letterina 20170205

Donne e uomini per la vita

Monticelli

Alla scuola di Papa Francesco s’impara a sognare. Spesso nelle udienze fa riferimento ai sogni dei bambini e dei giovani, dei malati e degli anziani, delle famiglie e delle comunità cristiane, delle donne e degli uomini di fronte alle scelte importanti della vita. Sognare con Dio e con Lui osare e agire!
È nota la sua devozione a san Giuseppe, che considera uomo del “sogno” (Cfr. Mt 1,20.24). Quando si rivolge alle famiglie, ricorda loro che il sogno di Dio “continua a realizzarsi nei sogni di molte coppie che hanno il coraggio di fare della loro vita una famiglia; il coraggio di sognare con Lui, il coraggio di costruire con Lui, il coraggio di giocarci con Lui questa storia, di costruire un mondo dove nessuno si senta solo, nessuno si senta superfluo o senza un posto”... Educare alla vita significa entrare in una rivoluzione civile che guarisce dalla cultura dello scarto, dalla logica della denatalità, dal crollo demografico, favorendo la difesa di ogni persona umana dallo sbocciare della vita fino al suo termine naturale.
È ciò che ripete ancora oggi Santa Teresa di Calcutta con il famoso discorso pronunciato in occasione del premio Nobel 1979: “Facciamo che ogni singolo bambino sia desiderato”; è ciò che continua a cantare con l’inno alla vita: “La vita è bellezza, ammirala. La vita è un’opportunità, coglila. La vita è beatitudine, assaporala. La vita è un sogno, fanne una realtà. ... La vita è la vita, difendila”. La Santa degli ultimi di Calcutta ci insegna ad accogliere il grido di Gesù in croce: “Nel suo ‘Ho sete’ (Gv 19,28) possiamo sentire la voce dei sofferenti, il grido nascosto dei piccoli innocenti cui è preclusa la luce di questo mondo, l’accorata supplica dei poveri e dei più bisognosi di pace”. Gesù è l’Agnello immolato e vittorioso: da Lui sgorga un “fiume di vita” (Ap 22,1.2), cui attingono le storie di donne e uomini per la vita nel matrimonio, nel sacerdozio o nella vita consacrata religiosa e secolare.
Com’è bello sognare con le nuove generazioni una Chiesa e un Paese capaci di apprezzare e sostenere storie di amore esemplari e umanissime, aperte a ogni vita, accolta come dono sacro di Dio.

Dal Messaggio del Consiglio Episcopale Permanente
per la 39a Giornata Nazionale per la vita

 

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letterina 20170129

Lettera ai giovani

Monticelli

Nella festa di San Giovanni Bosco sentiamo alcune parole che il papa ha indirizzato ai giovani:

Carissimi giovani,

sono lieto di annunciarvi che nell’ottobre 2018 si celebrerà il Sinodo dei Vescovi sul tema «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale». Ho voluto che foste voi al centro dell’attenzione perché vi porto nel cuore. Proprio oggi viene presentato il Documento Preparatorio, che affido anche a voi come “bussola” lungo questo cammino.

Mi vengono in mente le parole che Dio rivolse ad Abramo: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò» (Gen 12,1). Queste parole sono oggi indirizzate anche a voi: sono parole di un Padre che vi invita a “uscire” per lanciarvi verso un futuro non conosciuto ma portatore di sicure realizzazioni, incontro al quale Egli stesso vi accompagna. Vi invito ad ascoltare la voce di Dio che risuona nei vostri cuori attraverso il soffio dello Spirito Santo.

Quando Dio disse ad Abramo «Vattene», che cosa voleva dirgli? Non certamente di fuggire dai suoi o dal mondo. Il suo fu un forte invito, una vocazione, affinché lasciasse tutto e andasse verso una terra nuova. Qual è per noi oggi questa terra nuova, se non una società più giusta e fraterna che voi desiderate profondamente e che volete costruire fino alle periferie del mondo?

Ma oggi, purtroppo, il «Vattene» assume anche un significato diverso. Quello della prevaricazione, dell’ingiustizia e della guerra. Molti giovani sono sottoposti al ricatto della violenza e costretti a fuggire dal loro paese natale. Il loro grido sale a Dio, come quello di Israele schiavo dell’oppressione del Faraone (cfr Es 2,23).

Desidero anche ricordarvi le parole che Gesù disse un giorno ai discepoli che gli chiedevano: «Rabbì […], dove dimori?». Egli rispose: «Venite e vedrete» (Gv 1,38-39). Anche a voi Gesù rivolge il suo sguardo e vi invita ad andare presso di lui. Carissimi giovani, avete incontrato questo sguardo? Avete udito questa voce? Avete sentito quest’impulso a mettervi in cammino? Sono sicuro che, sebbene il frastuono e lo stordimento sembrino regnare nel mondo, questa chiamata continua a risuonare nel vostro animo per aprirlo alla gioia piena. Ciò sarà possibile nella misura in cui, anche attraverso l’accompagnamento di guide esperte, saprete intraprendere un itinerario di discernimento per scoprire il progetto di Dio sulla vostra vita. Pure quando il vostro cammino è segnato dalla precarietà e dalla caduta, Dio ricco di misericordia tende la sua mano per rialzarvi.

A Cracovia, in apertura dell’ultima Giornata Mondiale della Gioventù, vi ho chiesto più volte: «Le cose si possono cambiare?». E voi avete gridato insieme un fragoroso «Sì». Quel grido nasce dal vostro cuore giovane che non sopporta l’ingiustizia e non può piegarsi alla cultura dello scarto, né cedere alla globalizzazione dell’indifferenza. Ascoltate quel grido che sale dal vostro intimo! Anche quando avvertite, come il profeta Geremia, l’inesperienza della vostra giovane età, Dio vi incoraggia ad andare dove Egli vi invia: «Non aver paura […] perché io sono con te per proteggerti» (Ger 1,8).

Un mondo migliore si costruisce anche grazie a voi, alla vostra voglia di cambiamento e alla vostra generosità. Non abbiate paura di ascoltare lo Spirito che vi suggerisce scelte audaci, non indugiate quando la coscienza vi chiede di rischiare per seguire il Maestro. Pure la Chiesa desidera mettersi in ascolto della vostra voce, della vostra sensibilità, della vostra fede; perfino dei vostri dubbi e delle vostre critiche. Fate sentire il vostro grido, lasciatelo risuonare nelle comunità e fatelo giungere ai pastori. San Benedetto raccomandava agli abati di consultare anche i giovani prima di ogni scelta importante, perché «spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore» (Regola di San Benedetto III, 3).

Così, anche attraverso il cammino di questo Sinodo, io e i miei fratelli Vescovi vogliamo diventare ancor più «collaboratori della vostra gioia» (2 Cor 1,24). Vi affido a Maria di Nazareth, una giovane come voi a cui Dio ha rivolto il Suo sguardo amorevole, perché vi prenda per mano e vi guidi alla gioia di un «Eccomi» pieno e generoso (cfr Lc 1,38).

Con paterno affetto,

FRANCESCO

Dal Vaticano, 13 gennaio 2017

 

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letterina 20170122

Riprendiamo i gruppi nelle case

Monticelli

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letterina 20170115

Costruire ponti, attraversare porte, intrecciare futuro

Monticelli

“Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”.
È a partire da questa citazione evangelica che papa Francesco indirizza il suo messaggio alla Chiesa in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Per questo siamo tutti invitati a metterci in gioco nell’accoglienza, tema e valore che può essere definito come “il vero banco di prova per un’autentica spiritualità”. L’essere cristiani infatti ci chiama ad essere presenti al mondo e nel mondo, con passione, facendo nostre le sue speranze e le sue contraddizioni.
Accoglienza deriva da “accogliere”, cioè dal latino ad-cum-legere. “raccogliere insieme verso”. Questo non è forse il cammino di noi umani sulla Terra? Sotto ogni cielo, a ogni latitudine, la nostra vocazione è quella di raccogliere insieme le forze, le energie, per camminare insieme verso il bene comune, verso la gioia condivisa. Effettivamente ogni collettività umana è una comunità in viaggio: essa può assumere strade diverse, forse alternative. O si “va verso l’umanizzazione di persone e collettività, oppure si va verso la disumanizzazione, ossia verso la perdita del volto migliore dell’umano negli individui, nelle comunità e nelle istituzioni”.
Oggi l’accoglienza pare essere sempre meno ospitata: tuttavia, anche quando non agìta, essa parte da un’esperienza fondamentale per l’uomo, ovvero il fatto di essere accolto originariamente. Chi non vive e non soffre il bisogno di essere accolto? Una forma originaria di accoglienza, quella ricevuta, di cui ogni uomo ha fatto esperienza nel momento in cui è stato portato in grembo da sua madre.
Il Santo Padre orienta quest’anno la sua riflessione attorno al tema dei migranti minorenni: “mi sta a cuore richiamare l’attenzione sulla realtà dei migranti minorenni, specialmente quelli soli, sollecitando tutti a prendersi cura dei fanciulli che sono tre volte indifesi perché minori, perché stranieri e perché inermi”. Abbisognano come ogni bambino, ragazzo e adolescente, di un ambiente sano in cui crescere, di genitori e di una famiglia in cui sentirsi accolti, di una scuola che possa prepararli ad affrontare il mondo che li aspetta... di un Oratorio capace di “Accoglienza, integrazione, condivisione, intercultura”. Se non altro pensiamoci...

don Massimo Rizzi e l’équipe dell’Ufficio per la Pastorale dei Migranti

 

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letterina 20170108

Post-truth ovvero bufala

Monticelli

L’Oxford Dictionary, autorità indiscussa per la lingua inglese, l’ha scelta come parola dell’anno: post-truth, letteralmente post-verità. Una decisione forse anche un po’ provocatoria, collegata com’è ai due grandi eventi politici mondiali degli ultimi mesi: l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue e l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. In entrambi i casi, infatti, tutti gli osservatori sono concordi nel ritenere – dati internet alla mano – che la diffusione “virale” di notizie false, anche palesemente false, ma plausibili almeno per un pubblico privo di strumenti critici adeguati ha condizionato in modo decisivo le opzioni degli elettori. Perché di questo si tratta quando si parla di post-verità.
La parola italiana di uso corrente che più le si avvicina è bufala, termine che contiene una giusta dose di irrisione per l’assurdità di certe invenzioni, che pure trovano largo credito sul web, e che però non dà la misura della gravità del fenomeno. Con il potere della parola, del resto, bisogna andare cauti.
Una studiosa molto autorevole come Patrizia Violi, sottolinea con preoccupazione lo“spostamento semantico” per cui “si parla di post-verità e non più di menzogna”. La presenza di quest’ultima nel discorso politico, peraltro, è vecchia come il mondo.
“Il problema – spiega Violi – è che oggi la menzogna non viene più sanzionata e quando viene scoperta sembra che sia sufficiente chiedere scusa, anche quando la stessa menzogna è stata all’origine di eventi che hanno provocato decine di migliaia di morti”. Il riferimento esplicito è alle prove false costruite per giustificare la guerra in Iraq.
“Falsità dei contenuti, plausibilità, diffusione virale” sono i tre elementi che caratterizzano la post-verità. Purtroppo i siti d’informazione, anche quando concorrono a svelare la falsità di certe notizie, finiscono in qualche modo per rincorrerle e rilanciarle, ma, in altri casi, le bufale sono clamorosamente false e nonostante questo riescono a fare breccia nell’opinione pubblica.
Com’è possibile questo? E perché tanti preferiscono fidarsi del “si dice” digitale o di fonti quantomeno dubbie invece che dei siti che fanno informazione professionale?
È certamente doveroso chiedere un ruolo più incisivo e rigoroso dei siti d’informazione e un più tempestivo controllo da parte dei gestori dei social network. Ma senza farsi troppe illusioni. Il problema va rovesciato. Alla fine, dice Peverini, “l’unica risposta realistica è la formazione delle persone”.

 

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letterina 20170101

La non-violenza: stile di una politica per la pace

Monticelli

Questo è il Messaggio per la 50ª Giornata Mondiale della Pace.

Nel primo, il beato Papa Paolo VI si rivolse a tutti i popoli, non solo ai cattolici, con parole inequivocabili: «E’ finalmente emerso chiarissimo che la pace è l’unica e vera linea dell’umano progresso (non le tensioni di ambiziosi nazionalismi, non le conquiste violente, non le repressioni apportatrici di falso ordine civile)». ...

2. Il secolo scorso è stato devastato da due guerre mondiali micidiali, ha conosciuto la minaccia della guerra nucleare e un gran numero di altri conflitti, mentre oggi purtroppo siamo alle prese con una terribile guerra mondiale a pezzi.
Non è facile sapere se il mondo attualmente sia più o meno violento di quanto lo fosse ieri, né se i moderni mezzi di comunicazione e la mobilità che caratterizza la nostra epoca ci rendano più consapevoli della violenza o più assuefatti ad essa. In ogni caso, questa violenza che si esercita “a pezzi”, in modi e a livelli diversi, provoca enormi sofferenze di cui siamo ben consapevoli: guerre in diversi Paesi e continenti; terrorismo, criminalità e attacchi armati imprevedibili; gli abusi subiti dai migranti e dalle vittime della tratta; la devastazione dell’ambiente. A che scopo? La violenza permette di raggiungere obiettivi di valore duraturo? Tutto quello che ottiene non è forse di scatenare rappresaglie e spirali di conflitti letali che recano benefici solo a pochi “signori della guerra”? La violenza non è la cura per il nostro mondo frantumato.
Rispondere alla violenza con la violenza conduce, nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze, poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo. Nel peggiore dei casi, può portare alla morte, fisica e spirituale, di molti, se non addirittura di tutti.

3. Anche Gesù visse in tempi di violenza. Egli insegnò che il vero campo di battaglia, in cui si affrontano la violenza e la pace, è il cuore umano: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive» (Mc 7,21)...
Essere veri discepoli di Gesù oggi significa aderire anche alla sua proposta di nonviolenza.

Dal Messaggio di papa Francesco per la Giornata della Pace

 

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