letterina 20160709

Quale vincerà?

Monticelli

Un anziano Capo Indiano Apache insegnando la saggezza ai giovani del suo villaggio, disse:

“Dentro di me infuria una lotta terribile tra due lupi.

Un lupo rappresenta la paura, la rabbia, l’invidia, il dolore, il rimorso, l’avidità, l’arroganza, la delusione, la rabbia, l’autocommiserazione, il senso di colpa, il rancore, il senso di inferiorità, la voglia di mollare, la rivalità, la frustrazione, i sogni infranti, la vendetta, l’egoismo.

L’altro lupo rappresenta la gioia, la pace, l’amore, la speranza, la condivisione, la serenità, l’umiltà, la gentilezza, la compassione, la tenerezza, la passione, la generosità, la sincerità, la fiducia.
È una lotta lunga e dura.

Poi tacque a lungo.

Un giovane allora rompendo il denso silenzio guardando il vecchio saggio gli chiese: “Quale dei due vincerà?”

Il Capo Apache rispose: “Quello che tu nutri”.

E noi cosa stiamo nutrendo?

 

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letterina 20160702

Tenere accesa la fiamma

Monticelli

Abbiamo già vissuto una settimana di Cre e lunedì inizia anche il Baby.
Tutti con il tema del viaggio, guidati dall’inno “Perdiqua”
Ascoltiamo la voce di una animatrice che ci parla della sua esperienza.

Mi fermo un attimo, metto stop a tutte le immagini che scorrono nella mia mente e rifletto. Esattamente quattro anni fa, mi trovavo in cortile. Non un cortile qualunque, ma il cortile del mio oratorio. Attorno a me, ragazzi che corrono, che urlano, che ridono e che non hanno bisogno di farsi un selfie per avere qualcosa di divertente da fare. Sono ragazzi che hanno bisogno di essere allegri, di dar spazio alla fantasia e di avere qualcuno pronto ad aiutarli.
Dio solo sa quante volte mi sono chiesta se il mio posto fosse proprio quello. Dio solo sa quante volte ho fissato degli obiettivi da raggiungere. Dio solo sa quante volte ho cambiato quei buoni propositi sostituendoli con altri. Eppure, nonostante le sostituzioni, al centro del mio mondo c'erano sempre loro, i ragazzi. Ovvio, sono stata ragazza anch'io: ho urlato, giocato, cantato, riso ... accanto ai miei animatori.
Sono questi che mi hanno trasmesso qualcosa di grande, di inspiegabile a parole. Mi hanno donato l'ANIMA. Sì, perché ANIMARE vuol dire donare e metterci l'ANIMA, in tutto ciò che si fa. Ecco perché si é animatori sempre: a casa, in ufficio, alla posta, allo zoo ... ovunque!
É questione di "bisogna tenere accesa la fiamma", altrimenti il fuoco si spegne. Questa fiamma é in grado di accendere gli occhi dei ragazzi; é in grado di smuovere folle di duecento persone, tutte intente a cantare l'inno del Cre; é in grado di raccogliere le stesse persone in riva al mare, al tramonto, per pregare.
Inutile, ho provato a mettere stop alle figure che affollano il mio cervello come avevo pensato di fare all'inizio, ma esse ritornano e hanno un profumo dolce e zuccherato, come quello della ciambella preparata dalla mia mamma.
Non scelgo a caso questa similitudine. Sì, perché se Proust rievocava immagini mangiando madeleines, io assaporo profumi rievocando immagini.
Per fortuna, sono quadri della mia vita su cui sono dipinti volti di persone care.

 

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letterina 20160626

Al di qua o al di là?

Monticelli

Nella festa del patrono, voce forte nel deserto e nei cuori, prendiamo a prestito la riflessione di Roberta De Monticelli, filosofa teoretica ed autrice del libro «Al di qua del bene e del male». In esso snocciola le questioni più significative di questo periodo storico italiano segnato dalla di-speranza e dal disvalore.
La vera fragilità della società italiana risiede, per la filosofa, nell’incapacità degli educatori (dai genitori agli addetti nel sistema della comunicazione) di proporre valori di verità alle nuove generazioni. In questa assenza di valori ciò che regna è la relatività: non si percepisce il significato della norma e lo stesso criterio di ciò che è normale diviene così ad assumere un significato indefinito. Si assiste così alla sottomissione dell’ideale sul reale e della norma sul fatto: non vi è più un vero ideale da perseguire ma è ciò che avviene che diventa “normale”.
La domanda di ragione viene così ad essere sopraffatta dall’arbitro che è libero da ogni vincolo: il soggetto morale non riconosce più la priorità dei valori. La scommessa della democrazia è persa: il valore della dignità umana, posto come fondamento della Costituzione e di ogni relazione umana, appare oggi, come tutti gli ideali, aldilà della sfera dell’umana conoscenza. Tuttavia, nonostante la constatazione della povertà valoriale e della relatività che abita la nostra società, per la De Monticelli la democrazia ha ancora speranza di ritrovare la sua ragion d’essere.
Ma perché questo sia possibile è necessario che ognuno prenda sul serio la propria vita, che ognuno divenga educatore di sé e che ognuno abbia la volontà di svegliarsi dall’apatia.
Per questa ragione appare indispensabile che gli adulti educhino le giovani generazioni a porsi domande e a prestare maggiore attenzione alla sensibilità emotiva, ad aprire gli occhi sull’essere alla vita. Nel riconoscimento del bene, del bello e del giusto, il soggetto è chiamato a prendere posizione, atto che contraddistingue tutto il vivere umano, e a fare suoi o a rigettare i valori che sono lui proposti. In questa prospettiva quello che potrebbe salvare la democrazia è la volontà del singolo che attraverso la domanda di ragione riscopre l’importanza dei vincoli, sui quali si fonda il senso, e la necessità della giustizia, la quale vincola al riconoscimento della dignità altrui.
Una riflessione quella della De Monticelli che, seppur anti religiosa, interroga anche i cristiani e ci invita a ritrovare quei valori fondamentali che oggi sembrano contaminati da un sistema politico corrotto e da una legge di mercato sempre più sfacciata. Quale è il nostro compito nella società? Spetta a noi testimoniare nelle scelte concrete di ogni giorno (non al di qua del bene e del male, ma nel bene e nel male) che una verità è possibile e che in essa tutti i valori ritrovano il loro valore.
Spetta a noi testimoniare l’universalità di quei valori che come cristiani siamo chiamati a ricongiungere in unità in quel comandamento che ritroviamo in Matteo 22,39 («Ama il prossimo tuo come te stesso»).

 

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letterina 20160618

Anniversari

Pulizie

Celebrando gli anniversari di matrimonio leggiamo alcuni passaggi della esortazione di Papa Francesco “Amoris laetitia”.

La Bibbia è popolata da famiglie, da generazioni, da storie di amore e di crisi familiari, fin dalla prima pagina, dove entra in scena la famiglia di Adamo ed Eva, con il suo carico di violenza ma anche con la forza della vita che continua (cfr Gen 4), fino all’ultima pagina dove appaiono le nozze della Sposa e dell’Agnello (cfr Ap 21,2.9).
Le due case che Gesù descrive, costruite sulla roccia o sulla sabbia (cfr Mt 7,24-27), rappresentano tante situazioni familiari, create dalla libertà di quanti vi abitano, perché, come scrive il poeta, «ogni casa è un candelabro». Entriamo ora in una di queste case, guidati dal Salmista, attraverso un canto che ancora oggi si proclama sia nella liturgia nuziale ebraica sia in quella cristiana:

«Beato chi teme il Signore e cammina nelle sue vie.
Della fatica delle tue mani ti nutrirai, sarai felice e avrai ogni bene.
La tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa.
Ecco com’è benedetto l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion. Possa tu vedere il bene di Gerusalemme tutti i giorni della tua vita! Possa tu vedere i figli dei tuoi figli! Pace su Israele!» (Sal 128,1-6).

Varchiamo la soglia di questa casa serena, con la sua famiglia seduta intorno alla mensa festiva. Al centro troviamo la coppia del padre e della madre con tutta la loro storia d’amore. In loro si realizza quel disegno primordiale che Cristo stesso evoca con intensità:

«Non avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina?» (Mt 19,4).

E riprende il mandato del Libro della Genesi:

«Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne» (Gen 2,24)...

In questa luce, la relazione feconda della coppia diventa un’immagine per scoprire e descrivere il mistero di Dio, fondamentale nella visione cristiana della Trinità che contempla in Dio il Padre, il Figlio e lo Spirito d’amore. Il Dio Trinità è comunione d’amore, e la famiglia è il suo riflesso vivente.
Ci illuminano le parole di san Giovanni Paolo II:

«Il nostro Dio, nel suo mistero più intimo, non è solitudine, bensì una famiglia, dato che ha in sé paternità, filiazione e l’essenza della famiglia che è l’amore.
Questo amore, nella famiglia divina, è lo Spirito Santo».

 

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letterina 20160611

Cose di casa... reale

Pulizie

Dal 21 aprile la regina Elisabetta II è la monarca più longeva della storia del regno e, mentre a Londra si celebra ufficialmente il suo compleanno e quello del marito (95 primavere) lei ha deciso di parlare pubblicamente, per la prima volta, della sua fede cristiana.
In un libretto, la regina racconta la fedeltà a Dio. Un’esperienza sperimentata fin da bambina, durante gli anni difficili della seconda guerra mondiale, poi alla morte dell’amatissimo padre, nella durata di un matrimonio tutto sommato felice con un uomo dal carattere non sempre facile, lungo i tre tormentati divorzi dei figli e attraverso la morte della nuora Diana quando, abbandonata per la prima volta dai sudditi, la regina visse il momento più critico del suo lungo regno. “Sono profondamente consapevole di quanto io conti sulla mia fede come guida attraverso ore facili e altre più difficili” scrive Elisabetta nella pubblicazione intitolata “The Servant Queen and the King She Serves” (La regina servitrice e il Re che lei serve). E ancora: “Ogni giorno è un nuovo inizio e so che l’unico modo di vivere è dare il meglio di me stessa fidandomi completamente di Dio. Attingo la mia forza dal messaggio di speranza del Vangelo”.
Appena tredicenne consegnò al padre, re Giorgio V un poema perché lo leggesse a una nazione che, stremata dalla prima guerra mondiale si preparava ad affrontare la seconda. “Ho chiesto all’uomo che stava sulla soglia del nuovo anno: ‘Dammi una luce che mi faccia camminare al sicuro in un territorio sconosciuto’. E mi rispose: ‘Esci nel buio e metti la tua mano in quella di Dio. Sarà meglio per te della stessa luce e più sicura di una via conosciuta’ “
L’incoronazione, il 2 giugno del 1953, fu il momento in cui la sua vita cambiò per sempre. Quando, lontano dalle telecamere, vestita soltanto di bianco, senza gioielli, proprio come una sposa, Elisabetta venne consacrata con l’olio dall’arcivescovo di Canterbury, al servizio di Dio e della nazione, essere regina divenne la sua missione e vocazione. Nostalgie monarchiche? No, ma di persone che servono. 

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letterina 20160604

Cose di casa 5

Pulizie

- Visita ai malati nelle case: normalmente ogni mese, io o un altro sacerdote e, da alcuni anni, soprattutto nei tempi forti, ogni domenica da parte dei ministri straordinari della comunione.
Il minimo è spegnere la televisione che certo può fare compagnia, ma in quel momento accogliamo quella del Signore. Alcuni la abbassano, tolgono il volume... è più veloce spegnere. Alcuni non se ne rendono conto tanto è entrata nel panorama casalingo. E’ bene spegnere. A volte si stendono tovagliette ricamate per accogliere il Santissimo (retaggio di un tempo in cui non c’era biancheria firmata o con pizzi, ma il set per l’Eucarestia preparato da mani fini sì); qualcuno accende una candela, altri mettono un’immagine, una croce, un fiore... piccoli segni che dicono consapevolezza. Belli.
-Spero che almeno qualcuno sappia il motto della nostra Parrocchia (riportato anche sul disegno con le sette chiese) : “Ut unum sint” cioè :”che siano una cosa sola” (fa parte della preghiera sacerdotale di Gesù nell’ultima cena cfr Gv 17,11). A volte, vedendo il modo di cantare e pregare in assemblea mi dico: ma come faremo ad essere una cosa sola se non ci si ascolta neppure? Mi riferisco al fatto che la musica degli strumenti va da una parte (normalmente quella segnata sugli spartiti e che quindi fa da riferimento) e le voci da un’altra; che nella recita dei salmi, ad esempio, ci sono velocità diverse (a volte anche 4-5) come se si dovesse fare gara a chi arriva primo; così anche per il rosario (a proposito : come stiamo con la Salve Regina? Mi pare che non solo non si sappia cantare quella in latino -con tutti gli strafalcioni del caso- ma neppure recitare quella in italiano).
Ascoltare e ascoltarsi: prima regola per “essere una cosa sola”.
E poi mi spiegate perché in alcune celebrazioni (soprattutto funerali, quando ci sono persone anche di altre comunità) l’assemblea sembra impedita? Non ci si alza nei momenti giusti (è brutto che il sacerdote faccia segno con le mani o con sguardi poco benevoli), non si canta come normalmente, non si risponde... Dovrebbe essere chi già vive la Comunità a “trascinare” chi arriva. O no?

 

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