letterina 20100321

L'affondo

 Sui passi di Francesco

Francesco è a cavallo...vede un lebbroso...si mescolano paura e voltastomaco...scappa...ma dopo pochi metri frena il suo cavallo...sente un brivido che non è paura, ma calore e lucidità che lo porta a guardarsi dentro.
Rientra in se stesso e torna indietro. Scende da cavallo e bacia il lebbroso. Sì, il lebbroso, con le sue piaghe, la sua forza di contagio, il suo odore insopportabile come lo sono tutte le povertà. Da quel giorno dirà :"Il Signore mi condusse da loro...", chiedendogli di andare oltre il recinto, dove scoprirà che proprio fuori dall’accampamento, dalla città, dal suo palazzo è il luogo dell’uomo.
Francesco fa la scelta dell’essenziale: rientra in sé e intraprende l’unica via che fa ritrovare il senso originario delle cose e che riconcilia con tutte le creature. La rinuncia. Da allora pregherà così:
"Donami fede diritta, speranza certa, carità perfetta e umiltà profonda". Ed è questa umiltà profonda che gli fa vivere ciò in cui crede, lo porta a credere in ciò che spera e  a sperare la realizzazione di ciò che ama. Vive fra sogno e realtà, desiderando. Un desiderio così forte che i suoi sogni divengono realtà.
Un giorno Francesco dirà una grande verità:
"L’importante non è che noi siamo buoni o santi, ma l’importante è che Dio sia Dio". Lui si è sempre sentito creatura e ha chiamato tutto creature, senza mai provare a sostituirsi a Dio.
Anche il suo bisogno fisico di toccare il divino e di sacralizzare l’umano lo rende straordinario. Non gli basta solo teorizzare ed immaginare, lui deve vedere, toccare, sentire, vivere qualunque cosa. Per questo a Greccio, durante un Natale, sente la necessità di realizzare il presepe con personaggi vivi; allo stesso modo a La Verna, sente che non  può fare a meno di provare la stessa intensità del dolore di Gesù sulla croce accogliendo le stigmate.
Il suo percorso di vita assomiglia a quello del baco da seta. Il baco comincia a filare la seta e costruire la casa nella quale dovrà morire. Mangia le foglie di gelso, elabora il filo di seta, costruisce il bozzolo, tanta fatica e tanta cura per costruirsi quella casa dove dovrà morire per diventare qualcos’altro: umiltà profonda.

(Luigi Verdi)

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letterina 20100314

L'affondo

 Ritorno

Verso di te, Signore,
ritorno da lontano.
Da paesi di speranze spezzate
e di ferite profonde nei cuori.
Sono partito dopo tanto male,
dopo tanto oblio;
dopo tante fedeltà sbriciolate,
dopo tante gioie perdute;
dopo tante ricerche disperse,
dopo tante verità deviate;
dopo tante tristezze accumulate
nel dedalo dei miei desideri erranti.
Eccomi, Signore:
ho attraversato il peccato
e tutto il mio essere è straziato.
Vengo, Signore!
Sono le tue braccia aperte
a farmi tornare da lontano
con i miei sogni infranti
e la mia purezza in cocci.
Unicamente le tue braccia aperte,
senza giustificazione alcuna,
mi attirano e mi immergono
nella tua infinita tenerezza.

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letterina 20100307

L'affondo

Grande fratello

Il confessionale, eliminato quasi completamente dal lessico delle nuove generazioni  - ma non solo  - è tornato prepotentemente di moda, frequentato com'è nella casa del grande fratello. Ma proviamo a chiedere ad un "fedele" del terzo millennio con un innegabile rapporto conflittuale con la confessione di esprimerci le sue sensazioni riguardo a questo sacramento, coi dovuti aggiustamenti apportati dallo show televisivo. Ce ne sono delle belle, al punto da rimpiangere il caro vecchio confessionale che nel frattempo è diventato "penitenzieria").
"Mi sono recato nella mia chiesa e con fare circospetto ho aperto la porticina del confessionale dove sapevo di poter incontrare un prete. D'accordo non sono un assiduo frequentatore dell'inginocchiatoio, ma non so descrivervi la mia sorpresa nel momento in cui mi sono accorto che invece della faccia bonaria del solito sacerdote al di là della grata mi stava fissando un obiettivo con
annessa lucina rossa accesa. Inquieto, ma non per questo meno deciso a scaricare il mio peccaminoso fardello ho abbozzato uno scontato "Mi perdoni Padre perché ho peccato"... (pausa drammatica). "Punto primo preferirei essere chiamato fratello, in secondo luogo vorrei che fossi un poco più rapido, chi vuoi nominare?". (pausa meno drammatica, ma molto perplessa). "Se intende insinuare che abbia agito contro il comandamento che recita Non nominare il nome di Dio invano, mi spiace deluderla, ma tra le mie molte mancanze non annovero l'essere un bestemmiatore! "Ma che hai capito, devi nominare qualcuno!" "Cioè?" Lascia che ti aggiorni: dopo il successo del Grande Fratello abbiamo deciso di sostituire i sacerdoti con una telecamera, difatti io non sono di fronte a te, bensì seduto in canonica con una tazza di caffè fumante tra le mani. E' un modo che, siamo convinti, sia efficace per far aprire di più le persone, forse non l'hai notato ma l'unico modo che qualcuno ha adesso per far parlare la gente della propria vita, financo delle proprie nefandezze più turpi, è fornire un pubblico il più vasto possibile; tanto per la cronaca in questo momento sei in diretta sul sito www.peccatoreonline.org. Noi preti  ci siamo sempre lamentati in questi anni della disaffezione dei fedeli alla penitenza, bastava così poco. Ora fa il bravo  e nomina qualcuno che secondo te non merita di essere perdonato da Dio nel prossimo mese, non hai presente che successo sta avendo questa iniziativa, le persone hanno deciso per così tanti anni di gestire la morale come se fosse soltanto loro, che nei panni del Dio che giudica ci sguazzano; mai in seminario durante teologia morale avrebbero pensato ad uno stratagemma simile: Allora chi nomini?". "Scusi, ma a questo punto la storia del padre misericordioso, il figlio prodigo, la correzione fraterna che fine avrebbe fatto? Per favore non mi faccia rimpiangere le decine di "Pateravegloria" che ho snocciolato in trentanni di vita con una velocità tale da poterla paragonare alla prestazione record di uno speaker sportivo dopato.  Io rivoglio il mio senso di colpa  e l'eventuale, ma non automatico, sollievo  che segue l'assoluzione, sa che me ne faccio della simpatia e comprensione di un internauta che mi segue via modem?

 

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letterina 20100228

L'affondo

... e se me ne stessi perdendo altre?

Sabato sera, 20 anni, e sono a casa un'ora e mezza circa prima del solito. Che disagio! Eppure avevo voglia di pensare: sono io la "diversa"? Hanno ragione gli altri? Ma si può parlare di ragione o torto? Mi tiro troppe storie?
Ma a me viene così: quando il sabato sera usciamo e il bicchiere diventa protagonista, io sento un po’ di tristezza... Me ne sto lì al tavolo e la maggior parte delle frasi che sento dire sono del tipo: "Dai ancora una...", "Ma qui cosa c'è dentro?", "Però tu lo reggi bene... ", "Tu sei già andato" "Prima non bevevo mai, poi...".
Un unico tema, le stesse parole, unico tono. Limitata possibilità di scambi più interessanti, più veri.
Alcuni mi dicono che sono "vecchia". Ma, forse, sono l'audacia, la vitalità, l'energia, la voglia di capire/si e esplorare, (tutte cose che, credo, si accompagnino alla gioventù), che rendono gli incontri interessanti, piacevoli, divertenti, senza nessun aiuto...esterno.
Forse è più vecchio chi ha bisogno di qualcosa da buttar dentro per assaporare l'incontro con gli altri. E se provassimo a buttar fuori? Anche solo a dirsi delle cose, a raccontarsi, a non accontentarci di poche e sbrigative frasi che vanno raramente al di là della dozzina di parole, a interessarsi a cosa l'altro pensa, fa, sente. Anche il sabato sera. In una parola INCONTRO.
Naturale, facile, semplice, sincero. Perché il sabato se a me piacerebbe stare con i miei amici e divertirmi con loro e ho voglia di sapere cosa hanno fatto durante la settimana, se hanno avuto un pensiero, un'emozione particolare se hanno riso, se hanno subito un insuccesso, se si sono meravigliati per qual cosa e via così.
Ho voglia di incontrarli. È troppo da "diversa" chiedere di avere accanto anche il sabato sera i miei amici, per poter incontrare LORO e non banali copie che i bicchieri in più mi restituiscono? Forse non sono io la "diversa", perché io, il sabato sera sono sempre uguale
Mi dicono: "Hai vent'anni, se non le fai adesso ste cose...", e io penso: "Ho vent’anni e se me ne stessi perdendo altre?"
Mi viene in mente una frase che ho letto poco tempo fa: "Il momento non è niente se è orfano di tutto il resto".

Al

 

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letterina 20100221

L'affondo

La bocca di Dio

Pietre o pane?
Gesù esce da questa alternativa facile e legittima non negando il pane, ma opponendo alla fame del corpo la fame del cuore, perché non di solo pane vive l’uomo. Anzi, di solo pane l’uomo lentamente muore. Di sole cose il cuore si raffredda. Il segreto della vita è oltre noi.
Gesù indica una fame più antica e larga di tutto il pane del mondo, perché la fede è dilatazione e addizione, un’offerta di più di vita.
Il pane è un bene inequivocabile; il pane è buono, ma più buona è la Parola. Il pane fa vivere, ma più vita viene dalla parola di Dio. Io non sono solo un mendicante di pane, ma mendicante di cielo, di giustizia e di bellezza, di felicità e di amore per me e per gli altri.
L’uomo vive di ciò che viene dalla bocca di Dio.
Dalla bocca di Dio è venuta la luce, con la prima parola di Genesi; poi sono venuti il cosmo e tutte le creature; è venuto il bacio con cui il Creatore ha alitato il suo alito di vita sul grumo di terra che era Adamo. Da allora, per ogni figlio di Adamo, respirare è respirare  lui. Siamo tutti polvere attraversata dalla spada del suo soffio.
L’uomo vive di ogni sua parola, vive di vangelo e creature. Riceve vita dal pane ma anche dall’abbraccio; dalla parola di Gesù e dai sogni di ogni creatura che gli cammina a fianco, l’uomo vive di profezia e di parole appena sussurrate. E posso dire, ognuno sa a chi può rivolgersi: di Dio e di te io vivo. Anche tu sei bocca di Dio, che respira il suo respiro. Tu, sillaba della Parola.

 

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letterina 20100214

L'affondo

Il lupo alla porta della ferita

Il nostro cuore e il nostro spirito fanno così presto a credere di avere ragione! E’ così difficile accettare di avere torto, e non solo, ma che ci siano anche delle persone che amiamo e altre che non amiamo.E nascono dentro di noi dei sentimenti che spesso ci si rifiuta di riconoscere. La collera, l’odio, l’angoscia, il rifiuto dell’altro. E’ la scoperta del lupo che è in noi. Nel più intimo di noi stessi abbiamo una parte molto vulnerabile, quella legata all’amore e alla tenerezza, una parte che facilmente viene ferita. Fin dalla prima infanzia abbiamo creato dei meccanismi di difesa nei confronti della vita relazionale.
Si desidera la relazione e nello stesso tempo la si teme. Se ti avvicini troppo a me rischi di violare la mia intimità, diventi un pericolo per me. Se ti allontani troppo da me, se non mi saluti più quando ti incontro per la strada, mi fai stare male.
L’amore è nello stesso tempo ciò che più cerco e ciò che più temo. Viviamo tutti questo mistero del cuore umano che ha sete e che ha paura. Così abbiamo costruito ogni sorta di protezione attorno al nostro cuore. Abbiamo messo il lupo, la nostra aggressività, alla porta della nostra ferita e della nostra vulnerabilità.
Ma il lupo può rivoltarsi contro di noi e allora cadiamo nella depressione. Ci colpevolizziamo perché ci sentiamo dei buoni a nulla, nessuno può amarci e nello stesso tempo ci sentiamo incapaci di amare. Allora tutte le forze di aggressione si ritorcono contro di noi.
Conoscere se stessi, il modo con il quale si agisce e si reagisce, significa diventare saggi e avere la possibilità di crescere attraverso alcuni passaggi : dall’egoismo e dal litigio all’amore e all’unità, il passaggio dalla paura alla fiducia, il passaggio dalla vanagloria alla gloria di Dio.
Veniamo presi facilmente dalla paura: la paura del lupo, la paura dei nostri conflitti. Abbiamo paura dell’avvenire, paura dell’insicurezza, paura di perdere la nostra libertà, di non essere amati, paura di ciò che gli altri pensano di noi, paura del fallimento, della sofferenza, della morte. Tutte queste paure viscerali rischiano di governare la nostra vita. Non è facile trasformarle in fiducia. Per diventare essere trasformati bisogna fare delle scelte. 

Jean Vanier: Lettera della tenerezza di Dio

 

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