letterina 20181028

Gruppi nelle case

 

 

Riprendiamo i gruppi nelle case, come dal prospetto, da qui a Natale. Poi, nel prossimo anno, vivremo i gruppi nella Casa, la Casa di Comunità. Nelle precedenti edizioni si son mosse ogni anno un centinaio di persone: bello. Ma possiamo fare molto di più. Crediamoci! Grazie già da ora a tutti quelli che parteciperanno, alle famiglie che aprono la loro casa e agli animatori. Ore 20.30.

 

 

CASA OSPITANTE

Indirizzo

Telefono

Animatori gruppo

Giorno

Ora

Via

N° civico

Fam. Pellicioli

Brocchione

14

035-19833631

Antonio -  Ivana

Martedì: 13-20-27 nov. 4-11 dicembre

20.30

Fam. Previtali

Fam. Scalise

Campinette

   27

349 6944593

Lucia -      Francesca

Lunedì: 29 ottobre

5-12-19-26 nov.

20.30

Fam. Agazzi

Longoni

71

035-548160

Luigi -                      Patrizia

Martedì: 30 ottobre

13-27 nov.  11 dic.

20.30

Mazzoleni                      Virginia e Giacomina

Tezzolo

7

035-550242

Giovani e don

Lunedì: 12-19-26 nov. 3 dicembre

20.30

Fam. Vanoncini

Carosso

48

035-551129

Ileana-

Marialuisa

Venerdì: 9-16-23-30 novembre. 7 dic

20.30

Benedetti-Rota Giselda

Ca’

Quarengo

49

035-550077

Franco -  Marilisa

Martedì: 13-20-27 nov. 4-11 dicembre

20.30

Fam. Rota

Longoni

112

335 5379996

Ivan -

Riccardo

Lunedì: 12-19-26 nov. 3-10 dicembre

20.30

Salone Burligo

Burligo

17

3471133405

Sacerdoti

Martedì: 30 ott.        13-27 nov. 4 dic.

20.30

 

 

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letterina 20181021

Fede è relazione

Don Michele Falabretti, prete bergamasco, guida il Servizio nazionale della pastorale giovanile dei Vescovi italiani ed è nel pieno dei lavori del Sinodo dei giovani.

“È interessante vedere – spiega – che ci sono movimenti e scambi di ricerca... La visione di una Chiesa in ascolto dei giovani e di una Chiesa maestra dei giovani non sono assolutamente in antitesi.
L’esperienza di ciascuno di noi ci dice che abbiamo apprezzato gli educatori che ci hanno ascoltato e ci hanno capiti. E da loro noi abbiamo appreso di più”.
“Credo che questa dimensione sia sempre esistita. Tanto più la Chiesa riesce a far emergere questa sua effettiva disponibilità nella pratica quotidiana di ascolto e attenzione per la vita dei giovani, tanto più la sua credibilità sarà forte. Forse – aggiunge – noi abbiamo immaginato che per spiegare tutto ciò che riguarda la nostra Fede, tutti i contenuti della nostra religione, avessimo bisogno di tanti libri e di tante parole. In realtà, i giovani che si sentono accolti e ascoltati riescono ad arrivare laddove li si vorrebbe portare, in termini di annuncio, con poche parole. Se infatti io mi dispongo all’ascolto, allora l’accompagnamento si trasforma in un’invocazione da parte dei giovani che accompagno. Sono loro a chiedermi di essere accompagnati. E allo stesso tempo sono loro che ci accompagnano perché ci portano il loro sentire: sono come le antenne, capaci di captare anche i segnali più difficili della cultura del nostro tempo”.
“Tutto ciò – precisa don Falabretti – ci aiuta a non chiuderci dentro il concetto della dottrina, dietro l’idea di una fede che si risolve solo nelle verità immutabili che vanno solo spiegate. E ci aiuta ad entrare in un concetto di fede che è relazione che si gioca nell’incontro tra le persone, come in effetti è stato il Vangelo di Gesù. Il Sinodo è davvero un cammino di conversione”, conclude don Falabretti “e spero davvero che diventi respiro di una Chiesa che insieme ai giovani continua a voler abitare questo tempo: non maledicendolo, ma considerando quello spazio tempo di grazia che ci viene offerto per vivere la cosa più bella che abbiamo: la vita e la fede nel Vangelo di Gesù”.

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letterina 20181014

Imbrattatore di muri

Il muro della Parrocchia di san Michele Arcangelo e santa Rita, a Milano, è stato imbrattato alcune settimane fa con una scritta offensiva: “Aborto libero (anche per Maria)”.
Il parroco ha deciso di scrivere su Facebook una lettera aperta all’anonimo “imbrattatore”, lettera che è stata virale e ha fatto il giro della rete. Sicuramente molti l’han vista, ma la riportiamo anche per chi non è social. Eccola:

«Caro scrittore anonimo di muri, Mi dispiace che tu non abbia saputo prendere esempio da tua madre. Lei ha avuto coraggio. ti ha concepito, ha portato avanti la gravidanza e ti ha partorito. Poteva abortirti. Ma non l’ha fatto. Ti ha allevato, ti ha nutrito, ti ha lavato e ti ha vestito. E ora hai una vita e una libertà. Una libertà che stai usando per dirci che sarebbe meglio che anche persone come te non ci dovrebbero essere a questo mondo. Mi dispiace ma non sono d’accordo. E ammiro molto tua mamma perché lei è stata coraggiosa. E lo è tutt’ora, perché, come ogni mamma, è orgogliosa di te, anche se ti comporti male, perché sa che dentro di te c’è del buono che deve solo riuscire a venire fuori. L’aborto è il “non senso” di ogni cosa. È la morte che vince contro la vita. È la paura che vince su un cuore che invece vuole combattere e vivere, non morire. È scegliere chi ha diritto di vivere e chi no, come se fosse un diritto semplice. É un’ideologia che vince su un’umanità a cui si vuole togliere la speranza. Ogni speranza. Io ammiro tutte quelle donne che pur tra mille difficoltà hanno il coraggio di andare avanti. Tu evidentemente di coraggio non ne hai. Visto che sei anonimo. E già che ci siamo vorrei anche dirti che il nostro quartiere è già provato tanti problemi e non abbiamo bisogno di gente che imbratta i muri e che rovina il poco di bello che ci è rimasto. Vuoi dimostrare di essere coraggioso? Migliora il mondo invece di distruggerlo. Ama invece di odiare. Aiuta chi è nella sofferenza a sopportare le sue pene. E dai la vita, invece di toglierla! Questi sono i veri coraggiosi! Per fortuna il nostro quartiere, che tu distruggi, è pieno di gente coraggiosa! Che sa amare anche te, che non sai neanche quello che scrivi!

Io mi firmo: don Andrea»

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letterina 20181007

Famiglie troppo calde, società troppo fredda

“Molti di noi eravamo giovani o muovevamo i primi passi nella vita religiosa mentre terminava il Concilio Vaticano II”, ha detto il Papa rivolgendosi ai 267 padri sinodali, il 3 ottobre, apertura del Sinodo dei Giovani. “Ai giovani di allora venne indirizzato l’ultimo messaggio dei Padri conciliari. Ciò che abbiamo ascoltato da giovani ci farà bene ripassarlo di nuovo con il cuore ricordando le parole del poeta: L’uomo mantenga quello che da bambino ha promesso’”(Hölderlin).
Ma cosa trovano i giovani oggi? Quale è il tessuto degli adulti e quindi anche delle comunità? Sembra di registrare sempre più una sorta di abdicazione degli adulti al loro ruolo, con un venir meno della dimensione comunitaria della vita sociale, lasciata al solo al mercato che porta ad un appiattimento generazionale che vede ragazzi, giovani e adulti accomunati da una medesima dinamica: nel modo di vestire, parlare, comportarsi, ma soprattutto nelle relazioni e negli affetti che rivelano le stesse difficoltà.
Leggiamo alcuni passaggi di un libro interessante (A.Matteo: Tutti muoiono troppo giovani). È sotto gli occhi di tutti un duplice, impressionante fenomeno legato all'adulterazione dell'età adulta: da una parte, si fa strada un continuo surriscaldamento globale delle famiglie, nelle quali i bisogni dei figli vengono soddisfatti ancor prima di essere espressi, finendo a lasciar presagire preoccupanti scenari tra le generazioni coinvolte in questa ossessiva rincorsa di affetto, protezione e controllo; dall'altra, va tragicamente registrata una costante glaciazione dei rapporti sociali, segnati da marcati fenomeni di concorrenza spietata, scorrettezza senza esclusione di colpi, illegalità diffusa, difesa a oltranza di posizioni di potere, di rendita e di prestigio...
Ecco il punto: famiglie troppo calde e spazi sociali troppo freddi. Insomma paradiso e inferno, separati solo dall'uscio di casa.
E l'effetto intergenerazionale, qual è? È che i figli a casa hanno tutto, in società mancano di tutto; a casa la vita appare loro senza domande, in società appare senza risposte. Di questo sono responsabili gli adulti, indotti dalla loro longevità a credere in una sorta di personale giovinezza immortale, la quale fa sì che essi pongano in essere le condizioni perché i giovani - quelli veri - non crescano, non mettano il naso fuori di casa (tanto è il gelo), e soprattutto non vengano a reclamare nella pubblica piazza il loro posto, non incalzino con le loro prerogative disattese questi adulti del «come te li porti bene i tuoi settant'anni», non li scalzino dalle loro poltrone: insomma, non li dichiarino vecchi. Semplicemente mortali.
Insomma, non possiamo parlare della vita dei giovani – e della fede e del modo di amare e... - senza parlare degli adulti.
Un sinodo anche per loro?

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letterina 20180930

La libertà è un tesoro da conservare

Papa Francesco ha concluso il viaggio apostolico (22-25 settembre) nelle Repubbliche baltiche, alle quali prima di partire ha scritto “La libertà è un tesoro da conservare”.
Anche i motti del viaggio sono densi di significato: in Lituania è “Gesù Cristo la nostra speranza”, in Lettonia è “Mostra di essere madre”, che ricorda la fede mariana della nazione e preconizza la visita al santuario internazionale di Aglona, e in Estonia è “Svegliati, cuore mio!”.
Proprio nella messa con cui si congeda dall’Estonia, dalla Piazza della Libertà di Tallinn, il Papa è tornato a declinare una parola – libertà – che è stata il “filo rosso” del suo viaggio , fin dalla prima tappa in Lituania.
“Alcuni si considerano liberi quando vivono senza Dio o separati da Lui”, la prima ipotesi vagliata da Francesco: “Non si accorgono che in questo modo viaggiano attraverso questa vita come orfani, senza una casa dove tornare. Cessano di essere pellegrini e si trasformano in erranti, che ruotano sempre intorno a sé stessi senza arrivare da nessuna parte”.
“Spetta a noi, come al popolo uscito dall’Egitto, ascoltare e cercare”, la consegna. “A volte alcuni pensano che la forza di un popolo si misuri oggi da altri parametri”, l’obiezione raccolta dal Papa: “C’è chi parla con un tono più alto, così che parlando sembra più sicuro – senza cedimenti o esitazioni –; c’è chi, alle urla, aggiunge minacce di armi, spiegamento di truppe, strategie... Questo è colui che sembra più forte”. “Questo però non è cercare la volontà di Dio, ma un accumulare per imporsi sulla base dell’avere”, il monito: “Questo atteggiamento nasconde in sé un rifiuto dell’etica e, con essa, di Dio. Perché l’etica ci mette in relazione con un Dio che si aspetta da noi una risposta libera e impegnata verso gli altri e verso il nostro ambiente, una risposta che è al di fuori delle categorie del mercato”.
“Voi non avete conquistato la vostra libertà per finire schiavi del consumo, dell’individualismo o della sete di potere o di dominio”, ha detto Francesco: “Dio conosce i nostri bisogni, quelli che spesso nascondiamo dietro il desiderio di possedere; anche le nostre insicurezze superate grazie al potere. Quella sete, che abita in ogni cuore umano, Gesù ci incoraggia a superarla nell’incontro con Lui. È Lui che può saziarci, colmarci con la pienezza della fecondità della sua acqua, della sua purezza, della sua forza travolgente. La fede è anche rendersi conto che Egli è vivo e ci ama; che non ci abbandona e, perciò, è capace di intervenire misteriosamente nella nostra storia; Egli trae il bene dal male con la sua potenza e la sua infinita creatività”. 

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letterina 20180923

Uno sguardo che genera

«Uno sguardo che genera»: il filo conduttore della lettera pastorale del vescovo di Bergamo, Francesco Beschi, è anche un invito ad aprire orizzonti, a fare spazio, a lasciare che le novità germoglino, a non avere paura dell’ignoto. Inizia con una storia di Gianni Rodari: «La strada che non andava in nessun posto» (Favole al telefono, 1962) che qui leggiamo.

All’uscita del paese si dividevano tre strade: una andava verso il mare, la seconda verso la città e la terza non andava in nessun posto. Martino lo sapeva perché l’aveva chiesto un po’ a tutti e da tutti aveva avuto la stessa risposta: – Quella strada lì? Non va in nessun posto! È inutile camminarci. – E fin dove arriva? – Non arriva da nessuna parte. – Ma allora perché l’hanno fatta? – Ma non l’ha fatta nessuno, è sempre stata lì! – Ma nessuno è mai andato a vedere? – Sei una bella testa dura! Se ti diciamo che non c’è niente da vedere... – Non potete saperlo se non ci siete stati mai.
Era così ostinato che cominciarono a chiamarlo “Martino Testadura”, ma lui non se la prendeva e continuava a pensare alla strada che non andava in nessun posto. Quando fu abbastanza grande da attraversare la strada senza dare la mano al nonno, una mattina si alzò per tempo, uscì dal paese e senza esitare imboccò la strada misteriosa e andò sempre avanti. Il fondo era pieno di buche e di erbacce; a destra e a sinistra si allungava una siepe ma ben presto cominciarono i boschi. I rami degli alberi si intrecciavano al di sopra della strada e formavano una galleria oscura e fresca nella quale penetrava solo qua e là qualche raggio di sole a far da fanale. Cammina e cammina... la strada non finiva mai.
A Martino dolevano i piedi e già cominciava a pensare che avrebbe fatto bene a tornarsene indietro quando vide un cane. Dove c’è un cane c’è una casa – rifletté – o perlomeno un uomo! Il cane gli corse incontro scodinzolando, poi si avviò lungo la strada e ad ogni passo si voltava per controllare se Martino lo seguiva ancora. Finalmente il bosco cominciò a diradarsi, in alto riapparve il cielo e la strada terminò sulla soglia di un grande cancello di ferro. Attraverso le sbarre vide un castello con tutte le porte e le finestre spalancate e da un balcone una bellissima signora salutava con la mano e gridava allegramente: – Avanti! Avanti, Martino Testadura! – Toh! – si rallegrò Martino – io non sapevo che sarei arrivato, ma lei sì!
Spinse il cancello, attraversò il parco ed entrò nel salone del castello in tempo per fare l’inchino alla bella signora che scendeva dallo scalone. Era vestita meglio delle fate, delle principesse e in più era allegra e rideva. – Allora non ci hai creduto! – A che cosa? – Alla storia della strada che non andava in nessun posto. – Era troppo stupida e secondo me ci sono anche più posti che strade! – Certo! Basta aver voglia di muoversi! Ora vieni, ti farò visitare il castello.
C’erano più di cento saloni zeppi di tesori d’ogni genere, diamanti pietre preziose, oro, argento e ogni momento la bella signora diceva: – Prendi! Prendi quello che vuoi! Ti presterò un carretto per portare il peso. Figuratevi se Martino si fece pregare! Il carretto era ben pieno quando egli ripartì. A cassetta sedeva il cane che era un cane ammaestrato e sapeva reggere le briglie e abbaiare ai cavalli quando sonnecchiavano e uscivano di strada.
In paese, dove l’avevan già dato per morto, Martino Testadura fu accolto con grande sorpresa. Martino fece grandi regali a tutti, amici e nemici e dovette raccontare cento volte la sua avventura e ogni volta che finiva, qualcuno correva a casa a prendere carretto e cavallo e si precipitava giù per la strada che non andava in nessun posto. Ma quella sera stessa tornarono uno dopo l’altro con la faccia lunga così per il dispetto: la strada per loro finiva in mezzo al bosco, contro un fitto muro d’alberi, in un mare di spine. Non c’era più né cancello, né castello, né bella signora perché certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova e il primo era stato Martino Testadura.

Da questa storia il vescovo trae alcune immagini: «La prima è quella della via misteriosa attorno alla quale si sviluppa un paradossale dialogo che invece di quietare, alimenta la curiosità e il desiderio. La seconda è quella del castello al quale si giunge attraversando un fitto bosco: tenacia e fiducia sostengono la ricerca e aprono occhi e cuore alla sorpresa che riempie di gioia e di ricchezza. La terza è quella del paese e dei suoi abitanti... La proposta o, se volete, la necessità è quella di camminare insieme: accompagnarsi ed aspettarsi, adottare il passo di chi fa più fatica, a volte più avanti, altre volte accanto o indietro. Camminiamo insieme...

 

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