letterina 20200510 - Si torna in chiesa

Si torna in chiesa

È stato firmato a Palazzo Chigi, il Protocollo che permetterà la ripresa delle celebrazioni con il popolo da lunedì 18 maggio. Il testo giunge a conclusione di un percorso che ha visto la collaborazione tra la Conferenza episcopale italiana, con il presidente della Cei, card. Gualtiero Bassetti, il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte e il Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese – nello specifico delle articolazioni, il Prefetto del Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione, Michele di Bari, e il Capo di Gabinetto, Alessandro Goracci – e il Comitato Tecnico-Scientifico.
Nel rispetto della normativa sanitaria disposta per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2, il Protocollo indica alcune misure da ottemperare con cura, concernenti l’accesso ai luoghi di culto in occasione di celebrazioni liturgiche; l’igienizzazione dei luoghi e degli oggetti; le attenzioni da osservare nelle celebrazioni liturgiche e nei sacramenti; la comunicazione da predisporre per i fedeli, nonché alcuni suggerimenti generali. Nel predisporre il testo, precisa la nota, “si è puntato a tenere unite le esigenze di tutela della salute pubblica con indicazioni accessibili e fruibili da ogni comunità ecclesiale”. “Il Protocollo è frutto di una profonda collaborazione e sinergia fra il Governo, il Comitato Tecnico-Scientifico e la Cei, dove ciascuno ha fatto la sua parte con responsabilità”, ha evidenziato il card. Bassetti, ribadendo l’impegno della Chiesa a contribuire al superamento della crisi in atto. “Le misure di sicurezza previste nel testo – ha sottolineato il presidente Conte – esprimono i contenuti e le modalità più idonee per assicurare che la ripresa delle celebrazioni liturgiche con il popolo avvenga nella maniera più sicura. Ringrazio la Cei per il sostegno morale e materiale che sta dando all’intera collettività nazionale in questo momento difficile per il Paese”.
Alla luce di tutto questo in settimana dovremo fare gli interventi necessari perché nelle nostre chiese siano rispettati i criteri indicati. Quasi sicuramente dovremo operare alcuni aggiustamenti rispetto agli orari e ai luoghi delle celebrazioni.
Ma, soprattutto, speriamo di non aver perso la strada della chiesa...

 

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Gli Appuntamenti:

  • Mese di maggio: Ogni lunedì-mercoledì e venerdì, ore 20.30 in streaming. Spunti di preghiera raccontandoci la “storia” di Maria con un passo di Vangelo e un’opera d’arte. Domande finali con ricchi premi.

 

 

  • Sono state emanate le nuove disposizioni per i funerali.(clicca qui). Leggendole, abbiamo condizioni particolari per gli ambienti (sanificazione, termo-scanner…) per le quali nessuna Parrocchia è pronta. Per questo, fino a data da destinarsi, la via preferenziale è quella di celebrare al Cimitero, valutando con i familiari se celebrare soltanto le esequie o inserirle al termine della celebrazione della messa. Si ricorda che i familiari sono i primi a dover garantire l’osservanza della regola “massimo 15 partecipanti”. Grazie al Sindaco Michele Jacobelli per garantire questa possibilità.

 

  • Ricordiamo nella preghiera i defunti di questa settimana, nella vicinanza ai familiari:
    • Beatrice Oberti in Rottoli, deceduta ad Almenno S.B il 6 maggio, funerata e sepolta a Palazzago l’8 maggio.
    • Pietro Mazzoleni, deceduto a Burligo il 7 maggio 2020. La salma è composta alla Casa del Commiato di Brembate. Funerale in settimana.

 

N.B. Continuiamo a trasmettere in streaming sulla pagina Facebook della Parrocchia (clicca qui).

letterina 20200503 - Non siamo orfani

Non siamo orfani

Alcuni passaggi di omelie e scritti di papa Francesco ci introducono al mese di Maggio, dedicato a Maria.

* Quando un cristiano mi dice che non ama la Madonna, che non gli viene di cercare la Madonna o di pregare la Madonna, io mi sento triste. Ricordo una volta, quasi quarant’anni fa, ero in Belgio, in un convegno, e c’era una coppia di catechisti, professori universitari ambedue, con figli, una bella famiglia, e parlavano di Gesù Cristo tanto bene. E a un certo punto ho detto: «E la devozione alla Madonna?» «Ma noi abbiamo superato questa tappa. Noi conosciamo tanto Gesù Cristo che non abbiamo bisogno della Madonna».
E quello che mi è venuto in mente e nel cuore è stato: “Mah... poveri orfani!”. È così, no? Perché un cristiano senza la Madonna è orfano. Anche un cristiano senza Chiesa è un orfano. Un cristiano ha bisogno di queste due donne, due donne madri, due donne vergini: la Chiesa e la Madonna. E per fare il “test” di una vocazione cristiana giusta, bisogna domandarsi: “Come va il mio rapporto con queste due Madri che ho?”, con la madre Chiesa e con la madre Maria. Questo non è un pensiero di “pietà”, no, è teologia pura. Questa è teologia. Come va il mio rapporto con la Chiesa, con la mia madre Chiesa, con la santa madre Chiesa gerarchica? E come va il mio rapporto con la Madonna, che è la mia Mamma, mia Madre?

** Maria è come Dio ci vuole, come vuole la sua Chiesa: Madre tenera, umile, povera di cose e ricca di amore, libera dal peccato, unita a Gesù, che custodisce Dio nel cuore e il prossimo nella vita. Guardiamo alla Madre. Nel suo cuore batte il cuore della Chiesa. (Papa Francesco, 1 gennaio 2018)

*** Maria è colei che trasaliva di gioia alla presenza di Dio, colei che conservava tutto nel suo cuore e che si è lasciata attraversare dalla spada. È la santa tra i santi, la più benedetta, colei che ci mostra la via della santità e ci accompagna. Lei non accetta che quando cadiamo rimaniamo a terra e a volte ci porta in braccio senza giudicarci. Conversare con lei ci consola, ci libera e ci santifica. La Madre non ha bisogno di tante parole, non le serve che ci sforziamo troppo per spiegarle quello che ci succede. Basta sussurrare ancora e ancora: «Ave o Maria...». (Gaudete et exsultate 176)

 

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Gli Appuntamenti:

  • E’ iniziato il mese di maggio. Il desiderio è di giungere nelle nostre case -come stiamo facendo da un po’ con le dirette con alcuni spunti di preghiera, tre volte la settimana (lunedì-mercoledì e venerdì) raccontandoci la “storia” di Maria con un passo di Vangelo e un’opera d’arte. Ricordiamo anche le proposte della Diocesi per ragazzi e adolescenti che si possono vedere sul sito oratoribg (clicca qui)..

 

  • Sono state emanate le nuove disposizioni per i funerali.(clicca qui). Leggendole, abbiamo condizioni particolari per gli ambienti (sanificazione, termo-scanner…) per le quali nessuna Parrocchia è pronta. Per questo, fino a data da destinarsi, la via preferenziale è quella di celebrare al Cimitero, valutando con i familiari se celebrare soltanto le esequie o inserirle al termine della celebrazione della messa. Si ricorda che i familiari sono i primi a dover garantire l’osservanza della regola “massimo 15 partecipanti”. Grazie al Sindaco Michele Jacobelli per garantire questa possibilità.

 

  • La chiusura dell’Oratorio, del Giropizza e di tutte le attività connesse ci ha fatto guardare le scadenza delle scorte. Qualcosa è già scaduto; molto altro però lo sarà nei prossimi mesi. Per queste merci chiediamo un aiuto per evitare di buttarle prossimamente. Ci sono lattine, bibite, birre, patatine, caramelle...che possono essere prese con € 0,50, 1 e 1.50. Chi ci può dare una mano contatti Vanessa (349 2668423) e Mariarosa (339 6429718). Grazie.

 

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letterina 20200426 - Pesi e nodi

Pesi e nodi

I Vangeli di Pasqua ci presentano spesso la morte come questione di pesi e nodi, e la risurrezione come mani che spostano pietre tombali e sciolgono nodi. La vita così torna a sgorgare. Pesi e nodi come in un film famoso del 1986, The Mission, di Roland Joffè, in particolare in una sequenza che vi racconto.

Le missioni dei gesuiti in Sudamerica si son fatte rigogliose, al punto da infastidire i pruriti di avidità di Portogallo e Spagna.
Robert De Niro veste i panni del capitano Mendoza: lo schiavista, 1'aguzzino che si arrampica fin sopra le cascate per catturare i guarani, intrappolarli come animali e venderli bene al mercato degli schiavi. Ma Mendoza è un violento, e pagherà il prezzo del suo sangue impetuoso con una tragedia che si consuma in famiglia: per questioni di onore e di amore uccide in duello il fratello minore. Torturato dal rimorso, si rinchiude in prigione. (Lui non può saperlo, ma "carcere" è un termine che deriva dalla parola aramaica che significa "sepolcro".) Mendoza rinchiude se stesso in un sepolcro: vuole darsi la morte per espiare la colpa. Ci vuole una voce amica; ci vuole qualcuno che sciolga i nodi interiori di quest'uomo, che sposti i suoi pesi. Un gesuita lo va a cercare fin dentro alla sua prigione. Va bene, gli dice, hai ucciso tuo fratello: Ti torturi, non accetti che ci sia un perdono. Dove è finito il condottiero di un tempo? Non si può che ridere di un uomo che rinuncia così a combattere. Non vorresti almeno provare?
La scintilla dell'uomo d'armi gli si riaccende in cuore, ma per una battaglia tutta interiore. E la scena successiva è straordinaria: una avvolgente colonna sonora accompagna 1'ascesa di Mendoza, che trascina una rete con un gran cumulo d'armi. Lance, spade, elmi, corazze, il suo ingombrante passato, l'immagine del suo gravame interiore: un uomo appesantito dal suo dolore, dal senso di colpa, dalla violenza che gli ha mosso la mano e spento il fratello. Si arrampica scortato da cinque gesuiti su per le cascate, nel fango, tra rocce e sudore. Uno dei gesuiti dà voce al pensiero comune. Non può andare avanti così, commenta esasperato, quest'uomo si sta condannando a una pena troppo pesante: così, impugna il machete e trancia i nodi dell' enorme corda, scaricando a valle tutta la massa di armi. E Mendoza lo guarda negli occhi e torna a valle, senza dire parola; recupera il cumulo di ferraglia, riannoda la corda: non ha ancora finito di espiare, nessuno può dirgli quando sarà espiata la colpa, pagato il debito. Nessuno dei gesuiti, quantomeno.
L'arrivo tra i guarani è memorabile: gli indios si avvicinano sospettosi al loro carnefice, colui che ne ha sterminato la comunità. Uno di loro lo affronta rapace, gli punta il coltello alla gola, butta fuori incomprensibili parole rabbiose... e poi taglia la corda e scaraventa l'ammasso di armi nel fiume. E lì Mendoza capisce che la sua espiazione è finita. Scoppia in pianto. Ed ecco, pian piano i guarani gli si fanno attorno: vedono l'aguzzino di un tempo ora in lacrime.
Lo guardano, ammiccano tra loro, cominciano a ridere. Il diavolo si è messo a piangere, si dicono. Allora comincia a ridere anche Mendoza. E c'è il grande abbraccio della comunità - i guarani e i gesuiti insieme - che si stringe attorno alla fragilità di quest'uomo: è una scena miracolosa, una scena di risurrezione.
La devastazione di Mendoza può cominciare a sollevarsi grazie a coloro che erano state le sue vittime. Mani amiche sciolgono nodi, spostano pesi e chiamano il morto fuori dal suo sepolcro. Abbiamo bisogno di voci amiche e mani fedeli, che ci aiutino a uscire dai nostri sepolcri, quelli in cui ci rinchiudiamo, soffocati dalla rabbia e dall' angoscia per aver sbagliato, mancato, tradito.

 

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letterina 20200419 - La donna e la cipolla

La donna e la cipolla

L’essere tutti sulla stessa barca, come anche papa Francesco diceva nella preghiera in Piazza San Pietro, ci fa riscoprire la forza dei piccoli gesti e, anche, che ci salveremo insieme o non ci salveremo affatto. Una pagina de “I fratelli Karamazov “ (VII, 3) di Fëdor Dostoevskij ce lo dice così:

Vedi, Aljòscecka, - scoppiò e ridere nervosamente Grùscegnka rivolgendosi a lui, - mi sono vantata con Rakìttka di aver dato una cipolla, ma con te non mi vanterò, a te parlerò con un'altra intenzione. E' soltanto una leggenda, ma una bella leggenda, che ancora bambina ho sentito dalla mia Matrjòna, quella che adesso serve da me come cuoca. Senti com'è:

"C'era una volta una donna cattiva cattiva che morì, senza lasciarsi dietro nemmeno un'azione virtuosa. I diavoli l'afferrarono e la gettarono in un lago di fuoco. Ma il suo angelo custode era là e pensava: di quale sua azione virtuosa mi posso ricordare per dirla a Dio? Se ne ricordò una e disse a Dio: - Ha sradicato una cipolla nell'orto e l'ha data a una mendicante. E Dio gli rispose: - Prendi dunque quella stessa cipolla, tendila a lei nel lago, che vi si aggrappi e la tenga stretta, e se tu la tirerai fuori del lago, vada in paradiso; se invece la cipolla si strapperà, la donna rimanga dov'è ora. L'angelo corse della donna, le tese la cipolla: - Su, donna, le disse, attaccati e tieni. E si mise a tirarla cautamente, e l'aveva già quasi tirata fuori, ma gli altri peccatori che erano nel lago, quando videro che la traevano fuori, cominciarono ad aggrapparsi tutti a lei, per essere anch'essi tirati fuori. Ma la donna era cattiva cattiva e si mise a sparar calci contro di loro, dicendo: "E' me che si tira e non voi, la cipolla è mia e non vostra. Appena ebbe detto questo, la cipolla si strappò. E la donna cadde nel lago e brucia ancora. E l'angelo si mise a piangere e si allontanò".

 

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letterina 20200412 - Siamo in guerra?

Siamo in guerra?

Prendo a prestito alcuni stralci di una riflessione del monaco Guido Dotti:

No, non mi rassegno. Questa non è una guerra, noi non siamo in guerra.
Da quando la narrazione predominante della situazione italiana e mondiale di fronte alla pandemia ha assunto la terminologia della guerra – cioè da subito dopo il precipitare della situazione sanitaria in un determinato paese – cerco una metafora diversa che renda giustizia di quanto stiamo vivendo e soffrendo e che offra elementi di speranza e sentieri di senso per i giorni che ci attendono.
Il ricorso alla metafora bellica è stato evidenziato e criticato da alcuni commentatori, ma ha un fascino, un’immediatezza e un’efficacia che non è facile debellare (appunto).
E’ possibile trovare una metafora alternativa? Le decine di artisti, studiosi, intellettuali, attori invitati a scegliere e illustrare una parola significativa in questo momento storico hanno fornito un preziosissimo vocabolario che spazia da “armonia” a “vicinanza”, ma fatico a trovarvi un termine che possa fungere anche da metafora per l’insieme della narrazione della realtà che ci troviamo a vivere. Eppure, come dicevo da subito, non mi rassegno: non siamo in guerra!
Per storia personale, formazione e condizione di vita, conosco bene un crinale discriminante, quello tra lotta spirituale e guerra santa o giusta, lungo il quale è facile perdere l’equilibrio e cadere in una lettura di se stessi, delle proprie vicende e del corso della storia secondo il paradigma della guerra.
Ma allora, se non siamo in guerra, dove siamo? Siamo in cura!
Non solo i malati, ma il nostro pianeta, tutti noi non siamo in guerra ma siamo in cura. E la cura abbraccia – nonostante la distanza fisica che ci è attualmente richiesta – ogni aspetto della nostra esistenza, in questo tempo indeterminato della pandemia così come nel “dopo” che, proprio grazie alla cura, può già iniziare ora, anzi, è già iniziato.
Ora, sia la guerra che la cura hanno entrambe bisogno di alcune doti: forza (altra cosa dalla violenza), perspicacia, coraggio, risolutezza, tenacia anche... Poi però si nutrono di alimenti ben diversi. La guerra necessita di nemici, frontiere e trincee, di armi e munizioni, di spie, inganni e menzogne, di spietatezza e denaro... La cura invece si nutre d’altro: prossimità, solidarietà, compassione, umiltà, dignità, delicatezza, tatto, ascolto, autenticità, pazienza, perseveranza... Per questo tutti noi possiamo essere artefici essenziali di questo aver cura dell’altro, del pianeta e di noi stessi con loro. Tutti, uomini e donne di ogni o di nessun credo, ciascuno per le sue capacità, competenze, principi ispiratori, forze fisiche e d’animo.
Sono artefici di cura medici di base e ospedalieri, infermieri e personale paramedico, virologi e scienziati... Sono artefici di cura i governanti, gli amministratori pubblici, i servitori dello stato, della res publica e del bene comune... Sono artefici di cura i lavoratori e le lavoratrici nei servizi essenziali, gli psicologi, chi fa assistenza sociale, chi si impegna nelle organizzazioni di volontariato... Sono artefici di cura maestre e insegnanti, docenti e discenti, uomini e donne dell’arte e della cultura... Sono artefici di cura preti, vescovi e pastori, ministri dei vari culti e catechisti... Sono artefici di cura i genitori e i figli, gli amici del cuore e i vicini di casa... Sono artefici – e non solo oggetto – di cura i malati, i morenti, i più deboli, beni preziosi e fragili da “maneggiare con cura”, appunto: i poveri, i senza fissa dimora, gli immigrati e gli emarginati, i carcerati, le vittime delle violenze domestiche e delle guerre... Per questo la consapevolezza di essere in cura – e non in guerra – è una condizione fondamentale anche per il “dopo”: il futuro sarà segnato da quanto saremo stati capaci di vivere in questi giorni più difficili, sarà determinato dalla nostra capacità di prevenzione e di cura, a cominciare dalla cura dell’unico pianeta che abbiamo a disposizione. Se sappiamo e sapremo essere custodi della terra, la terra stessa si prenderà cura di noi e custodirà le condizioni indispensabili per la nostra vita. Le guerre finiscono – anche se poi riprendono non appena si ritrovano le risorse necessarie – la cura invece non finisce mai. Se infatti esistono malattie (per ora) inguaribili, non esistono né mai esisteranno persone incurabili. Davvero, noi non siamo in guerra, siamo in cura!
Curiamoci insieme.

Buona Pasqua

Don Giuseppe, don Roberto, don Paolo, don Giampaolo

 

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