letterina 20160306

Aristocrazia morale

Vendola

Nichi Vendola e il suo compagno Eddy Testa, con il quale convive dal 2004, sono felicissimi: è nato il piccolo Tobia Antonio. La gravidanza è stata portata avanti da una donna californiana.
Intanto la polemica è scoppiata dove si sono incrociati stranamente politica e morale. Salvini ha accusato Vendola di “disgustoso egoismo”. Vendola risponde parlando di “squadristi della politica”. Solo che in questo dibattito il difetto è nel manico. Nel senso che Vendola aveva acceso di politica la sua vicenda personale: «Uso provocatoriamente questo mio sogno, aveva detto tempo fa, contro la pigrizia della politica sul tema dei diritti civili». Il sogno era quello di avere un figlio. Adesso che il figlio è arrivato lo aggrediscono con delle motivazioni smaccatamente politiche. La vicenda personale di Vendola è diventata politica. Ma lo era già perché lo stesso Vendola l’aveva voluto. Chi di spada ferisce...
C’è poi la vicenda dell’ utero in affitto. Orrore: che non se parli neppure, grida Vendola. La vicenda sua e del suo compagno sono “lontani anni luce dalla espressione ‘utero in affitto’”. Questo bambino – ha dichiarato – è figlio di una bellissima storia d’amore, la donna che lo ha portato in grembo e la sua famiglia sono parte della nostra vita”. La donna che ha portato in grembo il figlio di Vendola è una indonesiana con passaporto americano.
Vendola, insomma, rivendica una specie di aristocrazia morale: è talmente bella la sua storia d’amore che è proibito parlare, nei suoi confronti, di utero in affitto. Lui non fa parte di quella plebaglia che si compera una gravidanza. Lui è di un altro pianeta.
Ma le domande nascono a frotte. Che senso ha che la donna indonesiana e la sua famiglia sono parte della vita di Vendola e di Eddy Testa? La donna lo ha fatto per amicizia, per ammirazione verso il grand’uomo? Se è così parte della vita come mai non si sa neppure il suo nome? Qualcuno parla di cifre pesanti già versate. Solo accuse infondate? E poi che cosa succederà, dopo? Continuerà la signora a essere parte della vita dei due? E in che senso?
Insomma il passaggio dalla discussione su una legge alla sua concreta pratica è faticoso per tutti gli intricatissimi problemi morali che si trovano implicati. E non diventa facile, quel passaggio, solo perché a percorrerlo sono un certo Nichi Vendola un certo Eddy Testa, suo compagno.

Alberto Carrara

 

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letterina 20160227

Il problema del quattro

Papa

Un giorno il numero quattro si stancò di essere pari. I numeri dispari, pensava, sono molto più allegri e spiritosi. E si stancò di quella sua forma un po' insipida, a sediolina. Guarda il sette, si diceva, com'è svelto ed elegante, e il tre com'è tondo e arguto, e io invece sono tutto pieno di angoli e privo di personalità. E si stancò di essere due più due, che tutti lo sanno e anzi quando vogliono dire una cosa che sanno tutti dicono: «Quanto fa due più due?». Sognava di essere un numero lungo e difficile, di quelli che te li dimentichi sempre e se li vuoi sommare devi prendere carta e matita. Certo era un bel problema, perché non è che il quattro volesse diventare un altro numero, che so io?, il cinque, o il 1864372.
Lui voleva essere lui, rimanere se stesso, eppure voleva anche essere come il cinque, dispari cioè, o come il 1864372, cioè lungo e difficile. E sembra proprio che il quattro non possa essere dispari e non possa essere lungo e difficile, oppure non sarebbe il quattro. Sarebbe un'altra cosa, e lui non voleva essere un'altra cosa: voleva essere lui, solo un po' diverso. Un problema così il quattro non sapeva risolverlo. Forse non aveva neanche una soluzione. Se ce l'aveva, però, il Grande Matematico doveva conoscerla.
Così il quattro andò dal Grande Matematico e gli espose il suo caso. Il Grande Matematico sorrise. Anche lui una volta avrebbe voluto essere diverso: non un altro, ovviamente, perché voleva rimanere se stesso, ma un po' più simile al Grande Ballerino, o al Grande Tennista, o al Grande Centravanti. Anche lui quindi aveva avuto il problema del quattro e sapeva come affrontarlo.
Lo fece accomodare per terra (una sedia sarebbe proprio stata inutile!) e cominciò a parlargli. «Vedi, quattro.. disse «non c'è bisogno di diventare diverso, di essere dispari per esempio, oppure lungo e difficile. Non c'è bisogno perché tu sei già diverso, anche se non te ne rendi conto. A te sembra di essere una stupida sediolina che fa due più due e tutti lo sanno, e invece ci sono in te cose che nessun altro ha, cose molto speciali. Per esempio, tu sei due più due ma anche due per due, e anche (qui andiamo sul difficile) due alla seconda. E questo è un fatto del tutto straordinario: tre più tre non è anche tre per tre, e certo non è tre alla terza. Oppure prendi quest'altra: quattro per quattro sommato a tre per tre fa cinque per cinque, il che vuoi dire che tre, quattro e cinque sono una famiglia di numeri pitagorici consecutivi, e di famiglie così non ce ne sono altre. Il sette, che tu ammiri tanto, non ne ha una. Oppure ... »
Ma a questo punto il quattro era un po' confuso e pregò il Grande Matematico di smettere. Quella faccenda dei numeri pitagorici non la capiva proprio e voleva pensarci su, perché gli sembrava importante. Se ne andò, e da allora è sempre lì che conta. Ha capito i numeri pitagorici e molte altre cose, e ogni giorno scopre di essere più diverso.

Da Ermanno Bencivenga: La filosofia in cinquantadue favole

 

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letterina 20160220

Il Papa a Manuel e alle famiglie

Papa

Carissimi fratelli e sorelle,
rendo grazie a Dio per essere oggi in questa terra del Chiapas... per i vostri volti e la vostra presenza, ringrazio Dio per il palpitare della Sua presenza nelle vostre famiglie. E grazie anche a voi, famiglie e amici, che ci avete regalato la vostra testimonianza...
Manuel, prima di ringraziarti per la tua testimonianza, voglio ringraziare i tuoi genitori: tutt’e due in ginocchio davanti a te tenendoti il foglio. Avete visto che immagine è questa? I genitori in ginocchio accanto al figlio malato. Non dimentichiamo questa immagine! Poi loro ogni tanto litigano pure... Quale marito e quale moglie non litigano? E di più quando ci si mette la suocera, ma non importa... Però si amano e sono capaci, per l’amore che hanno, di mettersi in ginocchio davanti al loro figlio malato.
Grazie amici per questa testimonianza che avete dato, e andate avanti. Grazie!
E a te, Manuel, grazie per la tua testimonianza e soprattutto per il tuo esempio. Mi ha colpito quell’espressione che hai usato: “dare coraggio” (echarle ganas), come l’atteggiamento che hai assunto dopo aver parlato con i tuoi genitori. Hai iniziato a dare coraggio alla vita, dare coraggio alla tua famiglia, dare coraggio tra i tuoi amici e dare coraggio anche a noi qui riuniti. Grazie! Credo che questo sia ciò che lo Spirito Santo vuole sempre fare in mezzo a noi: dare coraggio, regalarci motivi p er continuare a scommettere sulla famiglia, a sognare e costruire una vita che sappia di casa e di famiglia. Ce la mettiamo tutta? [“Sì!”]. Grazie!
Certo, vivere in famiglia non sempre è facile, spesso è doloroso e faticoso, ma, come più di una volta ho detto riferendomi alla Chiesa, penso che questo possa essere applicato anche alla famiglia: preferisco una famiglia ferita che ogni giorno cerca di coniugare l’amore, a una famiglia e una società malata per la chiusura o la comodità della p aura di amare.
Preferisco una famiglia che una volta dopo l’altra cerca di ricominciare a una famiglia e una società narcisistica e ossessionata dal lusso e dalle comodità...

 

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letterina 20160213

Perché tanta paura d’amare?

Amore

Tremate! Arriva S. Valentino, la festa fashion degli innamorati, e con lei un mucchio di iniziative commerciali, smielate, ma soprattutto tragicomiche. E sì, perché l’amore romantico, ai tempi della postmodernità tecnoliquida, oscilla fra due estremi: da un lato il modello proposto da “Uomini e Donne” di Maria De Filippi e dall’altro il modello tecnomediato delle app come Tinder...
La De Filippi è la vestale della forma più narcisistica dell’amore: tronisti, corteggiamenti caricaturali, dialoghi d’amore grotteschi, il sentimento trasformato in spettacolo, l’amore ridotto alla ricerca della bellezza vuota e dell’emozione estrema. Eppure questa è l’ultima forma, sia pure ridotta ad un goffo gioco, di corteggiamento. Sì, perché con Tinder (e con tutte le app di incontro) ecco come vanno le cose: “da circa un anno non ho una relazione stabile ed esco con chi mi va, non sono il genere di ragazza che vuole menarla per le lunghe, se mi piaci sono esplicita. Come moltissimi altri single italiani anche io ho scaricato Tinder e devo dire che lo uso con una certa frequenza, metto cuori in caso di interesse, e quando ottengo un match scambio messaggi con il ragazzo di turno per incontrarlo al più presto”.
Nonostante siamo lì sempre connessi, a chattare, twittare, postare, commentare e accettare amicizie sui social, nonostante la rapidità e la velocità degli incontri, nonostante gli aperitivi affollati, la vita notturna e i locali, nonostante Tinder, la De Filippi e gli speed date, nel complesso la maggior parte delle consultazioni psichiatriche e psicologiche riguardano drammi d’amore, problemi relazionali, nuove solitudini e bisogni insoddisfatti di amore. Insomma, al netto di tutto, sempre più soli.
Certo, esistono ancora famiglie tradizionali, con figli, mutuo e cene fra amici, ma il trend è davvero un altro. La maggior parte dei trentenni vive relazioni light e tanti social, ma è davvero impressionante la carica degli adultescenti, quarantenni e cinquantenni, con rinnovati turbamenti adolescenziali: madri che, attraverso profili facebook molto più sexy delle loro figlie, rintracciano ex di tanti anni fa e riallacciano storie, padri smart sul lavoro e immersi in chat di incontri.
Che fare dunque? Esserci, “esserci-con”, “esserci-per”: questa la “progressione magnifica”, che permette di partire da un Io (l’esserci), per passare ad un Tu (l’“esserci-con”) e infine giungere ad un Noi (l’“esserci-per”), dimensione ultima e sola che apre alla generatività, alla creatività e all’oblatività. Costruire dimensioni identitarie e di senso stabili e non ambigue, instaurare relazioni solide e che si dispiegano lungo progetti esistenziali che consentono l’apertura alla generatività e all’oblatività, sono ancora, in ultima analisi, l’unico orizzonte di speranza che si apre per l’uomo del terzo millennio, immerso nel cupo e doloroso paradigma della tecnoliquidità.
Sullo sfondo la domanda delle domande: ma perché abbiamo così tanta paura di amare davvero?

 

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letterina 20160206

40

DonBosco

“A Natale puoi...fare quello che non puoi fare mai...” Ma in Quaresima, a Pasqua? Se nessuno ti canta il “gingle” come ti orienti? A noi seve la canzoncina per fare le cose...
La Chiesa nella sua meravigliosa maternità, senza cantarci ritornelli da pubblicità, ci offre una Parola. E un numero: 40. Quaranta è un numero importante perché è un tempo sufficiente, tutto il tempo necessario, perché, voltate le spalle alla schiavitù, qualsiasi nome abbia, muoia in noi l’affetto che abbiamo per i nostri idoli. Perché nella terra promessa si entra con un cuore nuovo, integro, cioè non più mischiato. Un cuore puro, cioè non costretto da prostituzione, come di chi per soddisfare le voglie di tutti, soprattutto dei potenti, si vende dimenticando di essere l'immagine e la somiglianza di un Dio libero.
E una Parola. Nel deserto mai Dio ha lasciato il popolo senza una Parola. Una compagnia che consola ma anche scomoda. Perché è come trovare sul terreno delle orme e sentire una voce che ti dice: "passa da qui! Se vuoi vivere, se davvero vuoi vivere, cammina per i miei sentieri. Ti ho raccolto che ancora ti dibattevi nel tuo sangue. Eri informe ma io ho sognato per te. Ti condurrò fuori dall'Egitto e tu gusterai frutti di vita nuova. E non dovrai più litigare per avere qualcosa da mangiare perché ce ne sarà in abbondanza per tutti. Non chiamerai più tuo fratello ladro. Né sarà più clandestino. Perché tu gli offrirai la possibilità di non doversi più nascondere. Ho moltiplicato il pane per te, ho cambiato l'acqua in vino per te: perché non mi dai la possibilità di farti vedere ancora la potenza della mia paternità? I gesti di mio Figlio, opera delle mie mani, non sono lettera morta. Il mio Spirito non ha scritto Vangeli come cronache di eventi passati. Tutto è vivo innanzi a me e a te. Tutto prende vita da me per te. Principio di tutto è la fede. Opera delle opere è la fede. Allora si apriranno in tuoi occhi: vedrai camminare ciechi per vie che non conoscono, udire i sordi, saltare gli zoppi, cantare i prigionieri e i morti risuscitare. Allora credi. Credi, figlio mio, credi!".

 

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letterina 20160130

Un sol nemico è già troppo

DonBosco

Nella festa di San Giovanni Bosco raccogliamo un proverbio di Margherita, la mamma.

L’occasione che fece sbocciare sulle labbra di Mamma Margherita questo proverbio fu un atto coraggioso ma imprudente del suo Giovannino quando aveva 6 o 7 anni di età.
Portando i tacchini al pascolo, egli si accorse improvvisamente che gliene mancava uno. Si ricordò allora che un momento prima era passato di lì un uomo barbuto dalla faccia sospetta. Corse subito a rintracciare quel figuro, lo raggiunse e, convintissimo di trovarsi di fronte al ladro, gli si mise alle calcagna e gli fece una tale chiassata che l'altro, per timore che comparisse gente, finse trattarsi di uno scherzo e gli restituì il tacchino già nascosto in un sacco dietro la siepe. A sera Giovanni raccontò la sua prodezza alla madre, ma Mamma Margherita non lo lodò.
- E se per caso non fosse stato lui?
- Ma io ero sicuro che me l'aveva rubato!
- E chi te lo assicurava? Non poteva trattarsi proprio di uno scherzo? Quando si corre il pericolo di offendere la carità o la pace, io non ci tengo granché a far valere i miei diritti. Ricordati che aver un sol nemico è già troppo!
Era esattamente ciò che diceva il proverbio: Un nemis a l'é 'tròp e sent amis a basto nen (Un nemico è già di troppo e cento amici non bastano). Giovanni apprese la lezione.
Avrà tanto coraggio nella sua vita, ma non mancherà mai di prudenza e di carità nel trattare con il prossimo. Si farà così molti amici anche tra coloro che avrebbero potuto divenire suoi acerrimi nemici.
«Don Bosco ha sempre avuto bisogno di tutti», egli diceva, e a don Giovanni Cagliero raccomandò un giorno: «Studia sempre di diminuire il numero dei nemici e accrescere quello degli amici e fare tutti amici di Gesù Cristo».

 

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