letterina 20160904

10 giugno 2017

Monticelli

Nell’assemblea di Comunità di sabato 27 settembre seguita dalla visita al cantiere della casa, è stata ufficializzata la data dell’inaugurazione:

SABATO 10 GIUGNO 2017.

Per l’occasione abbiamo invitato il Vescovo Francesco che sarà quindi presente per la prima volta nella nostra Parrocchia (aveva in verità già celebrato nella chiesa parrocchiale nel Natale di alcuni anni fa ma invitato dalla Protezione si pensava Civile Regionale).
Inizialmente alla fine di giugno, facendo coincidere l’evento con la festa patronale di San Giovanni Battista. Poi, pensando al periodo già molto pieno di appuntamenti a ridosso dell’inizio del Cre, abbiamo preferito anticipare a questa data che può fare da anello di congiunzione tra il termine dell’anno pastorale e l’inizio delle attività estive. Ecco dunque la data, annunciata decisamente per tempo, 9 mesi prima.

Intanto vivremo l’anno pastorale anche come preparazione a questo momento con due obbiettivi:
- fare la Casa di Comunità
- fare della Comunità una Casa.

E dal momento che non ci basta inaugurare muri, chiedo a tutti i battezzati di Palazzago di impegnarsi di più.
- Di più: per rimotivare un’appartenenza.
- Di più: nella formazione e nei gruppi delle case.
- Di più: nell’attenzione caritativa.
- Di più: nel rilancio dell’Oratorio.

Vi ricordate quella frase già citata in altre occasioni: ”E’ un peccato non fare niente, con la scusa che non si può fare tutto”? (Churchill) Ecco, pensiamoci.
Mi permetto anche di chiedere alle Associazioni e ai Gruppi del territorio di tener presente, nella stesura dei propri calendari, la data del 10 giugno 2017, giorno dell’inaugurazione, per evitare sovrapposizioni a questo momento atteso da tanti anni, da molti a Palazzago (e anche perché saranno invitati). Non lo sto chiedendo un giorno o un mese prima, ma 9 mesi prima, tempo utile perché dal concepimento si arrivi alla nascita. Non lo sto chiedendo perché non mi interessino i Gruppi e le Associazioni, ma perché la Chiesa che vive in Palazzago è anche loro per il comune Battesimo.
Bene: avanti, forza e coraggio.

 

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letterina 20160828

Cura

Monticelli

Una giovane famiglia: mamma, papà e un bambino.
Mentre mangiano il papà dice che nel pomeriggio andranno sulla giostrina e poi aggiunge al piccolo: ”Gabriele, anche se non prendi la coda dell’orsacchiotto non fa niente e se la prendono gli altri bambini, non sono cattivi, come tu non sei cattivo quando la prendi. Sono più fortunati, hai capito? Non devi dire cattivi”.
E penso che questa scena molto probabilmente è già successa: Gabriele si è lasciato portare via la coda dagli altri bambini e ha reagito dicendo loro “cattivi”.
Sorrido, pensando che nella giostra della vita capita anche ai grandi di dire “cattivi” (o molti altri epiteti più crudi) a chi prende la coda prima di noi (un’opportunità, un’occasione, una fortuna..)
In modo molto semplice questo papà sta educando alla vita con un ragionamento che riguarda qualcosa di molto piccolo eppure così importante per il bambino. Sì! Si educa così, facendo pensare, ragionando sulle cose, introducendo al mondo con occhi trasparenti, non invidiosi (ci ricordiamo che invidia è in-videre: guardare contro, ostilmente, male?)
Occhi di papà che aprono gli occhi del figlio. Anche questo è “dare alla luce”. E non lo fa solo la mamma.
Anche questo è prendersi cura.
Cura è la parola d’ordine della festa di Comunità iniziata questa settimana.

 

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letterina 20160821

Sparate

Monticelli

Una bella bambina... teneva due mele con entrambe le mani.
Sua madre la vide e chiese dolcemente alla sua piccola con un bel sorriso: "Amore mio, potresti dare alla tua mamma una delle tue mele?".
La ragazzina guardò sua madre per qualche secondo: improvvisamente, prima diede un morso a una mela e poi, rapidamente, un morso all'altra.
Inutile dire che la mamma sentì il sorriso congelarsi sul volto.
Le fu davvero difficile non manifestare la sua delusione.
Dopo qualche istante, però, la bimba consegnò una delle due mele morse alla sua mamma, dicendole: "Tieni, mamma. Delle due questa è la più dolce".
Qualcuno cantava: ”Pensa. Prima di sparare pensa, prima di dire, di giudicare...”
Sì, per evitare “sparate” ritarda il tuo giudizio.
Dai sempre agli altri la possibilità di spiegarsi.
Quello che i tuoi occhi vedono, a volte può non coincidere con la realtà.
Mai trarre conclusioni affrettate...

 

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letterina 20160814

Le messe d'estate rompono... gli schemi

Monticelli

Un articolo di don Alberto Carrara apparso su l’Eco in settimana, ci aiuta a riflettere. Da tempo, anche tra noi, si sta ragionando sulla qualità e gli orari delle messe. Vi assicuro poi che, facendo settimanalmente il calendario delle celebrazioni, mi pongo spesso degli interrogativi, condivisi anche dai confratelli che “ci danno una mano” a “coprire” tutte le messe (che sono proprio tante!).

I mesi estivi segnano tutto con i loro ritmi e le loro abitudini. Segnano anche le liturgie, le Messe soprattutto. Durante il mese di agosto in particolare la gente va in vacanza e le messe cambiano radicalmente aspetto. Nella città e nei paesi, le presenze «normali» collassano. Mentre nei paesi di villeggiatura, soprattutto di montagna, si gonfiano. In  queste settimane, a quella stessa Messa, si ritrova un gruppo di gente che non ha più la fisionomia di una assemblea che, nello stesso tempo, non arriva a conoscersi meglio solo perché è meno affollata. Anzi il gruppo si sente smarrito e proprio per questo canta di meno e risponde di meno: è meno gruppo e la Messa, se è consentito un gioco di parole, è dimessa, quasi mortificata.
Nei paesi di villeggiatura, invece, è il contrario. Normalmente, la Messa di una comunità piccola o media è un evento di poca gente che normalmente si conosce. Con l'arrivo della stagione estiva, e quindi con l'afflusso di molta gente da fuori, aumenta l'anonimato e l'assemblea, di conseguenza, cambia volto. Ci si sente «diversi» da prima. Naturalmente, sentendosi diversi, si ha anche una diversa percezione della realtà che, in quel momento, si intende vivere: la Chiesa e l'Eucarestia.
In questi ribaltamenti di immagine e di sensazioni nasce un problema terra terra, ma importante. Le comunità spopolate sono spopolate anche di quei collaboratori che assicurano lungo l'anno la qualità della celebrazione eucaristica: lettori, cantori, chierichetti, organisti, suonatori di chitarra, animatori vari. Se ne vanno tutti e se ne vanno anche loro. E le Messe, povere di «clienti», diventano anche povere di stile. Da parte loro le Messe dei paesi che si ripopolano per le attività turistiche non vedono automaticamente aumentare, con il numero dei frequentatori, anche il numero degli animatori. Chi fa il lettore nella sua parrocchia di origine non sempre fa il lettore nella parrocchia di adozione durante l'estate. Così la povertà delle parrocchie di partenza non diventa immediatamente ricchezza delle parrocchie di arrivo. Diciamolo in altri termini: mediamente tutte le Messe estive, quelle dove si vive e quelle dove si fanno le vacanze, rischiano di essere spesso povere, e qualche volta decisamente brutte, in montagna e al mare, nei paesi e in città.
Ora, la Chiesa, è prevalentemente locale. La parrocchia è l'espressione esemplare di questo «localismo» ecclesiale: la mia parrocchia è quella dove abito (con sempre più numerose eccezioni, per la verità, nei grossi centri, soprattutto). Solo che la Chiesa, legata così al territorio, fatica ad adattarsi quando il territorio cambia e soprattutto quando cambia repentinamente, come durante i mesi estivi. Così ancora una volta, viene a galla un'antica, spesso ripetuta verità. La Chiesa è una buona Chiesa non quando offre gli schemi di sempre dappertutto, ma quando sa adattarsi, con un pizzico di fantasia, agli schemi inediti che le vengono richiesti.

 

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letterina 20160807

Giovani - divano

Monticelli

«Il tempo che oggi stiamo vivendo non ha bisogno di giovani divano, ma di giovani con le scarpe, meglio ancora con gli scarponcini calzati».
Pensavo (anche) a questa immagine di Papa Francesco, mentre pedalavo con il gruppo della biciclettata Vicenza-Jesolo. Nel discorso di chiusura della Veglia della Giornata Mondiale della Gioventù, al Campus Misericordiae di Cracovia, infatti, il Papa ha ricordato che «Gesù è il Signore del rischio, del sempre oltre, non è il Signore del confort, della sicurezza e della comodità». Eccone un passaggio.

...Nella vita c’è un’altra paralisi ancora più pericolosa e spesso difficile da identificare, e che ci costa molto riconoscere. Mi piace chiamarla la paralisi che nasce quando si confonde la FELICITÀ con un DIVANO / KANAPA! Sì, credere che per essere felici abbiamo bisogno di un buon divano. Un divano che ci aiuti a stare comodi, tranquilli, ben sicuri. Un divano, come quelli che ci sono adesso, moderni, con massaggi per dormire inclusi, che ci garantiscano ore di tranquillità per trasferirci nel mondo dei videogiochi e passare ore di fronte al computer. Un divano contro ogni tipo di dolore e timore. Un divano che ci faccia stare chiusi in casa senza affaticarci né preoccuparci. La “divano-felicità” / “kanapa-szczęście” è probabilmente la paralisi silenziosa che ci può rovinare di più, che può rovinare di più la gioventù...
L’altro ieri, parlavo dei giovani che vanno in pensione a 20 anni; oggi parlo dei giovani addormentati, imbambolati, intontiti, mentre altri – forse i più vivi, ma non i più buoni – decidono il futuro per noi. Sicuramente, per molti è più facile e vantaggioso avere dei giovani imbambolati e intontiti che confondono la felicità con un divano; per molti questo risulta più conveniente che avere giovani svegli, desiderosi di rispondere, di rispondere al sogno di Dio e a tutte le aspirazioni del cuore.
Voi, vi domando, domando a voi: volete essere giovani addormentati, imbambolati, intontiti? [No!]
Volete che altri decidano il futuro per voi? [No!]
Volete essere liberi? [Sì!]
Volete essere svegli? [Sì!]
Volete lottare per il vostro futuro? [Sì!]
Non siete troppo convinti... Volete lottare per il vostro futuro? [Sì!]
Ma la verità è un’altra: cari giovani, non siamo venuti al mondo per “vegetare”, per passarcela comodamente, per fare della vita un divano che ci addormenti; al contrario, siamo venuti per un’altra cosa, per lasciare un’impronta...

 

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letterina 20160801

Arbeit macht frei

Monticelli

In silenzio, col volto rivolto verso il basso in segno di rispetto nei confronti di oltre quel milione di ebrei europei, 23mila rom, 15mila prigionieri di guerra sovietici, insieme a decine di migliaia di cittadini di altre nazionalità che qui hanno trovato la morte, il Papa alle 9,15 varca lentamente il cancello del campo di concentramento di Auschwitz, a Oswiecim, sovrastato dalla scritta beffarda “Arbeit macht frei”, “il lavoro rende liberi”. Entrato, sale sulla vettura elettrica per dirigersi verso le diverse zone del campo. Si ferma ancora da solo e sempre in silenzio su di una panchina di fronte alle camerate, dove erano reclusi gli internati, spersonalizzati con le loro logore divise a righe e i capelli rasati, dove resta per oltre un quarto d’ora assorto, a tratti con gli occhi chiusi, a mani giunte in grembo.
Bergoglio, terzo Pontefice dopo Giovanni Paolo II (7 giugno 1979) e Benedetto XVI (28 maggio 2006) a varcare la soglia del più grande campo di concentramento mai realizzato dal nazismo, che svolse un ruolo fondamentale nel progetto di “soluzione finale della questione ebraica”, eufemismo con il quale i nazisti indicarono lo sterminio degli ebrei, ha avuto modo di comprendere appieno “se questo è un uomo”, per citare il titolo del celebre libro di Primo Levi.
Prima di riprendere il percorso, a bordo di una piccola vettura aperta, il Santo Padre raggiunge il Blocco 11 e la piazza dell’appello, quella delle esecuzioni, si avvicina a una forca di ferro, dove venivano impiccati i prigionieri e bacia uno dei pali. Incontra undici sopravvissuti e parla con loro uno a uno. Il più anziano gli porge una candela con la quale il Papa accende una lampada davanti al muro della fucilazione, per poi continuare a pregare in silenzio. Francesco entra nella buia cella di San Massimiliano Kolbe, il francescano che offrì la propria vita al posto di un altro prigioniero già condannato, e vi resta a lungo, ancora da solo, in ginocchio. In questo posto, eterno simbolo del dolore dell’uomo, i canti della meglio gioventù riunita a Cracovia in attesa del ritorno del loro Padre e le sirene delle auto della polizia della città polacca cinta d’assedio dalle forze dell’ordine sembrano lontane migliaia di chilometri. Il tempo si ferma. “Io vorrei andare in quel posto di orrore senza discorsi, senza gente, salvo quelle necessarie: da solo entrare, pregare, e che il Signore mi dia la grazia di piangere”, aveva detto Bergoglio settimane fa. Silenzio e preghiera, dunque per il Papa in questa giornata di sole in un posto che ha visto l’inimmaginabile, il buio e il cuore nero degli uomini.
Papa Francesco scrive, in spagnolo, nel libro d’onore del lager: “Signore abbi pietà del tuo popolo! Signore, perdono per tanta crudeltà!”, ultimo atto di una visita, protagonista il silenzio, che ha parlato più di mille parole.

 

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