letterina 20091004

L'affondo

 

FEDELTA'


Comincio a scrivere, ogni giorno, prima delle sei: resto lì per un’ora e produco una pagina, a volte un paio di frasi o nulla di nulla, e tuttavia sento che devo restare lì. Le parole hanno una vita, hanno bisogno di aria, di luce, di movimento per maturare, crescere e diventare feconde. La fedeltà vera vigila, aspetta il suo momento, esige una durata, un rimanere "fino alla fine", un perseverare e rimanere ai confini della notte, fino a che non si apre uno spiraglio di luce. La fedeltà è l’abbraccio tra il tuo modo d’essere e la direzione del cammino che hai intrapreso, esprime te stesso e conferma chi sei. Noi ci affidiamo agli altri senza garanzie né condizioni, solo perché crediamo in loro. Oggi occorrono dei rapporti d’amore che non sono solo delle buone relazioni ma un’alleanza, un promettere il futuro. Non c’è niente di più prezioso che la capacità di durare accanto ad un’altra persona: perché è la vita che dura sfidando il tempo, i dolori e la morte. Gli amori vivono se diventano storia, cioè lunga fedeltà nutrita da una resistenza che fa maturare situazioni, valori e prepara qualcosa. Fedeltà vuol dire esserci , essere alla porta, lì dove gli spazi sono aperti. Mancano oggi testimoni fedeli che non solo hanno creato cose nuove e originali, ma che sono andati oltre la superficialità e sono entrati dentro le cose e la vita. Testimoni che non imprigionano Dio nel loro concetto di onnipotenza, che non lo sfigurano erigendolo a giustiziere implacabile, ma che coltivano pazienza e vigilanza. Bella la fedeltà al cammino dell’uomo di Gesù risorto che si avvicina ai discepoli di Emmaus, si fa compagno di viaggio, si interessa della loro vita, li lascia liberi di scegliere fingendo di andare oltre, e solo alla fine spezza il pane con loro. La fedeltà a sé e all’altro è la capacità di "serbare e custodire", è amore che ha bisogno di tempo per crescere, di promesse da mantenere, di scelte che hanno dei prezzi. Nel dubbio bisogna scegliere di essere fedeli, perché anche quando le cose sembrano non cambiare, anche se tutto sembra continuare come prima, chi è fedele scruta l’orizzonte, fiuta l’aria, getta il seme e il sogno futuro è tutto dentro questa minuscola occasione che può fare del lampo una chiarezza, della scintilla una luce.

Luigi Verdi, Il domani avrà i tuoi occhi

 

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letterina 20090927

L'affondo

LA MORTE DELLA PARROCCHIA

Mi attendevo un po’ più di partecipazione all’assemblea parrocchiale di giovedì sera.
Certo, non sono così sprovveduto nel pensare che ci sarebbe stato il pienone dello scorso anno; forse era anche un giovedì con altri appuntamenti; forse non era stato fatto l’invito casa per casa come nel novembre scorso; forse la Lettera riportava già tutto il programma pastorale e il progetto della casa; forse anch’io, dopo un anno, sono ormai entrato nel panorama; forse non se ne vede l’importanza; forse...Ho ricordato una storia che avevo sentito tempo fa’: ve la propongo come stimolo alla riflessione.


Sui muri e sul giornale della città comparve uno strano annuncio funebre:"Con profondo dolore annunciamo la morte della parrocchia di Santa Eufrosia. I funerali avranno luogo domenica alle 11". La domenica, naturalmente, la chiesa era affollata come non mai. Davanti all’altare c’era il catafalco con una bara di legno scuro. Il parroco pronunciò un semplice discorso:" Non credo che la nostra parrocchia possa rianimarsi e risorgere, ma, dal momento che siamo quasi tutti, qui voglio fare un estremo tentativo. Vorrei che passaste tutti quanti davanti alla bara a dare un’ultima occhiata alla defunta.
Sfilerete in fila indiana, uno alla volta e, dopo aver guardato il cadavere, uscirete dalla porta della sacrestia. Dopo, chi vorrà potrà rientrare dal portone per la Messa". Il parroco aprì la cassa. Tutti si chiedevano:"Chi ci sarà dentro? Chi è il morto?" Cominciarono a sfilare lentamente. Ognuno si affacciava alla bara e guardava dentro, poi usciva dalla chiesa. Uscivano silenziosi, un po’ confusi. Perché tutti coloro che volevano vedere il cadavere della parrocchia di Santa Eufrosia e guardavano nella bara, vedevano, in uno specchio appoggiato sul fondo della cassa, il proprio volto.


La parrocchia ha anche il tuo volto...

 

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letterina 20090920

L'affondo

IL TESORO

Gli era  stata promessa per la sua festa di laurea un’auto nuova, fiammante, all’uscita dell’università, con il diploma di laurea sotto braccio. Quale non fu la sua amara sorpresa quando, il giorno fatidico, il padre lo abbracciò sorridente, non però con le chiavi della macchina, bensì con un libro in mano, appena ritirato nella vicina libreria. Una Bibbia.
Il giovane neo dottore scagliò rabbiosamente il libro fuori dalla finestra dell’aula, e da quel giorno non rivolse più la parola al padre.
Rimise piede in casa quando, anni dopo, gli fu comunicata la notizia della morte dell’anziano genitore. La notte del funerale, mentre rovistava tra le carte della scrivania paterna, trovò la Bibbia che gli era stata regalata il giorno della laurea. In preda a un vago rimorso, soffiò via la polvere che si era depositata sulla copertina del libro e cominciò a sfogliarlo. Scoprì tra le pagine un assegno datato il giorno della laurea e con l’importo esatto dell’auto promessa. Pianse..

La Bibbia: un libro sigillato, inutile e polveroso per tanti.
Eppure tra le sue pagine è nascosto il tesoro che tanto sospiriamo...

 

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letterina 20090913

L'affondo

 

Lettera ai cercatori di Dio


Iniziamo a leggere alcuni passaggi della lettera inviata dai Vescovi Italiani

I LE DOMANDE CHE CI UNISCONO

 

3.4 La dignità di chi lavora e la festa


Tra domande e risposte che toccano il lavoro e la nostra responsabilità verso gli altri e verso il creato, trova collocazione un’esigenza che è ormai patrimonio di quasi tutta l’umanità, almeno sul piano teorico. La tradizione cristiana la sottolinea con forza: è l’esigenza del riposo e della festa.
Sì, c’è un modo concreto per esprimere la dignità di chi lavora: sospendere l’attività lavorativa con il riposo settimanale, a somiglianza di Dio che, dopo avere creato il mondo, si riposò. L’uomo partecipa al lavoro e al riposo di Dio: entrambi sono per lui una benedizione e un dono, fecondi di vita e necessari per affermare la dignità della persona umana.
Il riposo settimanale non ha solo lo scopo di far recuperare le forze fisiche, al fine di lavorare di più e meglio nei giorni seguenti: questo sarebbe il riposo dello schiavo. Riposare e celebrare la festa sono espressione della "libertà" dell’essere umano, esperienza di comunione in famiglia e di incontro fraterno nella comunità, possibilità di ravvivare la relazione con la natura. Per i cristiani il riposo e la festa domenicali sono in modo particolare partecipazione alla vita del Signore Risorto, anticipazione e pregustazione della vita futura nella comunità radunata nel suo nome. Partecipando all’Eucaristia domenicale i cristiani sono chiamati a liberarsi dall’idolatria del denaro, del possesso, del lavoro ossessivo e a crescere nella sobrietà e nella solidarietà con i più deboli.
Certo, è più facile dirlo che farlo. La realtà sociale e la trama intricata in cui essa si svolge, esige da tanti uomini e donne una disponibilità che non consente giorni vuoti o tempi rigidi. La festa e il riposo restano per molti un’aspirazione, troppo lontana per essere sperimentata. Ma non è giusto rassegnarsi e non ci aiuta a crescere in umanità constatare le esigenze, senza venirvi incontro e immaginare alternative. Dobbiamo cercarle insieme, mettendo a frutto fantasia, amore, competenza e responsabilità. In questa ricerca tutti siamo chiamati a collaborare, perché la posta in gioco riguarda tutti. E lo sguardo della fede ci è di grande aiuto.

 

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letterina 20090906

L'affondo

 

Lettera ai cercatori di Dio


Iniziamo a leggere alcuni passaggi della lettera inviata dai Vescovi Italiani

I LE DOMANDE CHE CI UNISCONO

 

3. 3 LAVORO E FESTA


Problemi e sfide


Nel mondo  del lavoro, però, non mancano le contraddizioni e i problemi: "Va bene lavorare - osserva qualcuno - ma con questi ritmi e con questa tensione non c’è più tempo né per me, né per la mia famiglia". Molti giovani sono costretti a constatare: "Dicono che ogni uomo ha diritto a un lavoro, ma da tempo non riesco a trovare un’occupazione che mi dia garanzie". Non è facile  trovare le parole adeguate per confrontarsi con queste sfide. Del resto, le parole da sole non bastano. Ci vogliono fatti. Quali? Come possiamo produrre fatti nuovi in un contesto sociale quale è quello che spesso sperimentiamo, dove valgono regole e dominano logiche, che tante volte calpestano la dignità della persona umana e il suo diritto al lavoro? Non è difficile constatare come, purtroppo, la cultura occidentale abbia messo alla base dell’idea del lavoro una prospettiva economicistica e materialistica, che finisce con il riservare il primato al denaro. Questo è uno dei più gravi errori del nostro tempo, da cui deriva un principio perverso nella vita sociale: avere sempre di più, secondo la logica per cui la ricchezza deve produrre nuova ricchezza e bisogna perciò tendere sempre al massimo profitto. Una delle conseguenze più tragiche è sotto gli occhi di tutti: uno sviluppo squilibrato, che crea diverse velocità di crescita, per cui i popoli ricchi diventano sempre più ricchi e i popoli poveri sempre più poveri.
Questa disparità va accentuandosi anche tra le componenti di una stessa comunità.
Non tutto, però, è così. A uno sguardo attento si offrono certamente non poche realizzazioni positive, che rassicurano il nostro impegno e alimentano la nostra speranza.
Possiamo dirlo con consapevolezza proprio guardando al nostro popolo, ricco di tante persone impegnate e coraggiose, che hanno saputo trasformare le terre più aride e rendere i contesti di produzione più difficili luoghi di umanità benestante, promuovendo la qualità della vita di tutti. Tanto però resta ancora da realizzare. Siamo consapevoli che molto di quello che c’è da fare riguarda la direzione e il senso del nostro impegno, la qualità del nostro lavoro e dell’ambiente in cui esso si svolge, la sicurezza che prevenga ogni possibile danno ai lavoratori. Abbiamo tutti domande inquietanti e possediamo frammenti di risposte concrete. Condividendo le une e le altre, possiamo progettare un futuro forse più felice del presente, da condividere come protagonisti.

 

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letterina 20090830

L'affondo

 

Lettera ai cercatori di Dio


Iniziamo a leggere alcuni passaggi della lettera inviata dai Vescovi Italiani

I LE DOMANDE CHE CI UNISCONO

 

 

3. 2 LAVORO E FESTA
Quanti riconoscono orizzonti più alti di quelli che costruiamo con le nostre mani e collocano, in qualche modo, il riferimento a Dio creatore nella loro esperienza quotidiana, individuano un’ulteriore ragione del lavoro umano. A noi pare importante e offre un respiro di speranza alla nostra fatica, anche se ci rendiamo conto di quanto questa visione possa essere esigente: mediante il lavoro l’uomo collabora con Dio nel portare a termine la creazione. Lo riferisce una delle prime pagine della Bibbia. Dopo aver creato il mondo, Dio comanda all’uomo e alla donna: "Riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo..." (Genesi 1,28). Soggiogare la terra vuol dire prendere possesso dell’ambiente e governarlo, rispettando l’ordine posto in esso dal Creatore e sviluppandolo a proprio vantaggio, per soddisfare i bisogni propri, della famiglia e della società. In questo consiste l’impresa della scienza e del lavoro per umanizzare il mondo, al fine di farne la dimora dell’uomo, una casa di giustizia, di libertà e di pace per tutti.
Quando Dio ha creato il mondo, non lo ha creato compiuto: la creazione non è finita. L’uomo ha preso possesso lentamente della terra, forgiandola, adattandola alle sue esigenze, sviluppando le potenzialità del creato per il suo bene e per la gloria di Dio. In modo particolare oggi stiamo assistendo a trasformazioni impensabili fino a pochi decenni fa. Esse ci fanno vedere come l’uomo abbia capacità sconfinate, di cui sono strumento le nuove tecnologie. Non siamo  però padroni del creato. Dobbiamo collaborare con Dio nel portarlo a compimento, rispettando la natura e le leggi insite in essa. Dio ci ha affidato il creato, perché potessimo custodirlo e perfezionarlo, non per sfruttarlo e manipolarlo a nostro piacimento. Ce lo ricorda ancora il libro della Genesi:  "Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse"  (2,15). Il lavoro  - vissuto in condizioni rispettose della giustizia e della dignità umana, oltre che dell’ambiente affidatoci dal Creatore - è la via in cui l’uomo realizza questo compito.

 

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