letterina 20151031

Perchè le messe per i morti?

Cimitero

OGNI ANNO, IL GIORNO IN CUI SAREBBE STATO IL COMPLEANNO DEL NONNO, I MIEI GENITORI CHIEDONO AL PARROCO DI DIRE UNA MESSA PER LUI. MA È MORTO DA TRE ANNI, A COSA SERVE?
Quando moriamo e ci presentiamo davanti a Dio, possiamo vivere per sempre con lui. Ma se in noi ci sono ancora tracce di egoismo, di invidia, di gelosia, in una parola di "non-amore", abbiamo bisogno di essere purificati. Abbiamo chiamato questo stato con il nome di purgatorio, che non è un luogo immerso fra le nuvolette, a metà strada fra la terra e il paradiso, dove si chiacchiera e si beve il caffè, come mostra una pubblicità. In realtà nessuno sa dirti esattamente cos'è, né com'è, si può solo supporre, perché bisognerebbe esserci stati. Comunque ecco spiegato il significato delle Messe per i defunti. La nostra preghiera può aiutarli. Chiediamo al Signore di perdonarli di tutto il male commesso e di accoglierli nel suo Regno di pace e di giustizia, il più in fretta possibile ... anche se in cielo non credo che esistano gli orologi, il presto o il tardi non sono categorie che gli appartengono!

MIO NONNO ERA TALMENTE BUONO CHE NON HA BISOGNO DI ESSERE PURIFICATO NEL PURGATORIO, COME DICI TU. CI SCOMMETTO!
Ti credo. Sono tante le persone sante, non solo quelle il cui nome compare sul calendario. Sono i santi anonimi, i santi di nessuno, non per questo meno importanti degli altri. In ogni caso la preghiera che rivolgi al Signore per lui non andrà sprecata, si riverserà su chi ne ha più bisogno, perché è come una pioggia che cade sulla terra assetata, le zolle più aride ne assorbono di più.

SI PUÒ COMUNICARE CON CHI È IN PARADISO?
La Chiesa che cammina sulla terra non è slegata da quella che risiede in cielo. C'è una comunione che lega le due realtà, come una connessione che non conosce interruzioni del segnale, perché è mantenuta da un canale perfetto che è Gesù, e non da un apparecchio tecnologico che cade presto in disuso. Ciò che chiamiamo «comunione dei santi», indica proprio l’unione dei credenti che formano un solo corpo in Cristo. La Chiesa che cammina sulla terra cerca di fare del suo meglio per seguire Gesù, ma a volte sbaglia, non è perfetta, perché è ancora legata alla condizione umana. La Chiesa che risiede in cielo, invece, è perfetta, perché vive pienamente della vita di Dio, ed è lo specchio di ciò che saremo. Chi è in cielo quindi può dare un "aiutino" a chi ancora si trova quaggiù: è ciò che chiamiamo intercessione dei santi. Santa Teresina ha detto un giorno: «Passerò il mio cielo a fare del bene sulla terra». Vuol dire che, una volta raggiunto il paradiso, voleva impegnarsi ad aiutare i credenti che si sarebbero rivolti a lei.

E MIO NONNO, SE GLIELO CHIEDO, MI AIUTA?
Beh, se lo disturbi per chiedergli di farla franca quando non hai studiato, o di suggerirti nelle verifiche, resteresti deluso. Quindi non chiedergli dei beni materiali, ma se gli chiederai doni del cielo, aiuti spirituali, conforto nella tristezza, consiglio nel dubbio, certo che ti aiuterà. È il tuo nonno, se ti ha voluto bene qui sulla terra, te ne vorrà ancora di più dal cielo.

Da Credere nov. 2015: I figli ci chiedono...

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Curiosità: il caco

Caco

E’ il solstizio del 12 dicembre, proprio il cuor dell’inverno. E io mi giro fra le dita il cuore del cuore: il caco o diòspiro, il frutto che più amo perché ci ammaestra nella filosofia dell’irragionevole, dell’assurdo, infine del coraggio.
Ha scelto la stagione che tutti accusano più amara per sfidarla con la sua polpa ch’è la più dolce.
Penzola su un albero nudo, tutto nero e spettrale, e lo contraddice nell’allegria di un clown, lo addobba sfacciatamente a farne non si sa se uno strambo albero di Natale o alla Villon una spavalda danza d’impiccati.
Fa a meno di fogliame e fiori, vuol essere protagonista, anzi solista smargiasso, e tuttavia ha l’innocenza dei naif.
Con la sua purpurea risata, con la sua sensualità melliflua, scombina e riscatta il calunniato inverno.

Luigi Santucci, Il cuore dell’inverno, Piemme, 1992

 

Caco

 

letterina 20151024

Luis e Zelie Martin. Santi

Opere Misericordia

La santità di santa Teresa del Bambin Gesù, più nota come santa Teresina di Lisieux, patrona di Francia al pari di Giovanna d’Arco, e dottore della Chiesa per volere di Giovanni Paolo II, si deve ai suoi genitori Luis e Zelie Martin, beati per decisione di Benedetto XVI e ora santi dopo il riconoscimento di un miracolo da parte di papa Francesco, che li ha canonizzati domenica 18 ottobre, non a caso durante il Sinodo dei vescovi sulla famiglia.
E' la prima volta che due coniugi vengono contemporaneamente iscritti nell’albo dei santi e perdipiù dopo che già una loro figlia ha goduto dello stesso privilegio.
Teresa ha lasciato scritto: «Il buon Dio mi ha dato un padre e una madre più degni del cielo che della terra».
Oggi i loro ritratti sono appesi davanti al Carmelo dove è sepolta Teresa, ma con estrema sobrietà. Disse Benedetto XVI, quando vennero beatificati nel 2008: «Attraverso la loro vita di coppia esemplare hanno annunciato il Vangelo». Altro non serve dire.
Si conobbero per caso sul ponte di Alençon, nella città dei pizzi più famosi di Francia. Avevano entrambi pensato di entrare in convento. Ma ricevettero dei no. Quando si conoscono vivono quelle vicende come una sconfitta. Ma è “un colpo di fulmine”. Si sposano tre mesi dopo, di notte, senza clamore.. Nascono nove figli. Quattro muoiono, le altre cinque si faranno suore. È una famiglia agiata. Diciassette anni di matrimonio, i figli, la bottega che è diventata una piccola impresa, finché Zelie muore e Louis si trasferisce a Lisieux, più a Nord verso il mare. I cognati lo aiutano a tirar su le bambine.
Lisieux è il secondo luogo di pellegrinaggi di Francia dopo Lourdes.
Occorre vedere i luoghi e camminare per le strade percorse da una famiglia, che diventa simbolo di santità per via di due genitori, che non hanno fatto altro che spiegare la fede ai loro figli.
Ecco perché Jorge Mario Bergoglio ha deciso che Luis e Zelie, l’orologiaio e la merlettaia, venissero canonizzati nel bel mezzo del Sinodo ordinario sulla famiglia, mentre altri pensavano a dichiarazioni programmate per soldi e fantomatiche malattie del papa...

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letterina 20151017

Il gallo del papa

Opere Misericordia

Ignazio Silone, lo sanno anche le mie galline, nella sua Avventura di un povero cristiano, dice che la Chiesa è partita come un nido di aquile ed è finita per diventare un pollaio. Io non saprei dire se il Vaticano è un pollaio in questo senso metaforico. So però che in Vaticano c’è anche un pollaio, un pollaio autentico, con tante belle galline. E io ne sono il re. Sono il gallo del pollaio del Papa.
Tutte le volte che io canto la mattina presto, Francesco fa memoria del triplice rinnegamento di Pietro e di tutti i successivi rinnegamenti della Chiesa e ne chiede perdono al Signore (in questa settimana anche per gli scandali di Roma).
Da quando l’ho saputo, ogni mattina intono il mio chicchirichì in unione con le sue intenzioni. E lo faccio anche per l’indulgenza del prossimo Giubileo della Misericordia.
Anch’io che sono un pollo ho capito che l’indulgenza non è un comodo surrogato della confessione e nemmeno una banalizzazione del cammino cristiano di conversione continua. Anch’io ho capito che, dopo il primo passo decisivo della conversione e dopo l’assoluzione del peccato nella confessione, resta da compiere un cammino convinto, che può essere anche lungo e faticoso, per arrivare all’amore perfetto di Dio. È come quando nei pollai c’è un’epidemia di pipita. Il veterinario col suo intervento indispensabile ci salva dalla morte, ma poi per noi resta da fare la convalescenza con una speciale alimentazione e con esercizi di riabilitazione in vista di una totale ripresa.
Il cammino per superare le conseguenze del peccato, può essere lungo e faticoso. Ma, perché sia più rapido e più felice, io posso chiedere l’aiuto della Chiesa, e lei mi fa il regalo straordinario di rendermi partecipe in modo speciale di tutto il bene accumulato dai cristiani lungo tutta la storia.
Chi potrebbe negare che un Grande Giubileo della Misericordia con la sua bella indulgenza plenaria ha oggi la sua ragion d’essere?
Il Papa ha quindi fatto bene ad indirlo.

Adattamento da : www.santalessandro.org

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letterina 20151010

Opere di misericordia

Opere Misericordia

Già nel primo incontro con i catechisti abbiamo affidato il “compito” minimale dell’anno: arrivare a giugno, sapendo le opere di misericordia, corporali e spirituali. Del resto Papa Francesco le suggerisce proprio per il Giubileo della Misericordia e il catechismo di Pio X (cui è dedicato il nostro Oratorio) le elenca insieme a tante altre formule. Occorre tener esercitata la memoria, perché qualcosa rimanga nella zucca e nel cuore. Anche i gruppi adolescenti le hanno ricercate e abbinate al quadro che Caravaggio ha dipinto a Napoli nel 1606-1607.
In settimana inizierà la catechesi adulti (giovedì, dopo la messa delle 9.00): anche qui il tema sarà legato a queste opere che ritroveremo nei cammini di Avvento e Quaresima e nei gruppi delle case (per questi l’incontro di programmazione è venerdì 16 ottobre).
Dunque le opere. Corporali o spirituali, la radice di queste opere è la stessa: l'amore verso il prossimo e, a monte, la misericordia di Dio nei confronti degli uomini, misericordia che ha la sua icona più espressiva nel volto del Gesù dei vangeli, attento ai bisogni di quelli che lo seguono, alle lacrime di chi soffre, alla fame di chi potrebbe venire meno per strada per non avere mangiato, al bisogno di perdono di chi ha sbagliato.
La tradizione cristiana antica abbonda di elenchi di opere di misericordia. Alla mente di coloro che li hanno formulati era presente l'elenco di Gesù nel Vangelo di Matteo, le sei opere di bene fatte o trascurate da coloro che sono convocati per l'ultimo giudizio, ma erano presenti anche tutte le altre indicazioni del Signore sulla carità.
San Giovanni e San Giacomo raccomandavano:

” Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità” (1Gv 3,18),

“Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi.” (Gc 1,22)

 

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letterina 20151003

Si apre il Sinodo

Sinodo

Don Paolo Gentili, direttore nazionale dell’Ufficio Cei per la Pastorale delle Famiglia, ci parla del Sinodo che si apre il 4 ottobre.

Quale è la portata del Sinodo della Famiglia?
«La questione vera di questo Sinodo è aprire un panorama nuovo sulla famiglia, far sentire il profumo del giardino del “principio”, spalancare la vera bellezza della famiglia che è in Italia e nel mondo. Direi anche, curare quella solitudine che spesso rende l’“inciampo” di un momento una frattura irreversibile e che quindi frena il cuore. Se mettiamo come cura una famiglia accanto a un’altra, molte delle crisi si possono trasformare in una relazione ancora più ricca di comunione. Abbiamo dinanzi agli occhi molte esperienze di questo tipo: dove c’è un aiuto adeguato, non solo dall’Alto, ma dalla “carne viva” di chi ci passa accanto, quella crisi si trasforma in un nuovo “sì” all’amore».

Per quale motivo possiamo definire storica questa assise?
«Fare due Sinodi a poca distanza l’uno dall’altro, due consultazioni di popolo così estese, indica come la Chiesa abbia a cuore l’umanità di questo tempo e si interroghi su come annunciare in modo nuovo il Vangelo della Famiglia. È un po’ come ritornare agli albori del Concilio Vaticano II quando la Chiesa cercò di rivestirsi dell’abito nuziale, di essere più bella e incisiva in questo mondo proprio per rendere fresco l’annuncio di Gesù».

Il Pontefice ha chiesto ai pastori di accompagnare le persone “che sono in situazioni matrimoniali irregolari”. È questo un modo di evangelizzare?
«Fin dall’inizio Papa Francesco ci ha sollecitato a essere una Chiesa che cura i feriti con Misericordia, a essere questo “ospedale da campo” che si fa prossimo a tutte quelle situazioni di fragilità affettiva o di rottura di legami matrimoniali che producono una grande sofferenza, ancor più quando ci sono dei figli di mezzo. Qui la questione non è solo dottrinale, è proprio pastorale, nel senso che chiede un nuovo sguardo della comunità cristiana meno giudicante, sulle orme del Buon Samaritano. Rispetto a chi crede di conoscere bene le regole, lui ci indica “la regola” che è la centralità della persona.

 

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letterina 20150926

Cuba e dintorni

Papa a Cuba

Una folla immensa ha accolto il Papa in Placa de la Revolucion a l'Avana, la stessa delle grandi adunate, celebre per il ritratto di Che Guevara. Riprendiamo qui alcuni spunti dell'omelia, nella domenica in cui affidiamo il mandato agli operatori pastorali, a servizio della Comunità.
Il Pontefice ha invitato a capovolgere la logica del potere. "I discepoli discutevano su chi dovesse occupare il posto più importante, ma «Gesù sconvolge la loro logica dicendo loro semplicemente che la vita autentica si vive nell’impegno concreto con il prossimo, cioè servendo»".
Il Pontefice ha precisato: «Servire significa, in gran parte, avere cura della fragilità. Servire significa avere cura di coloro che sono fragili nelle nostre famiglie, nella nostra società, nel nostro popolo» che Gesù «invita concretamente ad amare. Amore che si concretizza in azioni e decisioni». Sono «persone in carne e ossa con la loro vita, la loro storia e specialmente la loro fragilità, che Gesù ci invita a difendere, ad assistere, a servire...Per questo, «il cristiano è sempre invitato a mettere da parte le sue esigenze, aspettative, i suoi desideri di onnipotenza davanti allo sguardo concreto dei più fragili».
C’è «un ‘servizio’ che serve gli altri; però dobbiamo guardarci dall’altro servizio, dalla tentazione del ‘servizio’ che ‘si’ serve degli altri». «Esiste una forma di esercizio del servizio che ha come interesse il beneficiare i ‘miei’, in nome del ‘nostro’. Questo servizio lascia sempre fuori i ‘tuoi’, generando una dinamica di esclusione», ha avvertito Francesco. Invece, «tutti siamo chiamati dalla vocazione cristiana al servizio che serve e ad aiutarci a vicenda a non cadere nelle tentazioni del ‘servizio che si serve’.
Tutti siamo invitati, stimolati da Gesù a farci carico gli uni degli altri per amore. E questo senza guardare accanto per vedere che cosa il vicino fa o non fa». In realtà, «questo farci carico per amore non punta verso un atteggiamento di servilismo, ma al contrario, pone al centro della questione il fratello: il servizio guarda sempre il volto del fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a ‘soffrirla’, e cerca la promozione del fratello. Per tale ragione il servizio non è mai ideologico, dal momento che non serve idee, ma persone». «Non dimentichiamoci della Buona Notizia di oggi: la grandezza di un popolo e di una persona si basa sempre su come serve la fragilità dei suoi fratelli. E in questo troviamo uno dei frutti di una vera umanità. Perché, cari fratelli e sorelle, ‘chi non vive per servire, non serve per vivere’».

 

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