letterina 20171015

8 in affettività...

E’ bello il numero 8? Certamente. Esso allude all’infinito, alla prosperità, alla fecondità.
Nella prospettiva cristiana poi è il 7+1, cioè l’ottavo giorno, annuncio di eternità. La nostra chiesa parrocchiale ha la forma di un ottagono, come i battisteri antichi posti accanto alla Cattedrale. Il pittore Umberto Verdirosi, di cui molti hanno visto alcune tele nella casa di Comunità, anni fa ha scritto alcune poesie sui numeri, abbinandole poi, in un libro, ad altrettanti quadri. Dell’8 scrive:” Aprite le porte, non entra la corte, entra la Giustizia: l'otto la rappresenta.
Tre volte otto - 888 - significa resurrezione e vita. E' il numero di Gesù, in opposizione al 666 che è l'Anticristo.
Dopo il diluvio Noé fu l'ottavo ad uscire dall'arca. L'otto è la misura musicale che ci migliora la vita.
Quando la danza è sul ghiaccio appare disegnato l'otto, come per dirci che lui è il simbolo dell'equilibrio e dell'armonia. Un giorno qualcuno lo sdraiò e l'otto divenne infinito ... “Un 8 a scuola poi non è niente male. Allora, è proprio bello l’8! Ma quando 8 sono i genitori degli adolescenti a partecipare agli incontri, sono proprio pochi. E’ vero che forse non c’è stata molta pubblicità essendo partiti da poco i gruppi adolescenti del lunedì. E’ vero che la proposta è per le Parrocchie della zona pastorale (e quindi Almenno S.B., Barzana, Burligo, Gromlongo, Palazzago, Pontida e Roncallo Gaggio) e se di ognuna ci fossero stati 8 genitori saremmo a 56 -e non ai 25 del primo martedì– numero ragionevole per serate organizzate con locandina, relatore e tema decisamente importante: l’affettività.
Non la facciamo questione di numeri ma, anche solo nell’economia domestica, comprendiamo bene che un conto è poter disporre di 8 €, un altro di 800.
Cambia no? E allora tiriamo le conseguenze...

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letterina 20171008

Diversamente...

Leggiamo il tema di una bambina: “I miei compagni di classe”.

«Qualche giorno prima di iniziare la scuola la mamma mi ha detto che avrei conosciuto dei nuovi amici “diversamente abili”. Mi ha spiegato che sono quelli bravi a fare le cose, solo che le fanno a modo loro o in modo diverso.
Mi sono accorta che è proprio vero e la mamma aveva ragione.
Se io sono brava in disegno, Manuela è brava in matematica, e Andrea fa dei discorsi che nessuno capisce ma che alla maestra piacciono tantissimo. Ho anche delle maestre diversamente abili, perché una è brava in italiano e in motoria, l’altra invece preferisce matematica e scienze.
Anche il mio papà e la mia mamma sono diversamente abili: il mio papà lavora e aggiusta, la mamma cucina cose buone, il mio papà mi fa giocare con l’ipad, la mamma mi coccola.
Poi c’è Lucia, la mia compagna di banco in carrozzina: lei è diversamente abile perché ha più pazienza di tutti, infatti quando corriamo lei ci dice: “io guardo chi arriva primo”.
E sta lì sorridente a aspettare che arrivano tutti e non si stufa mai.
Vorrei essere come lei quando Carlo mi prende in giro.
Lei sarà però una grande scienziata, perché tantissime volte riesce a vedere per prima le cose che noi non vediamo. Un po’ come Karim, di quinta A, che non ci vede proprio, ma ha gli ultrasensi come i supereroi.
L’unica che non capisco è la mamma di Nicolas che quando lo viene a prendere dice sempre: “Oh, ma non ce n’è uno normale in questa scuola?”. Non lo so. Ma a me la scuola piace così».

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letterina 20171001

Pret-a-porter

Sulle pareti esterne di molte chiese medievali si possono ancora vedere le enormi figure di San Cristoforo affrescate a beneficio dello sguardo dei viandanti. L’immagine del santo gigante era posta a protezione dei pellegrini che fin da lontano potevano affidarsi, con un solo colpo d’occhio, alla sua benevola efficacia salvifica. Chiunque avesse potuto guardarla sarebbe stato certo che almeno per quel giorno nessuna sciagura avrebbe interrotto il suo cammino.
Cristoforo significa, in greco, "(colui che) porta Cristo". Così la leggenda parla di un cananeo, per alcuni un gigante, che faceva il traghettatore su un fiume. Era un uomo burbero e viveva da solo in un bosco. Una notte gli si presentò un fanciullo per farsi portare al di là del fiume; Reprobus (questo era il nome dell'uomo prima del battesimo, secondo alcune versioni), anche se grande e robusto, si sarebbe piegato sotto il peso di quell'esile creatura, che sembrava pesare sempre di più ad ogni passo. Il gigante sembrava essere sopraffatto, ma alla fine, stremato, riuscì a raggiungere l'altra riva. Al meravigliato traghettatore il bambino avrebbe rivelato di essere il Cristo, confessandogli inoltre che aveva portato sulle sue spalle non solo il peso del corpicino del bambino, ma il peso del mondo intero. Dopo aver ricevuto il battesimo, Cristoforo si recò in Licia a predicare e qui subì il martirio.
Quel mondo di viandanti e di pellegrini non esiste più, sostituito dalla viabilità meccanizzata e dai labirinti metropolitani. Ma quei vecchi giganti barbuti, posti a presidio del vagare umano, sembrano essersi reincarnati nei simulacri pubblicitari che ci sovrastano tra le quinte della nuova architettura urbana. La loro rassicurante prestanza si congiunge adesso a un’esigente eleganza. Corpi atletici, sguardi carismatici, posture perentorie. Nell’epoca dell’economia globale, del narcisismo di massa, dell’estetizzazione generale, in cui la realtà non è altro dall’immagine che se ne ha, gli eccitati e confusi individui neoliberati alzano lo sguardo verso quelle smisurate effigi come alle icone di una loro possibile pienezza terrena, l’ideale rivelato della loro mancante identità, il prototipo di una salvezza immanente pret-aporter, il talismano estetico della loro temporanea sicurezza. Benevoli e splendenti, i nuovi sancristofori, dall’alto della loro grande bellezza, guardano gli umani con le loro espressioni immobili, piene di distacco soprannaturale, concedendo alla loro spensierata frenesia il dono di un logo da incarnare.
Noi, molto più umilmente, in questo mese di ottobre guardiamo all’immagine di Maria, pret-a-porter, pronta a portarci suo Figlio.

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letterina 20170923

Giovani e smartphone

Nell’incontro dei Consigli riuniti abbiamo scorso insieme la lettera del Vescovo Francesco “Un cuore che ascolta” soffermandoci molto sulla questione “giovani”, tema centrale del prossimo Sinodo e orizzonte in cui si colloca il triennio prospettato dal Vescovo. Essa ci rimanda ad alcune questioni che abbiamo sempre avvertito come decisive: su tutte, la capacità generativa della comunità cristiana a una vita di fede.
E’ evidente che il modo dei giovani di entrare in contatto con la realtà e l’esistenza è profondamente cambiato. L’esempio più interessante viene dallo strumento che tutti portiamo in tasca: lo smartphone. Chi lo acquista riceve una piccola scatola con pochi componenti che servono al funzionamento. Uno strumento complicatissimo non contiene più un lungo e noioso libretto di istruzioni; ma un piccolo foglietto con poche raccomandazioni. Come si usa? Si impara: ognuno deve arrangiarsi provando e riprovando. Al massimo si può chiedere a chi ne sa qualcosa. È un “gioco” interessante che abbiamo bisogno di osservare con attenzione per capire che le giovani generazioni non accettano più nulla “a scatola chiusa”. E per rilevare che i giovani sanno farsi coinvolgere se si sentono “davvero” ingaggiati, se sentono di poter dire la loro.
È tempo di liberarsi dalla convinzione che possa bastare semplicemente trovare nuove forme di annuncio, senza riprendere l’arte di suscitare domande: i giovani definiscono “dogmatiche” le verità che non hanno evidenza nella vita di chi le offre; e dogmatiche, per loro, non è un aggettivo positivo. Significa che prima di tutto vogliono vedere una corrispondenza fra ciò che gli educatori cristiani offrono loro e la vita degli stessi adulti.
L’umanesimo evangelico – per come lo si potrebbe interpretare nella sua fraternità e nella sua dimensione di dono-dedizione senza condizioni – è l’unica forza in grado di superare l’individualismo che serpeggia anche fra i cristiani... Molti segnali oggi ci dicono della fatica dei giovani a recepire senza verificare: significa che vogliono capire attraverso azioni ed esperienze che li sorprendano. Significa che non accettano che si pretenda una loro adesione di fronte alle nostre evidenze: la ricerca sarà comunque personale; alle parole ascoltate seguiranno “verifiche” attraverso ricerche su internet, incrociando informazioni e opinioni che verranno dai mondi più disparati.
Perché il vangelo possa parlare alla storia è necessaria l’esistenza di una comunità. La testimonianza credente può darsi nel mondo solo grazie a una comunità di uomini e di donne che danno alla loro vita la forma del vangelo: questa è la posta in gioco della presenza dei cristiani nel mondo. Insomma: mostrare, più che dimostrare.

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letterina 20170917

Normalmente...

Normalmente, durante le feste, lasciamo aperta la porta laterale della chiesa, quella che dà verso il campo dell’Oratorio: non si sa mai che qualcuno, passando e vedendo acceso e aperto, entri per una preghiera, per un momento di silenzio, per un saluto al Signore, per accendere una candela... Potrà essere una pia illusione, ma continuo a farlo. Come continua ad essere aperta la chiesa, dal mattino fino a sera, pausa pranzo inclusa, unica forse in tutta la Diocesi.

E proprio in una serata della festa di Comunità appena conclusa - e andata molto bene, nonostante l’abbassamento delle temperature e i giorni di pioggia - una giovane mamma si avvicina e, dopo il saluto mi dice: ”Sono appena stata in chiesa, che era aperta, a fare la mia preghiera”. Le sorrido e le dico brava. E’ musulmana.

Normalmente, all’inizio della stagione estiva, prima di iniziare nei giovedì la messa serale al cimitero, celebriamo al monumento ANMIL, quindi quasi sulla strada. Ed è ovvio che durante la celebrazione passi qualcuno in macchina, in moto o a piedi: se va bene guardano cosa sta succedendo e tirano dritto. Quest’anno sono passate anche alcune moto che, vedendo che si stava celebrando, hanno accelerato facendosi decisamente sentire. Poco dopo vedo sbucare dalla curva una bici con un giovane che pedala. Si accorge della messa. Si ferma, scende, fa il segno di croce e sosta per un po’, accompagnando poi la bici a piedi. E’ un giovane di colore nero.

Perché riporto queste cose? Perché mi fan pensare. 

Sempre più circola anche tra noi un modo di dire: i nostri. Ma chi sono i nostri? Sono quelli che hanno il Signore alla portata di mano e se ne fregano? Sono quelli che se c’è una messa all’aperto accelerano per far sentire che passano loro? Sono quelli che durante il corteo del funerale impennano così tutti li guardano o continuano imperterriti a fumare dal finestrino schifati perché devono accostare? Sono quelli che il Signore l’hanno in bocca ma solo per le bestemmie? Sono quelli che sono bravi solo loro? Sono quelli che il crocefisso guai a toccarlo ma il Vangelo non l’hanno mica aperto?

Sono questi i nostri? Me lo chiedo. Ve lo chiedo.

Alcune cose mi fan pensare. Normalmente... 

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letterina 20170910

L'amore ha bisogno di tempo

Ascoltate un passaggio di Amoris laetitia, l’esortazione apostolica di papa Francesco sull’amore nella famiglia. Lo trovo importante anche per il cammino pastorale che andiamo a riprendere (ma è mai stato interrotto?)

L'amore ha bisogno di tempo disponibile e gratuito, che mette altre cose in secondo piano. Ci vuole tempo per dialogare, per abbracciarsi senza fretta, per condividere progetti, per ascoltarsi, per guardarsi, per apprezzarsi, per rafforzare la relazione. A volte il problema è il tempo frenetico della società, o i tempi imposti dagli impegni lavorativi. Altre volte il problema è che il tempo che si passa insieme non ha qualità. Condividiamo solamente uno spazio fisico ma senza prestare attenzione l'uno all'altro (AL 224).

Una delle qualità che rende autentica e duratura una relazione, in particolare quella di una coppia, è la capacità di affrontare serenamente il tempo e lasciare che in esso maturi e si rafforzi l'amore, cioè il cuore di una rapporto. «L'amore ha bisogno di tempo disponibile e gratuito, che mette altre cose in secondo piano». Il linguaggio dell'amore non è così spontaneo e facile come spesso si crede; le incomprensioni e le tensioni rendono a volte incomprensibile questo linguaggio.
Nel testo dell'AL che abbiamo riportato ci vengono indicate due modalità ambigue di vivere il tempo in una relazione.
A volte il tempo c'è, ma non ha qualità: «Condividiamo solamente uno spazio fisico ma senza prestare attenzione l'uno all'altro». Si sta assieme ma ci si ignora, si è indifferenti l'uno all'altro e il tempo che dovrebbe essere dato alla relazione, diventa trascinato e vuoto.
Ma c'è un altro rischio: «È il tempo frenetico della società, o i tempi imposti dagli impegni lavorativi».
Il tempo oggi è accelerato: la velocizzazione del tempo ormai dà il ritmo all'esistenza dell'uomo in tutte le sue dimensioni. Chi non fa esperienza di stress e di frustrazione in questa rincorsa affannosa e angosciata del tempo? La frammentazione delle vite e delle relazioni (ad esempio le separazioni matrimoniali), la mancanza di fedeltà e perseveranza dimostrano questa fatica.
Ma l'amore, per scendere in profondità in una relazione e dare ad essa qualità, non può essere relegato a episodi momentanei e solamente emozionali: ha bisogno... di tempo. Solo giorno dopo giorno, nell'oggi che ci viene donato, si costruisce una relazione. Ma sapendo che ogni momento deve custodire e manifestare un unico desiderio: amare l'altro.

 

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