letterina 20150516

Dentro e fuori il matrimonio

Giuda

Alberto Melloni ha presentato al pubblico bergamasco un suo libretto «Amore senza fine, amore senza fini». Una delle tesi del libro è la constatazione di un singolare intreccio: chi è nel matrimonio o intende entrarci rivendica la libertà di poterne uscire, e chi ne è escluso rivendica il diritto di poterci entrare.
In nome della «libertà di uscita» divorzi e convivenze, soprattutto.
Nel nome del diritto di entrarci gli omosessuali chiedono matrimonio e figli.
Al centro, dunque, dello strabiliante dibattito, l’istituzione, e questa istituzione, soprattutto: il matrimonio da rivendicare, da una parte, o da rifiutare, dall’altra. Lo stesso Melloni cita la frase di un prete che, nel suo piccolo, ha fatto storia. “Va proprio male, dice sconsolato il reverendo all’amico che gli ha chiesto come va, oggi si vogliono far prete solo le donne, vogliono far figli solo quelli che non possono averne, e vogliono sposarsi solo le persone omosessuali”. A questo punto due possibili, tra le tante altre, ipotesi.
Ipotesi uno, pessimista. Molto grosso modo, la tesi sostiene che le istituzioni hanno il compito di fare da ingranaggio alle diversità che segnano la convivenza umana. La diversità uomo-donna è una delle diversità fondamentali ma è anche in crisi. Intanto quella diversità è meno diversa di un tempo. In Olanda il sesso lo si sceglie dopo i 15 anni di età. E lo si sceglie, appunto, a prescindere dal retaggio fisico di cui si dispone. Ma soprattutto quella diversità la si gestisce con un amore senza fine e non con una istituzione che gli dia consistenza, amore con troppi fini che gli pesano sopra.
Ipotesi due. Ottimista o meglio: meno pessimista. È finito il sogno di una istituzione che tutti accettano e che fa da regolatore generale dei rapporti fra l’uomo e la donna. Ma se è in crisi l’istituzione non è finito l’amore. Anche chi non si sposa e convive si ama. Elementare Watson, ma è bene che lo si ricordi. Anche chi divorzia e si risposa continua ad amare.
Intanto, però, in questa generale disaffezione come sono preziosi i matrimoni – pochi ma belli – di chi non solo si ama, ma si ama davanti al Signore in questa istituzione: il matrimonio e ci rimane, per tutta la vita. Meno ci si sposa, infatti, più sono benedetti e diventano profeti, quei pochi che si sposano.

don Alberto Carrara 

  Scarica qui la Lette...Rina


I MODULI per l'iscrizione di Ragazzi e Animatori al CRE 2015 sono scaricabili nell'apposita cornice qui sotto

letterina 20150509

Chi lo sa?

Giuda

Stamattina sono passato a Milano in Duomo. Ero fermo un attimo a pregare davanti al crocifisso quando una ragazza si fa largo tra le persone, tira fuori il suo smartphone e si fa un bel selfie con il crocifisso. Al momento la cosa mi ha un po' infastidito e ha suscitato in me alcune scontate reazioni: che senso ha un selfie col crocifisso? Ok il turismo, ma serve un po' di rispetto! Ma lo sa quella ragazza il significato della croce? Un po' quelle stesse domande che mi pongo quando incontro uno di quei tamarretti, tutto fumo, motorino e bestemmie, che però immancabilmente hanno al collo il catenozzo col crocifisso.
Arrivato a questo punto del mio fastidio mi sono però bloccato. Ho alzato lo sguardo per un istante e ho smascherato in me uno spirito decisamente lontano dal vangelo: quella innata tendenza cioè a giudicare, a incasellare una persona dentro i miei schemi, a fermarmi alle apparenze senza considerare che Dio si serve di ogni strada per arrivare alle persone. E mi sono detto: guarda un po', questa ragazza si è portata a casa una foto di lei col crocifisso! Non so nulla di questa persona. Non lo so se va tutte le domeniche a Messa, se invece è decisamente lontana dalla fede. So di certo però che, come ogni uomo, sarà presa tra gli affanni della vita, sarà sballottata di qua e di là, tra una spesa da fare, un autobus da prendere, un modulo da compilare. Sarà felice per quel successo, sarà turbata da quella delusione, piangerà lacrime di gioia e griderà aiuto nel momento del dolore. E chi lo sa se un giorno, in mezzo a tutto questo, dall'archivio del suo smartphone salterà fuori una foto di tanti anni prima, una foto in cui c'è lei con un sorriso e dietro a lei un crocifisso che l'abbraccia. Chi lo sa se proprio davanti a quella foto, in mezzo alla sua vita, questa donna comprenderà una verità immensa: che la sua vita, da sempre, è amata in modo sublime, è amata a tal punto che qualcuno è arrivato a morire per lei.
Chi lo sa se davanti a quella foto, troverà il coraggio di girarsi e guardare in faccia quel crocifisso, perché a penetrare i suoi occhi non sia più la camera narcisista del suo smartphone, ma quello sguardo eterno che dona vita.
Mi alzo per tornarmene verso casa e di certo per strada incontrerò i tamarretti di cui sopra. Chissà che anche il loro crocifisso al collo non sia un seme gettato da un Dio che, lontano dai nostri schemi, agisce e arriva dove lui solo sa.

Gabriele C.

 

  Scarica qui la Lette...Rina

letterina 20150502

Non ci è permesso vivere spensieratamente

Giuda

Le notizie che arrivano dal Nepal stanno seguendo le modalità abituali in eventi del genere.
All’inizio erano alcune decine di morti, poi alcune centinaia. Adesso si parla di diecimila vittime. Non solo le vittime ma anche l’incomparabile patrimonio artistico è stato gravemente compromesso.
Il dramma del Nepal rispetta dunque una componente importante di un dramma che si rispetta: il crescendo... Con un paio di osservazioni, scontate forse, ma importanti. Nei nostri notiziari arrivano soprattutto le notizie “cattive”. Pochi parlavano finora del Nepal, a parte qualche eccezione, di tanto in tanto, e qualche reportage turistico, qualche scalata sull’Himalaya. Non se parlava, perché, abitualmente, non c’erano motivi particolari per parlarne. Adesso, invece, tutti ne parlano...
Succede quasi sempre così, per i paesi lontani e per quelli vicini e anche per le notizie di casa nostra. Il mondo che ci viene proposto è soprattutto – non esclusivamente s’intende, ma soprattutto – il mondo della violenza, della sofferenza, della tragedia. Intanto però ci si accorge che non esistono isole felici nelle quali ci si possa vivere senza preoccupazioni e senza ansie. Perché bisognerebbe vivere senza notizie e le notizie, che lo si voglia o no, ci inseguono. E quando non sono le notizie che inseguono noi, siamo noi che inseguiamo le notizie, perché dovunque siamo, il sito di un giornale amico lo possiamo consultare sempre.
Donde deriva una conseguenza morale che anche questo disastro ribadisce: non solo non si può vivere da soli, ma la piccola nostra felicità personale deve fare i conti quotidianamente con la grande infelicità collettiva. E da questa parte del mondo si deve prendere atto che molta gente muore per il lontano terremoto mentre qui, più vicino, gli immigrati continuano ad arrivare. A proposito: quanti ne sono arrivati in questi giorni? Non si sa. Ma non si sa semplicemente perché altre notizie premono e i drammi di Lampedusa sono meno gravi dei drammi di Katmandu. Ma lasciamo passare qualche giorno e si tornerà a parlarne: alla pagode sbriciolate si sostituiranno i barconi arrugginiti degli immigrati libici ed eritrei.
Davvero non ci è permesso – non ci è mai permesso – di vivere spensieratamente.

Da: www.santalessandro.org

 

  Scarica qui la Lette...Rina

letterina 20150424

2 barra 3

Giuda

Non so se vi siete accorti: è sempre più diffuso un modo di esprimersi : barra.
Vuoi essere snob, cool, in, trandy, easy? Allora non dire più: “ho 2 o 3 cose da fare” ma “ho 2 barra 3 cose da fare”; non si senta più: “ci vediamo tra 5 o 10 minuti” ma “tra 5 barra 10 minuti” e così tutto: 1 barra 2 figli, 2 barra 3 amanti, 3 barra 4 amici... Si direbbe che stare al computer molte ore digitando la barra, abbia influenzato il modo di parlare.
Normalmente, nel linguaggio verbale, si tende a semplificare le parole, tant’è vero che si abbreviano anche i nomi propri. Chiedetelo agli ado (che sta per adolescenti), se non è vero. Qui si assiste invece all’esatto contrario: li si allunga. E’ così bella quella O (una lettera) e invece oggi bisogna dire BARRA (cinque lettere). A forza di barra si corre il rischio di uniformare tutto, anche i numeri, con i quali sempre più abbiamo a che fare nei tiggì (telegiornali): del resto cosa cambia se i cristiani uccisi in Kenya sono 147 barra 150, se quelli buttati a mare sono 15 barra 20, se il carico umano stipato sui barconi era di 700 barra 900 profughi?
A forza di barra si perdono i volti, le storie. E ne basterebbe uno (neanche 1 barra 2) a far sussultare le coscienze intorpidite.
L’appello che si alza da queste storie è uno solo: non guardateci come numeri, non accorpateci come un mucchio indistinto, non fate di noi una statistica. Ciascuno di noi è un nome e una storia, una vita e dei sentimenti, delle speranze e delle relazioni. Del resto se in quella barra ci fosse tuo figlio, tua moglie, tuo marito..., come cambierebbe la storia? E ciascuno di noi vi rende presenti altri volti e altri nomi, altre storie, più vicine a voi, più simili al vostro quotidiano, volti e storie che magari non volete guardare in faccia. Non considerate mai l’altro come un numero o, peggio, come un soprannumero: l’altro è sempre una persona, una storia, un capolavoro. Sì, nel volto dell’altro, se accettiamo di guardarlo, c’è il nostro volto, perché l’altro siamo noi.
Chissà se tutti quelli che vengono in chiesa le pensano queste cose, magari anche quando fanno la Comunione...

 

  Scarica qui la Lette...Rina

letterina 20150418

Misericordiae Vultus

Giuda

1. Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre.
Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi. Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth. Il Padre, «ricco di misericordia» (Ef 2,4), dopo aver rivelato il suo nome a Mosè come «Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34,6), non ha cessato di far conoscere in vari modi e in tanti momenti della storia la sua natura divina. Nella «pienezza del tempo» (Gal 4,4), quando tutto era disposto secondo il suo piano di salvezza, Egli mandò suo Figlio nato dalla Vergine Maria per rivelare a noi in modo definitivo il suo amore. Chi vede Lui vede il Padre (cfr Gv 14,9). Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona[1] rivela la misericordia di Dio.

2. Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia.
È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato.

3. Ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre. È per questo che ho indetto un Giubileo Straordinario della Misericordia come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti. L’Anno Santo si aprirà l’8 dicembre 2015, solennità dell’Immacolata Concezione...

Franciscus

  Scarica qui la Lette...Rina

letterina 20150411

La gioia dell'Evangelizzazione

Giuda

Parola che respira perché è Persona che cammina. Apri le Scritture e avvicinati piano. In silenzio ma con tutta la vita che ti strepita dentro. Metti i tuoi occhi sulle lettere sacre e guarda e ascolta e odora e tocca storie di uomini, di donne, di popoli e tra questi di Israele, nato dalla fede di Abramo, dalla mansuetudine di Isacco e dalla lotta di Giacobbe. Per strappare una benedizione e poter così camminare incontro ai nemici, anche quando son grandi come giganti e sarebbe buon senso rinunciare all'impresa. Se la Parola ti visita e tu la fai entrare, ti ruberà il cuore. La Parola era per Israele come una luce. Ma nel tempo del compimento è accaduto di più: il Verbo ha preso la nostra carne. Da allora che senso ha vivere? Amare poi. E morire? Può una voce, una notizia avere la pretesa di divenire senso, scopo, significato di una vita intera? Una Parola, una Persona: Gesù. Vivere, amare, morire per annunciare la Parola. Per dire Lui. Ride lo stolto, ride dentro di sé, perché la Parola è come un fiato. Che ne resta dopo che l'hai alitata? E poi Lui. Che ne resta dopo la Sua morte? La Sua resurrezione? Voce di alcuni che l'hanno visto, ma noi abbiamo solo udito... solo udito, non visto. Mentre vediamo e tocchiamo e patiamo nella nostra carne che dalla Sua Pasqua non è cambiato niente! Niente! Mio figlio non trova lavoro, mio marito muore, l'innocente è abusato, la terra trema, l'asfalto tradisce, la depressione ingoia. Non è cambiato niente! Pensa lo stolto tra sé. Forse lo pensi anche tu. Lo stolto non è stupido. È ferito. E allora via, per luoghi comuni: la Parola è affare dei preti, di chi ha tempo per leggere ... dato che non lavora, di chi parla dal pulpito e deve suo malgrado dire qualcosa che aiuti i deboli a sperare, i buoni a convincersi della propria bontà, gli afflitti a non sentirsi soli. Ci si difende un po' così. Ma all’inizio della Quaresima avevamo chinato il capo per ricevere un po’ di cenere. Lieve, come la Parola "Convertiti e credi al vangelo!". Lieve. Perché in fondo quanto pesa questo fiato che invita a conversione? Pesa come la cenere. Pesa niente. E quanto pesa il fuoco? Lo sai quanto pesa? Pesa niente. Eppure divora, prende, conquista, accende, purifica, trasforma. La Parola, la potenza della morte e della resurrezione di Gesù Cristo Figlio di Dio, il Benedetto, viene lieve come la cenere, sembra niente e dopo quaranta giorni è fuoco. Dal mercoledì della cenere alla domenica del fuoco. Per questo i Padri dicono che la Parola risuscita i morti. Evangelizzare significa alitare la buona notizia sulla cenere perché diventi fuoco. E misericordia

 

Scarica qui la Lette...Rina