letterina 20090308

L'affondo

Con il dovuto rispetto

Il digiuno non fa più parte del linguaggio dei cristiani.
E’ una parola che usano i medici che annunciano un intervento chirurgico, gli infermieri che ricevono prenotazioni per prelievi ed esami.
Ma i cristiani, dopo secoli e santi di molti digiuni, usano la parola con imbarazzo.
Ci sono buone ragioni per non fare del digiuno una priorità pastorale.
In casa vivono bambini e anziani; ci sono ritmi di lavoro, stili di vita, relazioni abituali che impediscono di gestire la propria vita come si vorrebbe.
Poi esistono modi di sfumare il digiuno per cui uno quasi non si accorge: un pasto ridotto, un piatto solo, meno o niente fuori dai pasti.
Perciò quando tra gli avvisi si dice:”… e poi ricordo che il mercoledì delle ceneri e il venerdì santo è giorno di digiuno, oltre che di astinenza della carne”, nessuno se ne preoccupa.
Tuttavia se il papà, venerdì sera, tornando dal lavoro dicesse:
“Stasera non mangio perché è venerdì di Quaresima: vado in chiesa per pregare un po’ e portare un’offerta per la carità”, non credo che la cosa passerebbe inosservata.
Il venerdì sera può dunque raccontare la commozione di guardare il Crocifisso e un residuo di serietà a proposito del digiuno.

Mario Delpini

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letterina 20090301

L'affondo

Sobrietà e vigilanza di vita

Sono tre i gesti che tradizionalmente sono legati alla Quaresima: la preghiera, il digiuno e l'elemosina. Facendo l'esperienza della preghiera noi dobbiamo far tacere tutte le parole che risuonano continuamente in noi descrivendo un mondo diverso da come lo vede Dio (alle volte più bello e vincente, altre volte brutto e depressivo). Privandoci, con l'esercizio dell'elemosina, di qualcosa di nostro tocchiamo con mano come non siano le cose a darci la felicità (non abbiamo forse sperimentato tutti un certo senso di insoddisfazione dopo essere riusciti ad ottenere una cosa che tanto desideravamo?). L'esperienza del digiuno, infine, verrà a ricordarci quanto non siano scontate tutte le cose di cui quotidianamente ci cibiamo e ci aprirà alle necessità di tanti fratelli e sorelle di fede che non hanno il necessario per vivere.

Mi sembra vero,però, che il Vangelo di oggi prometta anche di fare un percorso inverso: non solo infatti noi limitiamo un aspetto della vita di Cristo, ma è Lui stesso che, ancora prima,  ha assunto la nostra esistenza. Cristo non si è accontentato di possedere una natura perfettamente umana, ma ha anche voluto sperimentare la lotta, che conosciamo molto bene, perchè caratterizza la nostra vita. Le suggestioni che il demonio propone al Signore (le conosciamo dal racconto degli altri evangelisti) sono simbolo di un mondo apparentemente bello, ricco, potente, proprio quel mondo che la cultura di oggi ci propone ogni volta che guardiamo la televisione o navighiamo in internet. E' molto consolante il messaggio che ci viene oggi dal Vangelo: anche il Signore ha conosciuto tentazioni, fatiche, prove. Non ha condotto un'esistenza sotto la campana di vetro. Anche noi, quindi, possiamo affrontare le sfide che la quotidianità propone allanostra fede, sapendo di non essere da soli: il Signore è con noi, perchè ha vissuto - prima di noi - le nostre stesse difficoltà.


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letterina 20090222

L'affondo

La sfera e la croce

Nella settimana in cui iniziamo l’itinerario quaresimale, per “volgere lo sguardo a Colui che hanno trafitto”, riportiamo un significativo passaggio tratto da:

“La sfera e la croce“ di Gilbert Keith Chesterton.

“Egli cominciò col bandire il crocifisso da casa sua, dal collo della sua donna, perfino dai quadri...Poi avrebbe voluto abbattere le croci che si alzavano lungo le strade del suo paese, che era un paese cattolico romano. Finalmente s’arrampicò sopra il campanile di una chiesa, ne strappò la croce e l’agitò nell’aria, in un tragico soliloquio sotto le stelle. Una sera, la follia lo ghermì di botto: s’era fermato, fumando la pipa, di fronte a una lunghissima palizzata. Ma egli credette di vedere, come in un fulmineo cambiamento di scena, la lunga palizzata tramutata in un esercito di croci legate l’uno all’altra...Tutte le cose che lo circondavano avevano ormai l’aspetto del simbolo maledetto: tutto era ormai fatto di croci. L’indomani lo trovarono nel fiume.”

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letterina 20090215

L'affondo

La mano

“Una mano che è sempre aperta o sempre chiusa è una
mano storpia. Un uccello che non sa aprire e chiudere le
ali non volerà mai” (Gialal al-Din Rumi)

 

Ad assegnare alla mano una funzione di simbolo morale è la citazione di un grande poeta mistico musulmano del Duecento Gialal al-Din Rumi.
Nella vita bisogna saperci aprire agli altri come mano, donando, amando, sostenendo. Ma ci sono anche momenti in cui bisogna chiuderci in noi stessi per riflettere, per tacere, per incontrare la propria coscienza.
L’esistenza esige questi due ritmi fondamentali della mano aperta all’altro e della mano chiusa in preghiera sul petto.
È in questa alternanza, tipica anche delle ali, (che sono un po’ le mani degli uccelli), che si vive veramente, volando ora raso terra ora verso i cieli. Il solo agire con le mani può renderci protesi all’esterno, in un impegno necessario ma distraente e fin superficiale quando diventa esclusivo.
Il solo stringere le mani su noi stessi ci rende egoisti e solitari.
La mano che non è storpia si apre e si chiude in un ritmo armonico e libero.


Da “Le parole e i giorni” di Gianfranco Ravasi

 

letterina 20090208

L'affondo

Un piccolo animale

Chi non si commuove davanti ad un piccolo animale?
Da più parti, movimenti e associazioni si son mosse a far valere i diritti di chi non ha voce (ma chi l’ha detto che questi siano solo animali?), a trovare un tetto, delle cure, del cibo (ma vi pare di vedere tanta attenzione intorno all’”animale-uomo” di ogni colore, razza, cultura,…?).
Le nostre case si riempiono sempre più di piccoli animali (il 58% dice una pubblicità).
Dopo le cliniche specifiche, eccoti i necrologi, i cimiteri e le fotografie (avessero almeno il buon gusto di non metterci i volti dei loro padroncini sulle lapidi…).
Ma come la mettiamo quando il piccolo animale è in noi?
Di tanto in tanto le cronache vicine e lontane ci buttano in faccia le storie di gruppi di ragazzini che diventano stupratori, ladri, microcriminali.
E le reazioni della gente sempre le stesse: “ragazzi di buona famiglia”, “presi da soli non sono cattivi”, “i mie figli andavano alle loro feste di compleanno”,… . Eppure….
Eppure li ritroviamo sbattuti sulle pagine dei giornali, nei servizi dei TG, al centro dei salotti di psicologi e criminologi.
“Branco” il termine che va per la maggiore: è il branco che comanda, è il branco che spaccia, è il branco che violenta. Si parla, appunto, di una psicologia del branco. E li vedi scorrazzare dal parco al bar, dalle panchine allo stadio, dalla casa libera di uno di loro al campetto, … .
In mano sempre qualcosa: una birra, la sigaretta, la moto, una ragazza.
Il rischio è proprio questo, che tutto si appiattisca: come ti scolo la birra, così “ti faccio la tipa”… .
Sapete come lo chiamano questo stile gli addetti ai lavori? CONSUMISMO DEL PIACERE: in genere tocca i teenager che vogliono tutto quello che li attrae. E subito. Se non possono prendono lo stesso: un muro è subito scavalcato, una porta subito scassinata, un lucchetto presto saltato. E un no della tipa? Un po’ di forza, dei ricatti ed è subito fatta.
Fanno da loro leggi, regole e violenze. Vivono di velocità. Senza il tempo di educare il piccolo animale che c’è dentro. E poi, quando succede qualcosa, come piccoli animali feriti soffrono.
Ci credo a questa sofferenza.
Ci credo a queste lacrime.
Vorrei credere che non sia l’ultima parola ma che si imparasse ad educare… il piccolo animale che è in ciascuno… .

Da un articolo di don Giuseppe  

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letterina 20090201

L'affondo

Messaggio per la 31ª Giornata per la vita

 “La forza della vita nella sofferenza”

La vita è fatta per la serenità e la gioia. Purtroppo può accadere, e di fatto accade, che sia segnata dalla sofferenza. Ciò può avvenire per tante cause. Si può soffrire per una malattia che colpisce il corpo o l’anima; per il distacco dalle persone che si amano; per la difficoltà a vivere in pace e con gioia in relazione con gli altri e con se stessi. La sofferenza appartiene al mistero dell’uomo e resta in parte imperscrutabile: solo «per Cristo e in Cristo si illumina l’enigma del dolore e della morte» (GS 22).

Se la sofferenza può essere alleviata, va senz’altro alleviata. In particolare, a chi è malato allo stadio terminale o è affetto da patologie particolarmente dolorose, vanno applicate con umanità e sapienza tutte le cure oggi possibili. Chi soffre, poi, non va mai lasciato solo. L’amicizia, la compagnia, l’affetto sincero e solidale possono fare molto per rendere più sopportabile una condizione di sofferenza. Il nostro appello si rivolge in particolare ai parenti e agli amici dei sofferenti, a quanti si dedicano al  volontariato, a chi in passato è stato egli stesso sofferente e sa che cosa significhi avere accanto qualcuno che fa compagnia, incoraggia e dà fiducia.

A soffrire, oggi, sono spesso molti anziani, dei quali i parenti più prossimi, per motivi di lavoro e di distanza o perché non possono assumere l’onere di un’assistenza continua, non sono in grado di prendersi adeguatamente cura. Accanto a loro, con competenza e dedizione, vi sono spesso persone giunte dall’estero. In molti casi il loro impegno è encomiabile e va oltre il semplice dovere professionale: a loro e a tutti quanti si spendono in questo servizio, vanno la nostra stima e il nostro apprezzamento.

Talune donne, spesso provate da un’esistenza infelice, vedono in una gravidanza inattesa esiti di insopportabile sofferenza. Quando la risposta è l’aborto, viene generata ulteriore sofferenza, che non solo distrugge la creatura che custodiscono in seno, ma provoca anche in loro un trauma, destinato a lasciare una ferita perenne. In realtà, al dolore non si risponde con altro dolore: anche in questo caso esistono soluzioni positive e aperte alla vita, come dimostra la lunga, generosa e lodevole esperienza promossa dall’associazionismo cattolico.

C’è, poi, chi vorrebbe rispondere a stati permanenti di sofferenza, reali o asseriti, reclamando forme più o meno esplicite di eutanasia. Vogliamo ribadire con serenità, ma anche con chiarezza, che si tratta di risposte false: la vita umana è un bene inviolabile e indisponibile, e non può mai essere legittimato e favorito l’abbandono delle cure, come pure ovviamente l’accanimento terapeutico, quando vengono meno ragionevoli prospettive di guarigione. La strada da percorrere è quella della ricerca, che ci spinge a moltiplicare gli sforzi per combattere e vincere le patologie – anche le più difficili – e a non abbandonare mai la speranza.

La via della sofferenza si fa meno impervia se diventiamo consapevoli che è Cristo, il solo giusto, a portare la sofferenza con noi. È un cammino impegnativo, che si fa praticabile se è sorretto e illuminato dalla fede: ciascuno di noi, quando è nella prova, può dire con San Paolo «sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne» (Col 1,24). Quando il peso della vita ci appare intollerabile, viene in nostro soccorso la virtù della fortezza. È la virtù di chi non si abbandona allo sconforto: confida negli amici; dà alla propria vita un obiettivo e lo persegue con tenacia. È sorretta e consolidata da Gesù Cristo, sofferente sulla croce, a tu per tu con il mistero del dolore e della morte. Il suo trionfo il terzo giorno, nella risurrezione, ci dimostra che nessuna sofferenza, per quanto grave, può prevalere sulla forza dell’amore e della vita.

CONSIGLIO EPISCOPALE PERMANENTE

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