuotati. Dio ha assunto il loro volto. E quel volto ci guarda.
Dio – che è «l’essere di cui non si può pensare il maggiore», come diceva sant’Anselmo, o il Deus semper maior di sant’Ignazio di Loyola – diventa sempre più grande di sé stesso abbassandosi. Se non ci abbassiamo non potremo vedere il suo volto. Non vedremo nulla della sua pienezza se non accettiamo che Dio si è svuotato.
E quindi non capiremo nulla dell’umanesimo cristiano e le nostre parole saranno belle, colte, raffinate, ma non saranno parole di fede. Saranno parole che risuonano a vuoto.

Inizio del Discorso di Papa Francesco al V Convegno Ecclesiale Nazionale
di Firenze (cattedrale di Santa Maria del Fiore, martedì 10 novembre 2015)

 

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letterina 20151107

Giornata della carità e disagio psichico

Carità

La Giornata Diocesana della Carità è un’occasione affidata alla comunità cristiana per assumere sempre più i tratti del Cuore misericordioso di Cristo, Buon Samaritano dell’umanità.
In questo Anno Pastorale la Lettera del nostro Vescovo Francesco, Donne e uomini capaci di carità, ci invita ad essere nella Chiesa e nel mondo segno concreto dell’agire di Dio, ponendo gesti di reale sostegno verso coloro che vivono situazioni di forte disagio e povertà. L’attenzione scelta dalla nostra Diocesi in questa giornata è rivolta in modo particolare a coloro che soffrono a motivo di un disagio psichico e spesso si trovano in situazioni di esclusione e abbandono. La malattia mentale è un tema spesso allontanato con timore, guardato con sospetto, non affrontato con sufficiente interesse e solidarietà. In verità la quasi totalità delle persone, nel corso della vita, si è dovuta confrontare con questo problema o all’interno delle mura domestiche o presso amici, conoscenti, colleghi di lavoro.
Il disagio psichico è un fenomeno diffuso: gli studi condotti in merito affermano che circa l’1,5 % della popolazione soffre di problematiche riconducibili ad un disturbo mentale. Sulla scia di questo dato è ipotizzabile che in un territorio come la nostra Provincia ci siano dalle sedici alle ventimila persone segnate da tale patologia. La depressione rappresenta certo uno dei disordini mentali più gravi e diffusi e, nei casi estremi, può condurre anche al suicidio. Le famiglie che si trovano in prima persona dentro tale situazione di povertà vivono sovente la solitudine, talvolta sono abbandonate ed accusate, sempre bisognose di speranza e di affetto.
Le iniziative di volontariato, presenti sul nostro territorio, faticano a generare una solidarietà diffusa (basti pensare che su circa tremila gruppi di volontariato, solo venti-trenta si occupano direttamente di disturbi legati alla psichiatria).
Nel contesto della Giornata diocesana della Carità, le nostre comunità parrocchiali abbiano il coraggio, che nasce dalla fede nel Signore Gesù, di porre la dovuta attenzione a questi “cittadini invisibili”, sovente appesantiti da altre forme di povertà, dipendenza ed esclusione, perché non siano dimenticati e perchè l’incontro con il povero ci provochi, ci interpelli, ci evangelizzi.

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